Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Da Wembley al Maracanã, da Londra a Rio de Janeiro con un’eco che arriva fino a Tokyo. I due eventi continentali dello sport più seguito al mondo, il calcio, si concludono, quello più atteso a livello globale sta per avere inizio. L’estate più sportiva di sempre, in un anno dove il pianeta ha sofferto e continua a portare le ferite ed i timori della pandemia. Rinascita, dunque, nel senso più profondo del termine, mista a prudenza e speranza. A trionfare nelle ultime ore sono state Italia ed Argentina, due squadre particolarmente vicine al Papa – il primo vescovo di Roma argentino della storia -, ed ora i riflettori sono pronti per accendersi sui Giochi Olimpici e Paralimpici che si disputeranno in Giappone.
Gli Europei
Non esistono nemici, ma avversari. Papa Francesco lo ha ripetuto in più occasioni, ad esempio nel discorso ai membri del Centro Sportivo Italiano, ricevuti in Udienza l’11 maggio 2019:
La lotta con gli avversari, nelle competizioni sportive, è sempre definita “incontro”, e mai “scontro”, perché alla fine, sebbene sia meglio vincere, in un certo senso si vince entrambi. Ecco il mondo che sogniamo, e che con determinazione vogliamo costruire, sulla base di un agonismo sano, che veda sempre nell’avversario anche un amico e un fratello. È questo il cuore della visione cristiana dell’uomo, che per voi è la base anche dell’attività sportiva.
Agli Europei appena conclusi con la vittoria dell’Italia (gli azzurri hanno superato l’Inghilterra ai rigori) ci sono stati almeno due episodi che meritano di essere sottolineati. Il primo è stato anche il più drammatico ed ha riguardato il giocatore più rappresentativo della Daminarca, Christian Eriksen, colpito da un arresto cardiaco nella gara di esordio contro la Finlandia. Sul campo tutti i giocatori, senza distinzione di maglia, hanno vissuto quei minuti interminabili in un un unico abbraccio. Lo stesso che il capitano della Danimarca, Simon Kjaer, ha dato alla moglie del campione, sorreggendola e rincuorandola, dopo aver soccorso per primo il compagno a terra, esanime. Eriksen e Kjaer, connazionali eppure avversari nel campionato italiano, quello in cui militano rispettivamente con le maglie di Inter e Milan. Stessa città, uniti per sempre. Anche sugli spalti quel giorno tutti i tifosi si sono uniti in un solo coro, pregando per Eriksen e poi esultando quando è stato dichiarato fuori pericolo.
L’altro episodio è avvenuto nella semifinale tra Italia e Spagna ed ha avuto come protagonista l’allenatore della nazionale iberica, Luis Enrique. Al termine di una sfida equilibrata e carica di agonismo, conclusasi ai rigori con la vittoria degli azzurri, l’allenatore spagnolo ha usato parole che hanno fatto rapidamente il giro del mondo e sono state viste come esempio di fair play e sportività. Nel suo discorso, infatti, non solo si è congratulato con la nazionale italiana, augurandole di vincere il torneo, ma ha poi rivolto un appello ai giovani, focalizzato sulla gestione delle sconfitte. “Sono stanco di vedere le lacrime nei tornei di ragazzi o bambini, non so perché piangano. Devi iniziare a gestire la sconfitta, a congratularti con il tuo avversario e noi dobbiamo insegnare ai bambini a non piangere. Devi alzarti e congratularti con il vincitore”, ha detto.
Ha vinto il fair play
“Ci siamo stupiti del fair play visto in questi Europei, quando invece dovrebbe essere una condizione normale. A vincere è stato il fair play ed il gioco di squadra, in tante nazionali che hanno fatto del gruppo il loro punto di forza”. Lo afferma nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News monsignor Melchor Sánchez de Toca, sotto-segretario del dicastero della cultura, nel cui ambito è responsabile del settore dello sport.
“Sul campo la sconfitta è stata accettata con grande sportività, è questa l’essenza dello sport”, prosegue De Toca. “Il fatto che la finale si sia disputata nel giorno di San Benedetto, patrono d’Europa, è una significativa coincidenza e – aggiunge – essendo italiano possiamo dire che c’è stata la sua mano”. In vista delle Olimpiadi, il presule augura agli atleti di riuscire a vivere questa attesa esperienza “insieme”, facendo squadra nel senso pià profondo del termine, come “ripete spesso Papa Francesco: fare un gioco di squadra, senza mangiarsi il pallone ed una delle cose più belle vista in questi giorni è proprio il saper giocare insieme, che possiamo – conclude – leggere anche come una speranza per uscire dalla pandemia senza lasciare indietro nessuno”.
La Coppa America
La bellezza del fare squadra, il gioco di gruppo. Brasile ed Argentina si sono affrontate in una delle finali più attese degli ultimi anni. A vincere è stata l’albiceleste, 1-0 con gol di Di Maria. Un successo che riporta la Coppa a Buenos Aires dopo 28 anni e che ha sovvertito i pronostici, che davano favorita la compagine verdeoro.
Due Paesi, questi, dove il calcio è molto più di una disciplina sportiva. Come disse il calciatore brasiliano Pelè, il Brasile “mangia, dorme e beve calcio. Vive di calcio”. Il suo collega argentino Valdano in un’intervista affermò che in molti Paesi americani avrebbero dovuto mettere delle porte di calcio alle frontiere, “al visitatore così sarebbe chiaro che sono dei grandi campi di calcio con alcune presenze accidentali, come alberi ed edifici”. In ogni campo di periferia si impara subito che le regole ed il gruppo sono alla base del gioco. Valori, questi, che anche Francesco ha sottolineato in più occasioni. Nel discorso ai partecipanti all’incontro promosso il 24 maggio 2019 da “La Gazzetta dello Sport” e dalla Figc, il Papa disse:
Sentite bene questo: lo sport, non da soli. Viviamo in un tempo in cui, grazie anche alla presenza massiccia delle nuove tecnologie, è facile isolarsi, creare legami virtuali con tanti ma a distanza. Legami, ma da soli. Il bello di giocare con un pallone è di poterlo fare insieme ad altri, passandoselo in mezzo a un campo, imparando a costruire azioni di gioco, affiatandosi come squadra… Il pallone diventa un mezzo per invitare le persone reali a condividere l’amicizia, a ritrovarsi in uno spazio, a guardarsi in faccia, a sfidarsi per mettere alla prova le proprie abilità. Cari amici: il calcio è un gioco di squadra, non ci si può divertire da soli! E se è vissuto così, può davvero far bene anche alla testa e al cuore in una società che esaspera il soggettivismo, cioè la centralità del proprio io, quasi come un principio assoluto. Il calcio è un gioco di squadra, e questo fa bene a tutti noi.
Sempre ai membri del Centro Sportivo Italiano, ricevuti in udienza l’11 maggio 2019, il Papa sottolineò l’importanza delle regole:
Una grande lezione dello sport, che ci aiuta ad affrontare anche la fatica quotidiana dello studio e del lavoro come pure le relazioni con gli altri, è che ci si può divertire solo in un quadro di regole ben precise. Infatti, se in una gara qualcuno si rifiutasse di rispettare la regola del fuorigioco, o partisse prima del “via”, o in uno slalom saltasse qualche bandierina, non ci sarebbe più competizione, ma solo prestazioni individuali e disordinate. Al contrario, quando affrontate una gara, voi imparate che le regole sono essenziali per vivere insieme; che la felicità non la si trova nella sregolatezza, ma nel perseguire con fedeltà i propri obiettivi; e imparate anche che non ci si sente più liberi quando non si hanno limiti, ma quando, coi propri limiti, si dà il massimo. Dobbiamo essere padroni dei nostri limiti e non schiavi dei nostri limiti.
Le Olimpiadi
Tokyo 2020, nel nome porta l’anno in cui si sarebbero dovuti disputare i Giochi Olimpici, posticipati di dodici mesi a causa della pandemia di Covid-19. La nuova emergenza sanitaria ha portato gli organizzatori ad ampliare ulteriormente le misure di sicurezza: non ci sarà la presenza di spettatori, neanche di quello locale inizialmente previsto. Le Olimpiadi restano comunque l’avvenimento sportivo per eccellenza: quest’anno saranno 33 gli sport protagonisti, per 50 discipline (record assoluto) divise in oltre trecento eventi in programma dal 23 luglio all’8 agosto. Lo spirito olimpico è stato richiamato anche da Papa Francesco, come in occasione del discorso ai Dirigenti ed agli Atleti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano ricevuti in Udienza il 19 dicembre 2014:
Il motto olimpico – “Citius, altius, fortius”- non è un incitamento alla supremazia di una nazione sull’altra, di un popolo su un altro popolo, e nemmeno all’esclusione dei più deboli e dei meno tutelati, ma rappresenta la sfida a cui siamo chiamati tutti, non solo gli atleti: quella di assumere la fatica, il sacrificio, per raggiungere le mete importanti della vita, accettando i propri limiti senza lasciarsi bloccare da essi ma cercando di superarsi.
Nel discorso ai delegati dei Comitati Olimpici Europei, il 23 novembre 2013 Francesco rivolse queste parole:
È tipico dell’attività sportiva unire e non dividere! Fare ponti e non muri. Anche i cinque anelli intrecciati, simbolo e bandiera dei Giochi Olimpici, stanno proprio a rappresentare lo spirito di fratellanza che deve caratterizzare la manifestazione olimpica e la competizione sportiva in generale. Quando lo sport viene considerato unicamente secondo parametri economici o di conseguimento della vittoria ad ogni costo, si corre il rischio di ridurre gli atleti a mera mercanzia da cui trarre profitto.
Le Paralimpiadi
I Giochi Paralimpici si terranno a Tokyo dal 24 agosto al 5 settembre. Il valore dell’inclusione e il rispetto della dignità di ogni essere umano sono alcuni dei temi che scandiscono, il 5 ottobre del 2016, l’udienza di Francesco con i partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio della cultura su sport e fede:
Le nostre tradizioni religiose condividono l’impegno per assicurare il rispetto della dignità di ogni essere umano. Perciò è bello sapere che le istituzioni sportive mondiali hanno preso a cuore così coraggiosamente il valore dell’inclusione. Il movimento paralimpico e altre associazioni sportive a sostegno delle persone con disabilità, come Special Olympics, hanno avuto un ruolo decisivo nell’aiutare il pubblico a riconoscere e ammirare le straordinarie prestazioni di atleti con diverse abilità e capacità. Questi eventi ci regalano esperienze in cui risaltano in modo mirabile la grandezza e la purezza del gesto sportivo.