Trevisi: dal Papa un impulso alla partecipazione e alla speranza

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“Non si è condannati alla guerra e Trieste può testimoniare questo”, lo dice il vescovo del capoluogo giuliano dove il Papa ha concluso la Settimana sociale dei cattolici in Italia e ha poi celebrato la Messa. Nell’intervista monsignor Enrico Trevisi sottolinea alcune parole pronunciate da Francesco che impegnano la sua diocesi e la Chiesa in Italia a farsi “profeti e testimoni del Regno di Dio” vincendo “lo scandalo dell’umanità di Gesù”

Adriana Masotti – Trieste

Si è conclusa a Trieste la visita pastorale di Papa Francesco in occasione della Settimana sociale dei cattolici in Italia alla sua 50ma edizione sul tema: “Al cuore della democrazia. Partecipazione tra storia e futuro”. Due i momenti principali: il discorso al Generali Convention Center di fronte agli oltre mille delegati arrivati da tutta l’Italia e la celebrazione della Messa in Piazza Unità. Una visita molto significativa che impegna la Chiesa triestina e l’intera Chiesa in Italia ad alimentare “il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità”. Ai media vaticani, il vescovo della città, monsignor Enrico Trevisi, sottolinea alcune parole pronunciate da Francesco e traccia un primo bilancio della Settimana sociale e alle prospettive aperte sul futuro.

Ascolta l’intervista a monsignor Enrico Trevisi

Monsignor Trevisi comincerei dall’ultima parola che il Papa ha detto all’omelia: “A questa Chiesa triestina vorrei dire avanti, continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza”. Mi sembra un bell’impegno, un bel compito da adesso per il futuro…

Certo, è un incoraggiamento, ma è anche un imperativo per cui dovremo assumerci la responsabilità di non andare lenti nel rielaborare come procedere, andando avanti e avanti su tante sfide, anche in questa città. Siamo certamente sulla rotta balcanica, ma io ho voluto anche citare le persone malate con patologie gravi. E siamo anche una città dove a volte c’è anche la disperazione che causa la malattia, addirittura la richiesta di suicidio assistito. Questo, con tutto il rispetto per queste persone, dice però anche il grande bisogno di prossimità e noi dobbiamo raccogliere questa sfida. Nei confronti degli ammalati, nei confronti di persone anziane, tante persone anziane. Poi certo ci sono anche le sfide che ci portano a vedere il positivo, quella ad esempio di stare vicino alle famiglie giovani, per questo ho nominato anche due coppie che si sono sposate proprio ieri. E poi quella dei migranti: il Papa ha sottolineato che bisogna chiamarli per nome e lo ha ripetuto mentre lo accompagnavo verso l’elicottero. Il chiamare per nome evidentemente è simbolico. Chiamare per nome vuol dire riconoscimento della singolarità di ogni persona con la sua storia, con le sue ferite, ma anche con le sue speranze, con la sua voglia di riscatto. Anzi, nel discorso che ha fatto al Centro congressi a tutti i delegati, suscitando un applauso, ha detto anche che l’intervento di una buona politica non può essere solo quello dell’assistenzialismo perché con questo si mantengono le persone in uno stato di minorità. E c’è stato un applauso forte che dice davvero come l’impegno deve essere perché ogni ciascuno possa sentirsi riconosciuto come persona e dunque anche con le sue speranze. Per noi che abbiamo la speranza del Vangelo è un accompagnamento nella integralità. Io cito sempre Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium dove dice che i poveri talvolta sono anche i più discriminati nell’accompagnamento spirituale. E allora occorre farsi carico della integralità di un riscatto e di una speranza delle persone nelle quali c’è anche l’anima, cioè c’è anche il loro bisogno di senso, c’è il loro bisogno di amore infinito che proietta nell’eternità e dunque in compagnia di Dio.

Davvero molto denso il discorso al Centro congressi e poi anche l’omelia. Vuol sottolineare ancora qualcosa riguardo al tema della Settimana sociale: la democrazia, la partecipazione?

Sì, il Papa, sia nel discorso che nell’omelia, ha indicato nell’individualismo e nel consumismo che ci paralizza, l’incapacità di quelle relazioni positive che però ci fanno umani, ci riscattano, ci fanno uscire da queste gabbie pseudo culturali che in qualche modo condizionano tutti. E io ho colto questa grossa spinta a farci promotori di quella partecipazione. Poi ha detto anche che abbiamo come bussola, da una parte come cittadini la Costituzione, dall’altra il Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa, per cui abbiamo degli orientamenti, abbiamo un patrimonio di riflessione, che però non può restare qualcosa di teorico, ma ha bisogno di essere incarnato.
E ricordiamoci che noi crediamo in un Dio che si è fatto carne, come ha detto il Papa e dunque la verità che entra dentro il particolare, lo storico, con anche ciò che di parziale questo comporta. È l’assoluto di Dio e del suo amore che si dà nella carne fragile di un bambino come anche di un crocifisso. Penso che questi spunti ci portano a cogliere l’impegno che è affidato a tutte le comunità, a tutti quanti ritornano a casa per seminare questa partecipazione. Il Papa non ha nascosto un po’ di apprensione nei confronti del calo di partecipazione, della percentuale di coloro che vanno a votare, ma possiamo dire anche di quel ritrarsi nell’individualismo e in un benessere individualistico e consumista che allenta i legami. Ha fatto anche un riferimento al prossimo Giubileo “Pellegrini di speranza”, ma per riuscirci non dobbiamo aspettare il 2025, cominciamo subito!

Lei ha seguito tutti i lavori della Settimana sociale dei cattolici in Italia. Ci fa un breve bilancio su com’è andata?

Devo dire che è andata molto bene sia la prima parte al Centro congressi con relazioni di grande spessore e nello stesso tempo con lavori di gruppo che hanno coinvolto e fatto partecipare veramente tutti. Tutti sono stati chiamati a prendere la parola. E la novità sono stati i pomeriggi nelle Piazze della democrazia con l’animazione di tutta la città, Penso che questo sia stato molto bello. C’era da iscriversi e sono migliaia e migliaia le persone, oltre i delegati, che si sono iscritte, oltre a quelle che poi si fermavano senza essere iscritte. Certamente c’è stato un coinvolgimento della città come credo non era mai successo.

Trieste terra di confine, ma da qui parte adesso lo stimolo all’impegno per tutti i cattolici in Italia…

Certo, sì siamo in periferia però il Papa ha anche ricordato che siamo su un porto e sappiamo che i porti hanno delle autostrade che sono i mari. E per questo anche Trieste ha questa sua connotazione di essere da una parte una città cosmopolita, con dentro delle coesistenze storiche non prodotte dall’immigrazione degli ultimi decenni, e dall’altra parte una periferia che è anche profezia. Anche il Papa lo ha detto: una profezia perché è vero che anche qua si è sofferto tanto, ma è anche vero che adesso stiamo raccogliendo le opportunità. Chi è passato in città nei vari stand delle buone pratiche ha colto, ad esempio, la presenza delle comunità slovene come un riconoscimento positivo. Io penso che siamo chiamati ad essere un laboratorio e una profezia anche per i fratelli dei Paesi dei Balcani qui vicini che a volte sono ancora in tensione, o come per esempio in Ucraina. Trieste e la zona dell’Istria sono state accomunate in qualche modo a quello che sta subendo adesso l’Ucraina, con sofferenze e fatiche diverse. Ci vuole tanto tempo, ma non si è condannati alla guerra e Trieste lo può testimoniare. Trieste con la Slovenia con la Croazia: oggi siamo nazioni diverse però viviamo un clima di partecipazione anche grazie all’Unione europea: con tutte le problematiche ancora aperte, viviamo l’impulso a riconoscere la dignità l’uno dell’altro e a camminare insieme.