di Giselda Adornato
In poche righe commosse e liriche, scritte in un autografo e poi pubblicate sui giornali, l’arcivescovo di Milano cardinale Giovanni Battista Montini, il 12 aprile 1961, partecipa al traguardo raggiunto dall’uomo con la conquista dello spazio; è l’impresa di Yuri Gagarin, il cosmonauta sovietico, felicemente lanciato quel giorno a bordo della capsula spaziale Vostok Est per un giro orbitale di 89 minuti intorno alla Terra. Ecco le sue parole: «Cresce la contemplazione dell’universo. Cresce la speranza del mondo. E tutto questo sembra acquistare senso d’un risveglio nel mistero, sempre più grande, più profondo e più attraente, dell’essere. Del cosmo, così immenso, così vicino, così penetrato di unità e di causalità. La vastità astrale del nuovo panorama invita ancor più al dovere radicale della esistenza, quello religioso, che ci spinge nel segreto del mondo e della vita, e ci allena a celebrare a maggior voce l’ineffabile e incombente grandezza di Dio».
Per Montini, questa dello spazio è una strada entusiasmante e promettente perché l’uomo moderno giunga allo scopo dell’esistenza: la rivelazione di Dio. È la grandiosa possibilità che la scienza e la tecnologia si aprano alla Sapienza, perché l’audacia delle imprese spaziali, svelando all’uomo i segreti del cosmo, può fare avanzare l’umanità nel suo cammino, che è l’approdo alla Verità.
È interessante in questo senso la riflessione dell’arcivescovo sull’Epifania; l’incontro tra scienza e fede può partire ed essere favorito dalle caratteristiche sapienziali dei Magi, i quali si muovono al seguito della stella in quanto «fatto astronomico, fisico, sperimentale», come dice l’arcivescovo nell’omelia del pontificale del 6 gennaio 1958. «Essi partono da uno studio scientifico, che non rimane fine a se stesso, ma diventa segno d’altra realtà più importante, alla quale dirigono non solo la mente, ma anche i loro passi di pellegrini fidenti e coraggiosi».
Il tema viene messo a fuoco dal pastore ambrosiano soprattutto parlando agli operatori della Fiera campionaria, per esempio il 17 aprile 1960: «Noi oggi perché studiosi, perché imbevuti di scienza e di passione esploratrice siamo più disposti alla religione, avidi quasi di averne esperienza»; o in modo più lapidario il 15 aprile 1962: «Noi siamo convinti che l’uomo moderno se vuol essere coerente colla sua stessa razionalità, dovrà tornare religioso».
L’arcivescovo mostra un curioso e affascinato interesse per i nuovi domini del sapere: e nessun campo dell’intelligenza umana, supremo dono di Dio, può essere estraneo alla Chiesa. Instaura contatti con scienziati, come Enrico Medi, l’illustre fisico allievo di Enrico Fermi, vicepresidente dell’Euratom, ricevuto a Milano diverse volte, che in seguito sarà membro della Consulta dei laici per lo Stato della Città del Vaticano (nel 1995 è stata aperta la causa di beatificazione).
Sempre nel pontificale dell’Epifania 1958 Montini cita l’«esperienza religiosa cosmica» di Einstein e ne deriva questo auspicio: «Non potremmo supporre, augurare almeno, che la meravigliosa evoluzione scientifica del nostro tempo fosse la stella, il segno che spinge il cammino dell’umanità moderna verso una nuova ricerca di Dio, verso una nuova scoperta di Cristo? L’Epifania non potrebbe avere, proprio dal mondo della scienza e della tecnica, un suo notturno, ma luminoso e incoraggiante preludio? Potrebbe; ed è la nostra speranza». Nell’Epifania del 1962 il cardinale Montini si riferisce al matematico Francesco Severi, scomparso poche settimane prima, che «coronò con la fede la sua lunga e gloriosa carriera scientifica», per arrivare alla stessa conclusione: «Il grande libro dell’universo dovrebbe essere la nostra normale e magnifica introduzione alla religione: o almeno alla ricerca di Dio».
In seguito Paolo VI affronta almeno una quindicina di volte nel corso del suo pontificato l’argomento delle conquiste spaziali, ricevendo partecipanti a congressi, ingegneri, tecnici e, com’è noto, il comandante dell’Apollo 8 e gli astronauti dell’Apollo 11. Il pontefice riflette su questi orizzonti anche durante alcuni Angelus e in diverse udienze generali. Ad esempio, il 2 agosto 1964, prima della recita dell’Angelus a Castel Gandolfo, commenta il lancio della sonda americana Ranger VII, il 28 luglio precedente, arrivata sulla luna da dove ha trasmesso a Cape Kennedy circa 4000 immagini. Per il papa «questa esplorazione dello spazio immenso, del cosmo rivela a noi l’umana piccolezza, ma nello stesso tempo la nostra grandezza». E l’ammirazione si risolve in preghiera «perché l’uomo, dalla maggior conoscenza della creazione, sappia trarre motivo di un nuovo inno alla gloria e alla maestà del Creatore».
Il 29 aprile 1965 Paolo VI si rivolge al generale dell’aeronautica militare italiana Luigi Broglio e ad ingegneri e tecnici del Centro italiano ricerche aerospaziali, che hanno messo a punto i primi satelliti artificiali italiani, il San Marco I e II. Mette in guardia sulla tentazione di trarre da queste «ardite sperimentazioni» uno «sterile senso di autoesaltazione»: perché «nessuno meglio di voi, uomini di scienza e di calcolo esatto, può capire la infinita sproporzione tra l’essere creato e l’increato Iddio, fra il commensurabile e l’immenso, fra il limitato e l’Infinito».
La sera del 24 dicembre 1968 il papa celebra la messa all’Italsider di Taranto, un momento altamente significativo del pontificato. Ma il mondo è concentrato sul primo volo Terra-Luna, che ha luogo tra il 21 e il 27 dicembre, «Sei giorni fantastici per l’umanità» come scrivono i quotidiani italiani. E proprio in quella vigilia natalizia, la televisione fa vedere il nostro pianeta ripreso per la prima volta dall’orbita lunare e segnala il momento più pericoloso dell’impresa, il passaggio degli astronauti dall’orbita lunare a quella terrestre. Ma papa Montini ha già plaudito al viaggio «favoloso» e all’«audacissima e studiatissima impresa», sia durante l’Angelus di domenica 22 che nel consueto discorso ai cardinali per gli auguri di Natale del 23, auspicando che «l’umanità che osserva e che pensa» ne derivi «logicamente […] un inno nuovo al Dio dell’universo».
Infine, nel 1969, Paolo VI interviene più volte per commentare l’impresa spaziale lunare, che lo affascina come uomo intelligente e come cristiano che sempre si interroga sulle meraviglie di Dio. Vi medita con profondità e accenti di stupore poetico; e prega «per i pensatori e gli eroi della favolosa impresa». Lo fa già in occasione del volo spaziale dell’Apollo 10, il 21 maggio 1969, durante l’udienza generale: «V’è qualche cosa nell’uomo che supera l’uomo, v’è un riflesso che sa di mistero, che sa di divino. Adoriamo in silenzio. Ed insieme, noi credenti, noi cristiani».
E comunque, l’entusiasmo incantato del papa non gli fa perdere di vista le emergenze drammatiche sulla Terra e il giorno prima dell’allunaggio, all’Angelus del 20 luglio 1969, Paolo VI ricorda che ogni traguardo scientifico deve assicurare agli uomini i diritti fondamentali: «Ancora vi sono, lo sappiamo, tre guerre in atto sulla faccia della terra: il Vietnam, l’Africa, il Medio Oriente. Una quarta si è aggiunta già con migliaia di vittime tra il Salvador e l’Honduras. Quale sarebbe il vero progresso dell’uomo se queste sciagure perdurassero e si aggravassero?». È finito il tempo della paura del progresso, insiste papa Montini, che già davanti all’assemblea dell’Onu ha affermato: «Il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere molti dei gravi problemi che assillano l’umanità». Anche la corsa per la conquista dello spazio deve essere pacifica e avvicinare i popoli, coinvolti in comuni destini.
Il giorno fatidico del 21 luglio 1969, pochi minuti dopo che la navicella spaziale ha toccato il suolo lunare, il papa rivolge un saluto agli astronauti attraverso la televisione italiana: «Qui, parla a voi astronauti, dalla sua specola di Castel Gandolfo, vicino a Roma, il Papa Paolo VI. Onore, saluto e benedizione a voi, conquistatori della Luna, pallida luce delle nostre notti e dei nostri sogni. Portate ad essa, con la vostra viva presenza, la voce dello spirito, l’inno a Dio, nostro Creatore e nostro Padre. Noi siamo a voi vicini con i nostri voti e con le nostre preghiere. Vi saluta con tutta la Chiesa cattolica il Papa Paolo VI». Ai tre astronauti Neil Armstrong, Edwin Aldrin e Michael Collins il papa ha affidato un messaggio da lasciare sulla luna, che riporta il salmo 8 e alcune parole di gloria a Dio in latino. Ricevendoli il 16 ottobre in udienza, offrirà in dono a ciascuno una ceramica raffigurante i tre Re Magi, dal chiaro significato. Ancora il 12 luglio 1978, tre settimane prima della morte, Paolo VI così parla ai membri dell’Unione internazionale di astronomia: «Aiutateci a sollevare i nostri cuori e le nostre menti oltre i limitati orizzonti delle nostre fatiche quotidiane, per abbracciare il vasto dominio di stelle e galassie, e scoprire al di là, la magnificenza e il potere del Creatore».
Su questo tracciato di pensiero e di fede «cosmici», papa Montini si rivolge ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, ma anche ai fedeli durante le udienze generali in San Pietro.
Troviamo espressioni alte e bellissime, dove il papa interpreta in slanci lirici l’invisibile che è sorgente del visibile. Così nel rito di chiusura dell’Anno Santo, il 25 dicembre 1975: «La Fede è la Vita. È la Vita, perché raggiunge Te, o Dio; Te, oceano dell’Essere, pienezza superante e incombente d’ogni Esistenza, cielo dell’insondabile profondità, non solo della terra e del cosmo, ma pari solo a Te stesso, infinito oltre lo spazio, Padre di tutto quanto esiste». Così nel Pensiero alla morte, dove il papa celebra «questo universo dalle mille forze, dalle mille leggi, dalle mille bellezze, dalle mille profondità» che «è un riflesso della prima ed unica Luce». Così, in sublime sintesi, in alcune note personali durante un ritiro, il 18 luglio 1974: «Microbo nello spazio e nel tempo, io posso almeno celebrare l’universo».