di Piero Di Domenicantonio
C’è voluto tempo, anni, prima che riuscissi a scrivere quella data correttamente. Una volta le dita sulla tastiera invertivano i numeri del giorno, l’altra scambiavano una lettera con un’altra nel comporre il nome del mese. Quel giorno di quarant’anni fa io c’ero in piazza San Pietro ed ero felice di esserci fino a quando non è successo quello che mai avrei pensato potesse accadere.
Ero poco più che ventenne. Un cronista alle prime esperienze col compito di raccontare l’udienza generale del Papa. Quello che il nostro giornale ha continuato a fare e riprenderà a fare non appena — e speriamo sia presto — la situazione sanitaria consentirà la presenza dei fedeli.
Come tanti altri mercoledì ero arrivato in piazza San Pietro con largo anticipo per raccogliere con calma storie tra i pellegrini e i fedeli. Come sempre, il clima era di festa: canti, preghiere, un vociare continuo in tutte le lingue. C’era anche un gruppetto di bambini di una parrocchia romana che tenevano tra le mani dei palloncini colorati.
Intorno alle 17, dai settori più vicini all’Arco delle campane si è levato un applauso che ha rapidamente contagiato tutta la piazza. Il Papa era arrivato e in piedi sulla campagnola bianca salutava costeggiando le transenne: due giri perché nessuno rimanesse senza il suo saluto e la sua benedizione. Io ero tra gli ultimi a seguire il corteo: mi era stato insegnato ad essere discreto, a non intralciare con la mia presenza quello scambio di affetti che tanti avrebbero custodito tra i ricordi più belli della loro vita.
Anche il sole sorrideva su piazza San Pietro. Poi, i colpi di pistola, le grida, la jeep che parte a tutta velocità. Ma non si vede più il Papa in piedi a salutare.
Ci trovavamo sul lato della piazza che dà verso il portone di bronzo, poco distanti dal settore dove prima avevo visto quei ragazzini con i palloncini. D’istinto mi volto pensando che ne sia scoppiato qualcuno. Dietro la transenna la gente urla, si guarda indietro. Comincio a correre anche io nella direzione presa dalla jeep. Ormai si è capito cosa è successo.
Sotto il braccio di Carlo Magno, nella postazione dell’Ordine di Malta che durante le udienze prestava servizio di assistenza medica, trovo un telefono e cerco di mettermi in contatto con la redazione. Sui volti delle persone che mi passano vicino vedo spavento, incredulità. Forse anche loro vedono sul mio la stessa espressione, quella di sentirsi improvvisamente orfani.
Sarà una notte lunga. Al Policlinico Gemelli, dove il Papa è stato ricoverato, i medici tentano l’impossibile. In piazza San Pietro la gente è ancora lì, prega e spera. In redazione si prepara l’edizione straordinaria che uscirà alle sette del mattino con le prime, confortanti notizie che giungono dall’ospedale.
Dieci anni dopo, Giovanni Paolo ii si recò in pellegrinaggio a Fatima, per rinnovare il suo grazie a Maria. Il giornale mandò me come inviato. Anche quel giorno era il 13 maggio ed ero felice di esserci.