Emanuela Campanile – Città del Vaticano
“Un incondizionato, unilaterale cessate il fuoco a partire da ieri 28 giugno”, ad annunciarlo il governo etiopico del premier Abiy Ahmed.
Le armi taceranno fino a settembre e cioè per tutta la durata della stagione agricola. “Un’opportunità per i contadini di coltivare la loro terra – recita il comunicato del governo – per i gruppi umanitari di operare e per le forze ribelli del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray di riprendere il cammino della pace”. Secondo alcuni esperti di diritto internazionale e dei diritti umani che stanno monitorando l’evolversi della crisi armata, molte delle azioni perpetrate nelle zone di belligeranza potrebbero essere classificate, nell’ambito dell’ordinamento giudiziario in sede internazionale, come «crimini di guerra» e «contro l’umanità».
Migliaia le vittime
Le forze ribelli sono nel frattempo entrate nella capitale regionale Macallè. Il conflitto, nella più settentrionale delle dieci regioni dell’Etiopia – è iniziato ai primi di novembre con l’invio di truppe federali contro l’amministrazione ribelle. Gli scontri armati, ai quali hanno partecipato anche truppe eritree a fianco di Addis Abeba, hanno provocato milioni di profughi e di sfollati oltre a migliaia di vittime civili.
Guerra e calamità naturali
“Lo scorso anno lo sciame di locuste ha distrutto quasi tutto”, spiega Abraham Belay, capo dell’amministrazione provvisoria del Tigray. “E i contadini non hanno potuto raccogliere il resto del raccolto, perché poi è iniziata la guerra. E ora, se non possono coltivare e raccogliere neanche in questa stagione delle piogge, sarebbe un grosso problema per la comunità, anche per gli anni a venire”.Secondo le stime Onu, sono oltre 5 milioni le persone che corrono il rischio di subire le conseguenze della carestia. Stati Uniti, Iralnda e Regno Unito hanno chiesto un’urgente riunione del consiglio di sicurezza delle nazioni Unite.