Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
E’ sempre più drammatica la situazione umanitaria nel Tigray, la regione nel nord dell’Etiopia dove da più di sette mesi è in corso un conflitto tra l’esercito di Addis Abeba, appoggiato da truppe eritree, e le milizie del partito autonomista tigrino Tplf, con migliaia di vittime e almeno 1,7 milioni di persone costrette ad abbandonare le loro case. Secondo l’ultimo rapporto Ipc (Integrated phase classification), pubblicato ieri, sulla sicurezza alimentare 350 mila persone soffrono già la fame e rischiano la vita, mentre 4 milioni sono in situazione grave, su una popolazione di poco più di 5,5 milioni di abitanti. E se gli aiuti non arrivano a più persone, presto a rischio della vita saranno 400 mila tigrini.
Il conflitto impedisce agli aiuti di raggiungere chi è senza cibo
“Per facilitare l’assistenza umanitaria” della popolazione del Tigray, che le agenzie internazionali non riescono a raggiungere, soprattutto nelle zone rurali, l’Unione europea e gli Stati Uniti, alla vigilia del vertice dei Paesi del G7 nel Regno Unito, hanno chiesto il cessate il fuoco, il ritiro dell’esercito eritreo e alla comunità internazionale di aumentare gli sforzi di assistenza nella zona. Sempre ieri la Fao, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, il Programma Alimentare Mondiale (Pam) e l’Unicef, hanno chiesto un’azione urgente per affrontare la drammatica insicurezza alimentare nel nord dell’Etiopia.
Aumentare gli interventi con alimenti salvavita
Il rischio di carestia, denunciano le organizzazioni delle Nazioni Unite è imminente, a meno che il cibo, l’assistenza ai mezzi di sussistenza e altri interventi salvavita vengano sempre aumentati, sia garantito un accesso senza ostacoli agli aiuti e le ostilità cessino. Si tratta infatti, secondo il rapporto Ipc, di 350 mila persone a rischio concreto di morte per fame, il più alto numero di persone classificate a livello 5 (catastrofe) in un solo Paese nell’ultimo decennio, “almeno da quando 250 mila somali, nel 2011, persero la vita” ricorda Mark Lowcock, responsabile dell’Ocha, l’ufficio dell’Onu per il coordinamento degli affari umanitari.
Crisi grave anche nelle regioni di Afar e Amhara
E se nel Tigray, più di 4 milioni di persone, il 70% della popolazione, sperimentano alti livelli di insicurezza alimentare acuta (Ipc 3 o superiore), le aree confinanti delle vicine regioni di Afar e Amhara, che ospitano un gran numero di sfollati interni del Tigray, hanno il 60% e il 41% delle loro popolazioni in alti livelli di insicurezza alimentare acuta (rispettivamente oltre 450.000 e 1 milione di persone).
Beasley (Pam): non riusciamo a raggiungere le campagne
Delle tre organizzazioni è il Pam-Wfp, Premio Nobel per la pace 2020, quella impegnata sul campo con il maggior numero di operatori, 180, e di risorse (8 magazzini dove sono raccolti gli aiuti alimentari salvavita a Mekelle, che gli italiani occupanti ribattezzarono in Macallé). “La brutale realtà per il nostro staff nel Tigray è che per ogni famiglia che raggiungiamo con cibo salvavita, ce ne sono innumerevoli altre, specialmente nelle zone rurali, che non possiamo raggiungere”, spiega il direttore esecutivo del Pam-Wfp, David Beasley. “Abbiamo fatto appello per l’accesso umanitario, ma siamo ancora bloccati dai gruppi armati. La capacità della gente del Tigray di accedere a servizi vitali e che il Wfp possa raggiungerli con l’assistenza alimentare è essenziale per evitare una catastrofe. L’accesso deve essere esteso ben oltre le principali città per raggiungere le persone in disperato bisogno ovunque esse siano, con un’assistenza adeguata e senza ritardi.”
Prima della guerra, le locuste, la grandine e la siccità
Maria Santamarina, responsabile del Pam in Etiopia e delle operazioni nel Tigray, ricorda che “questa è una regione che anche prima del conflitto è stata colpita da emergenze, negli ultimi anni. Abbiamo avuto le locuste del deserto l’anno scorso, le tempeste di grandine, e alcune zone della regione, sono già cronicamente colpite dalla siccità. Quindi questa è un’area già un po’ al limite e oggi con il conflitto, l’interruzione dei sistemi sanitari, il collasso dei mercati in molte aree, l’impossibilità di seminare nuove piante perché la gente non ha accesso ai semi, ai fertilizzanti e non ha la sicurezza per poter piantare, per il Pam la priorità continuerà ad essere l’assistenza umanitaria. Questo finché la situazione non permetterà alla gente di riprendere le proprie attività di sussistenza e soddisfare da sola le proprie esigenze alimentari”.