Debora Donnini – Città del Vaticano
Dolore per quanto sta accadendo a Gaza, in Israele, in tutto il territorio ma anche speranza per una possibile tregua per riavviare “un processo di dialogo che è essenziale per questa terra”. Così don Francesco Giosuè Voltaggio, rettore del Seminario Redemptoris Mater di Galilea, raggiunto telefonicamente, parla della situazione che si respira in queste ore. Oggi ancora ci sono stati alcuni episodi di violenza ma si intravede, secondo diverse parti, un possibile realizzarsi di un cessate il fuoco. Il Papa domenica scorsa aveva espresso profonda preoccupazione per la situazione.
Don Voltaggio si sofferma in particolare sulla realtà della Galilea, esprimendo “preoccupazione” anche per quello che sta succedendo in alcune città della zona: alcune erano modelli di convivenza come, per esempio, Haifa. Preoccupazione soprattutto per questi scontri “che facevano temere – speriamo di parlare al passato – una guerra civile e poi perché questa nuova guerra ha riaperto vecchie ferite e anche violenza sopita, forse anche alimentata dal dramma della pandemia”, afferma. I lanci di razzi dal Libano sono stati episodi sporadici che in Galilea non hanno portato a gravi conseguenze ma comunque a disagi, afferma. “Speriamo – prosegue – che questo non dia adito a un’escalation di violenza da una parte e dall’altra”. Tutte le sofferenze legate alla pandemia, possono aver contribuito a esacerbare la situazione, nota: “come hanno dichiarato dottori e infermieri – parlo soprattutto della Galilea – c’è stato un esplodere di violenze a livello domestico, contro le donne….”.
Gli appelli alla pace dei leader religiosi
Fin dai primi momenti, rappresentanti delle diverse religioni in Terra Santa si mossi. Innanzitutto, ricorda don Voltaggio, i capi delle Chiese cristiane hanno fatto una dichiarazione, così anche l’arcivescovo Pierbattista Piazzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, ha fatto una dichiarazione. “Poi specialmente a livello locale, attraverso alcuni incontri o alcuni video su Internet che hanno avuto una certa risonanza, responsabili di cristiani, ebrei e musulmani, hanno cercato di fare degli appelli, soprattutto in Galilea, per calmare questi episodi di violenza e per dichiarare chiaramente che sono contro la violenza tra le tre religioni”.
Il pellegrinaggio
Quando la situazione è migliorata sul fronte della pandemia e prima dello scoppio di questi conflitti, racconta, il Seminario ha fatto un pellegrinaggio, nell’Ottava di Pasqua, sui luoghi delle Apparizioni di Gesù a Gerusalemme e in Galilea, “portando i nostri auguri ai vescovi cattolici”. “Come è qui consuetudine, i cristiani si salutano rivolgendosi l’augurio di Pasqua: ‘Cristo è veramente risorto!’”. “E’ stata – dice – un’esperienza stupenda celebrare nei luoghi stessi in cui è apparso Gesù Risorto. Questa è una speranza anche per questo tempo, per tutta la Terra Santa: che Cristo Risorto e il dono dello Spirito ci regali la pace, esterna e interna”. Ricorda anche come fossero in programma molti pellegrinaggi perché i pellegrini desiderano tornare e questo è essenziale, nota, non solo per la nostra fede ma anche per israeliani e palestinesi.
La “missione” dei cristiani in Terra Santa
La prima missione di “noi cristiani in questa realtà così variegata delle religioni in Terra Santa, è di essere ponti di riconciliazione e di pace”, sottolinea ancora. Certamente “il ponte in queste situazioni è quello che soffre di più perché può essere tirato da una parte o dall’altra, eppure non possiamo rinunciare a questo. Ricordiamoci che il primo ‘ponte’, il primo Mediatore, è Gesù Cristo, Mediatore tra Dio e gli uomini, e in Lui anche noi cristiani siamo chiamati esattamente a questo”.