Debora D’Angelo – Città del Vaticano
Presenti 400 giovani per l’evento che si svolge in una sola giornata, causa Covid, e che vede oggi alternarsi diversi momenti: dalla preghiera in mattinata davanti l’urna di San Gabriele fino alla Messa conclusiva nel pomeriggio. Il titolo della Tendopoli – nata sin dal 1980 dai passionisti legati al Santuario e da un’idea di padre Francesco Cordeschi – quest’anno è “Talità Kum, giovane dico a te, alzati” ed è caratterizzata da una partecipazione in presenza e virtuale, con l’obiettivo consueto di dialogare con i giovani, incontrarli e condividere con loro gioie e fatiche del loro vivere, in un clima di preghiera e festa. Tra gli ospiti di questa quarantaduesima edizione, padre Massimo Granieri – sacerdote passionista, critico musicale dell’Osservatore Romano e conduttore radiofonico – col suo intervento sul tema “Ti solleverò dai tuoi sbalzi di umore”, e don Alberto Ravagnani con una conferenza sul tema della Tendopoli. Il giovane sacerdote influencer è diventato famoso tra i giovani sui social, dopo aver aperto i propri canali nel complicato periodo della pandemia. Gli spazi e i linguaggi che gli ambienti digitali offrono alle nuove generazioni, sono al centro infatti di questa giornata in cui si riflette anche sui nuovi strumenti di evangelizzazione e di ascolto. Ne abbiamo parlato proprio con don Alberto:
Gli obiettivi della 42esima Tendopoli dei giovani e il motivo della sua partecipazione: quale messaggio vuole trasmettere ai partecipanti?
Dopo un po’ di anni passati con la paura del Covid, credo sia importante dare un messaggio di ripartenza e speranza ai ragazzi e ridestare in loro la passione. “Talita Kum” è il titolo dell’evento e l’obiettivo è quello di infondere nei giovani un coraggio che li porti a rialzarsi concretamente nella vita e a riprendere in mano gli aspetti fondamentali dell’esistenza, in primis il loro rapporto con Dio.
In che modo il mondo dei social può essere uno strumento per avvicinare i giovani alla Parola di Dio?
Attraverso i social abbiamo la possibilità di raggiungere molti giovani. I social network pervadono le nostre vite, in particolar modo quelle dei ragazzi, e sono dei mondi fatti di relazioni: se riusciamo ad entrarci, possiamo esistere concretamente nel loro tempo e nel loro spazio. È possibile una presenza della Chiesa e del Vangelo sui social nei contenuti che i giovani fruiscono. Nella mia esperienza ho scoperto che i ragazzi sono avvicinabili, perché queste piattaforme abbattono le distanze: non ci sono barriere nella comunicazione e nel mettersi in contatto con gli altri. La comunicazione articolata online riesce ad arrivare in maniera forte, facendo leva sulle emozioni delle persone. Il punto è se siamo in grado di farlo e se siamo disposti a intraprendere questo tipo di avventura.
Lei come sacerdote si è messo in gioco sui social, quali può dire siano punti forti e deboli della sua comunicazione online?
Mi mostro sui social per come sono, mettendoci la faccia. Cerco di coinvolgere molto anche con la gestualità e le espressioni del viso; mi concentro sulle storie vissute, mostrando la mia vita e quella dei ragazzi nell’oratorio. Il mio punto debole è il tempo a disposizione perchè ci sono molte attività da seguire e creare contenuti o community richiede dello studio. Quasi al pari di un’attività pastorale fatta in presenza. In ogni caso, comunicare è una cosa seria, seppur l’attività online non sia sempre riconosciuta con la stessa dignità di quella in presenza.
Le è mai capitato di incontrare religiosi curiosi o intimoriti dalla sua attività sui social? Quali sono i giudizi più comuni?
Erano un pò intimoriti dalla presenza del mio volto sui social, letta da molti in chiave narcisistica. Il linguaggio semplice da me utilizzato è stato interpretato come superficialità o mancanza di preparazione; in realtà, io credo che sia importante “metterci la faccia” e utilizzare un determinato registro lessicale per essere compresi da un numero più ampio di persone. Molti concetti della Chiesa che appaiono scontati, ai giorni nostri non riescono ad avere lo stesso potere comunicativo e occorre fare un grande lavoro di ri-significazione semantica e partire dalle espressioni che la gente conosce. Da queste basi si può discutere con concetti più difficili. Allo stesso tempo però, bisogna parlare del Vangelo: Gesù ha usato parole e parabole del mondo delle persone più umili. Oggi la Chiesa deve capire chi ha davanti e come farsi comprendere, mostrandosi e utilizzando un linguaggio popolare.