Chiesa Cattolica – Italiana

Suor Nabila e la passione di Gaza: “Pasqua dolorosa guardando alla risurrezione”

Dalla parrocchia latina della Striscia ormai divenuta una prigione, la suora torna a raccontare ai media vaticani le difficoltà e le speranze di una popolazione impaurita dalle bombe e fiaccata dalla mancanza dei beni di prima necessità: “Viviamo senza nulla ma preparando i cuori con la fede e la speranza”. Il nuovo appello al mondo: serve la pace, le guerre non hanno né vincitori né vinti

Federico Piana – Città del Vaticano

I simboli della passione di Gaza sono visibili, eccome. Sono le lacerazioni sui corpi di quelle sette persone che ancora lottano tra la vita e la morte distese su un giaciglio di fortuna nella parrocchia latina della Sacra Famiglia. Il giaciglio come croce e le schegge, che nessun medico è potuto andare a tirar via da quelle carni martoriate ed infette, come i chiodi della croce.

Via dolorosa

Quando suor Nabila Saleh, da quattordici anni vive a Gaza City, dove ha diretto la scuola più grande della Striscia. Parla dei feriti con i media vaticani e mostra tutta la sua disperazione: “Non possiamo trasportarli in nessun ospedale, perché semplicemente gli ospedali non esistono più. I dottori del quartiere fanno fatica a curarli, avrebbero bisogno di essere operati ma qui è impossibile, manca tutto, perfino l’elettricità”. E che ciò che stanno patendo questi moribondi rappresenta in toto la via dolorosa sulla quale si è incamminata tutta la Striscia da quando sono iniziati i bombardamenti israeliani, lo si capisce nel momento in cui la religiosa della Congregazione del Rosario di Gerusalemme lascia sospesa una frase: “Noi stavamo aspettando…”. Che poi non solo vuol dire che avevano sperato che qualcuno andasse a salvare quei poveri malati ma che ci fosse anche una tregua almeno di qualche giorno per permettere alla quasi totalità dei cristiani presenti nella struttura ecclesiale e alla popolazione della zona di poter ricevere gli aiuti umanitari.

Speranza pasquale

E si stupisce anche da sola, suor Nabila, mentre racconta che è proprio in questo clima di assenza materiale che la Settimana Santa è stata vissuta “forgiando i cuori dei parrocchiani con la fede e la speranza. L’unica luce che vediamo è quella del Signore”. L’occupazione militare ed i missili, aggiunge, non “scoraggiano la partecipazione massiccia alla messa quotidiana e alla recita del santo rosario”. In fondo, gli uomini, le donne ed i bambini della Sacra Famiglia stanno guardando alla Resurrezione di Cristo anche confidando nella propria: “Anche se è difficile, speriamo di poter rimanere stabilmente in pace nella nostra terra”, sussurra la suora.

Suor Nabila in una stanza della parrocchia colpita dai bombardamenti

Il balsamo di Francesco

La recente lettera del Papa indirizzata a tutti i cattolici di Terra Santa nella quale il Pontefice ha ricordato la sua preghiera e la sua vicinanza è stata un balsamo per le ferite della religiosa e dei suoi parrocchiani. “Il suo messaggio – afferma commossa – è stato molto forte. Ci infonde il coraggio di proseguire nel nostro cammino di fede. La lettera l’abbiamo diffusa tra noi anche per whatsApp. E poi Francesco chiama in parrocchia ogni giorno: quando riesco a parlarci, anche io gli chiedo sempre preghiere:  dalle sue risposte percepisco sempre l’amore di tutta la Chiesa”.

Il grido al mondo

È proprio dalla sua parrocchia ormai diventata una prigione che suor Nabila Saleh, alla fine della conversazione, torna a lanciare un messaggio a tutta la comunità internazionale: “Chiediamo la pace, la guerra non fa né vincitori né vinti”. Un grido di dolore che sembra rivolto soprattutto a chi sta continuando a bombardare senza tregua.

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