Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Il buio è un protagonista, in questa storia che sconvolse più di venti anni fa l’Italia, con la presa di coscienza che era vivo il fenomeno del satanismo. Il buio è quello della notte dell’omicidio di suor Maria Laura Mainetti, e quello delle coscienze delle tre giovani che, nell’oscurità, trovarono il complice perfetto per uccidere. Ma è un buio che stride con il corpo esile di una suora, illuminata dall’amore per gli altri, capace di non consegnare, all’ultimo istante della sua vita, parole di dolore ma di perdono, sapendo che nella misericordia queste giovani potevano ritrovare un soffio per ripartire, per ricostruire dalle fondamenta una vita nuova.
Nata come Teresa, abbraccia la croce col nome di Maria Laura
Suor Maria Laura aveva 61 anni quando è stata uccisa, il 6 giugno del 2000 a Chiavenna, in provincia di Sondrio. Il suo vero nome era Teresina, ultima di dieci figli, la madre morì pochi giorni dopo il parto e lei venne cresciuta dalla sorella maggiore. A 18 anni sceglie di entrare nella Congregazione delle figlie della Croce; una scelta che è radicata in lei tanto da firmarsi sempre per esteso come “suor Maria Laura figlia della Croce”. E’ una croce che abbraccia e ama, che la spinge ad aprirsi agli ultimi, e soprattutto ai giovani che vede smarriti. Di se stessa diceva: “Ci sono costanti che mi hanno sempre accompagnata: una gioia profonda, al di là delle difficoltà; la certezza di Cristo che mi ama, mi perdona, mi rinnova e non mi abbandona mai; l’amore per ogni persona come tale, in quanto incarnazione di Cristo, particolarmente i meno amati”.
“Ha perdonato il vuoto che le assassine avevano dentro”
Sul canale YouTube de “Il Settimanale della diocesi di Como” alle ore 20.45 di stasera e poi il prossimo 11 maggio, si terranno due serate formative sulla figura di suor Maria Laura, che sarà beatifica il 6 giugno 2021, alle 16, allo stadio comunale di Chiavenna. Un percorso di preparazione per vivere al meglio questo importante momento per la Chiesa. La testimonianza della postulatrice, Francesca Consolini:
R. – I martiri non si improvvisano, la loro morte è sempre il coronamento di una vita vissuta alla luce di Dio, nello spirito della fede, dell’offerta, della carità, della speranza con le caratteristiche anche di contingenza in cui il martire si trova a vivere. Don Puglisi, per esempio, ha difeso la giustizia contro la mafia, l’arcivescovo Romero ha difeso i poveri. Il martirio di suor Maria Laura è stato il coronamento di un percorso che praticamente è durato tutta la vita, per lo meno fin da quando ha deciso che la sua vita sarebbe stata donata al Signore nella consacrazione religiosa. La sua è stata una continua ricerca di Dio, un superare se stessa per conoscere più a fondo il Signore, amarlo sempre di più e parallelamente amare sempre di più l’altro, a me piace ricordare questo. Suor Maria Laura è morta perché non ha saputo e non ha voluto dire di no a una richiesta d’aiuto, pur camuffata e pur ingannevole, da parte di una ragazza che gli ha prospettato una sua difficoltà. Lei è uscita, è andata incontro per aiutare e questo in nome di quello che diceva e cioè che “noi dobbiamo abituarci ad essere mangiati dagli altri”. Voleva dire essere delle presenze attive, essere delle presenze attente, essere sempre disponibili a farsi disturbare dall’altro perché l’altro è Cristo che, nella figura del povero, del giovane, della consorella, del vicino, di chiunque ti viene in quel momento a chiedere un aiuto, ti chiede una disponibilità. Lei diceva che il dono più grande è scoprire Cristo nel fratello e quindi non mettere limiti a questa carità, a questa generosità. Un duplice aspetto: vedere Cristo nell’altro che andiamo in quel momento a servire, ad aiutare ma che a sua volta l’altro veda Cristo in noi. Definiva la quotidianità un’incarnazione, un incontro delle piccole cose di ogni giorno con il mistero. “Mi incontro con Dio così come Maria ha incontrato il Verbo”: questa è la chiave di tutta la sua vita.
Lei ha studiato la vita di suor Maria Laura sviscerandola in ogni aspetto. Al di là di questa morte da martire, c’è un episodio della vita che secondo lei rappresenta al meglio il carisma di questa suora?
R. – Non ci sono episodi eclatanti. La dimensione in cui suor Maria Laura è vissuta è la dimensione della quotidianità eroica, ogni giorno essere fedele. Era una maestra quindi un’educatrice, la sua vita l’ha svolta con i bambini, con gli adolescenti, con i giovani. Era molto legata al mondo giovanile, diceva che i giovani erano la ragione della sua vita. Non ci sono degli episodi eclatanti, perché la sua dimensione era proprio la quotidianità, ma era anche una sua scelta. Lei si chiedeva: “Cosa avrebbe fatto Gesù al mio posto?” e diceva che noi possiamo realizzare grandi cose, ma dobbiamo immergerci nel quotidiano, disponibili a tenere la nostra porta aperta ad ogni sofferenza, lasciandoci evangelizzare sempre dai più piccoli. Diceva: “Io sono un semplice nome, un piccolo granello di sabbia”.
Sono i santi della porta accanto di cui tanto parla Papa Francesco…
R. – Sì perché Papa Francesco ci dice che siamo santi lì dove il Signore ci ha messo a vivere, ognuno secondo la sua via. Cerca di farti santo – è il suo invito – vivendo nella pienezza il tuo battesimo.
Riguardo la morte di suor Maria Laura, c’è un pensiero di Vittorino Andreoli, psichiatra non credente, che si sofferma sull’ultimo momento di vita della religiosa, quando offre il suo perdono alle ragazze che la stanno uccidendo, consegnando così un seme di salvezza…
R. – Questo era l’atteggiamento che lei ha avuto tutta la vita: in quel momento ha perdonato queste ragazze che le stavano facendo del male, la stavano uccidendo, ma non ha perdonato solo l’atto dell’uccisione. Secondo me ha anche cercato di perdonare il vuoto che avevano dentro. Lei non le avrebbe mai condannate, avrebbe cercato di capire anche la ragione per cui si erano spinte a fare questo. L’atteggiamento del perdono è un atteggiamento che viene coltivato giorno per giorno, momento per momento, perché non si improvvisa nemmeno questo, tu lo vivi nei piccoli perdoni di tutti i giorni. Quando si studia la figura del martire si studiano due atteggiamenti: che ci sia il vero odio alla fede e poi la disponibilità del martire a subire il martirio, nel caso di suor Maria Laura c’era perché lei non ha mai detto no alle richieste del Signore e poi perché comunque, più di una volta nei suoi pensieri scritti, si diceva disponibile a dare tutta se stessa. Pochi giorni prima di morire, aveva scritto che era disposta a dare la vita come Gesù.
Oggi a chi parla suor Maria Laura Mainetti?
R. – Direi che parla a tutti perché non dobbiamo considerarla solo come una martire, il suo martirio era dentro un piano che Dio aveva predisposto. Io direi che parla a tutti perché le ha percorso proprio la via che il Papa indica nella “Gaudete et exultate” quando ci parla di come si diventa santi. Parla a tutti perché lei ha vissuto la vita di fedeltà alla sua chiamata. E’ stata chiamata alla vita religiosa nella famiglia delle Figlie della Croce e quindi ha seguito questa strada, ha portato a compimento una chiamata, la chiamata che tutti noi abbiamo e che è prima di tutto quella della coerenza con il nostro battesimo e poi la chiamata nel luogo in cui ci troviamo, nel posto in cui ci troviamo a vivere, a lavorare, ad impegnarci. Lei parla a tutti perché la cosa più bella di lei, a mio parere, è proprio questa dimensione della fedeltà quotidiana, di fiducia, di ricerca di Dio, senza affanni e senza angoscia, nella certezza serena che lui vive in mezzo a noi, a volte è nascosto, però sempre presente, mai lontano e quindi tu lo puoi trovare nelle piccole cose di tutti i giorni, nelle persone che incontri, nella semplicità, nell’abbandono sereno, fiducioso, senza andare alla ricerca del grande, del perfetto, dell’impossibile ma così, semplicemente. Questo è un programma che c’è per tutti perché lei si è fatta santa lì, in fondo anche andare ad ascoltare la richiesta di queste ragazze era la sua serialità, perché faceva parte del suo compito, di quell’essere sempre presente, di quel rispondere sempre con la generosità, che aveva segnato la sua vita.