La missionaria brasiliana delle Maestre Pie Venerini è morta lo scorso 11 aprile dopo una dolorosa malattia. La religiosa, in Camerun, era riuscita sfidare lo stigma della lebbra e a infrangere la barriera tra malati e sani. La guarigione di um bimbo da lei affidato all’intercessione della fondatrice della sua Congregazione portò alla canonizzazione di Rosa Venerini
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
La ricordano sempre sorridente, lei missionaria di frontiera, animata dalla forza che solo il Vangelo può dare, innamorata dei poveri e dei lebbrosi. Aveva compiuto 70 anni lo scorso 29 marzo, suor Maria José Carregosa, delle Maestre Pie Venerini, arrivata dal Brasile in Africa nel 1987. Le consorelle ne ricordano il grande senso di responsabilità, la sobrietà, la dedizione instancabile nell’apostolato e il suo grande amore per i più vulnerabili, che l’hanno portata prima nel suo Paese e poi in Camerun a dedicarsi soprattutto ai lebbrosi, a coloro ritenuti socialmente inavvicinabili.
Il miracolo di Rosa Venerini
Grazie ai suoi studi da infermiera, appena arrivata a Ebolowa, nel sud del Paese africano, poté dedicarsi alla cura di tre villaggi di lebbrosi, offrendo ai malati una accoglienza dignitosa, un ambiente socievole e soprattutto l’aiuto di tanti, volontari, da lei riuniti in una rete instancabile che nel tempo ha sostenuto i suoi progetti di grande portata sociale oltre che educativa. La sua iniziativa di raccogliere in preghiera tutti i malati nel lebbrosario di Ngalan per la guarigione di un bambino affidato all’intercessione della Fondatrice Rosa Venerini, portò al secondo miracolo ritenuto sufficiente per la canonizzazione della religiosa italiana, proclamata santa da Benedetto XVI nel 2006.
Infrangere lo stigma
“Non si impressionava – è il ricordo della consorella suor Maria Testa, arrivata con lei a Ebolowa – in quegli anni di lebbrosi ce ne erano tanti, c’erano casi davvero penosi, li condivideva con noi quando si era tutte a casa e certe cose a noi facevano davvero impressione”. Di Maria José suor Testa ricorda la forza, la generosità, le ore di continue cure delle piaghe, il dolore delle amputazioni, un lavoro duro, ma lei “non si preoccupava mai delle conseguenze, nonostante la pericolosità, la fatica e il sacrificio”. Erano i suoi malati quelli del lebbrosario e lo erano anche i malati al di fuori, nei villaggi, affetti da altre patologie, ma ai quali non mancarono mai le cure, grazie alla creazione di un dispensario. Fu lei che riuscì a infrangere lo stigma della lebbra, portando nel lebbrosario i giovani sani della zona, e facendoli accostare ai malati. “Fece un grande lavoro – prosegue suor Maria – tanto erano restii all’inizio i giovani ad andare, quanto poi a un certo punto chiesero loro stessi di andare ad animare la Messa al lebbrosario, riuscendo anche a scambiare il segno della pace, cosa mai fatta fino ad allora”.
L’eredità di suor Maria José
La sua vivacità e la sua perseveranza la portarono ad organizzare la celebrazione della Giornata Mondiale della Lebbra, che ricorre ogni anno l’ultima giornata di gennaio. “La organizzava molto bene, tanto che tutta la città arrivava al lebbrosario per portare i doni, sacchi di riso, i vestiti e tanta, tanta roba. Lì si riunivano tutti i lebbrosi dell’area e si faceva festa, come si fa in Africa, era veramente una gioia per noi”. Suor Maria José è morta la mattina dell’11 aprile scorso, nella sua comunità di Ebolowa, colpita da una grave malattia che per mesi le ha inflitto dolori e sofferenza. È sepolta a Ngalan, tra i tuoi amici lebbrosi, lì dove sorge il santuario da lei voluto dedicato alla Fondatrice Santa Rosa. La sua eredità, come missionaria in Africa è grande, e ciò che ha fatto, conclude commossa suor Maria Testa “è stato tutto per la gloria di Dio”.