Suor Giaretta: raccogliere il grido di dolore del Papa per le donne

Vatican News

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

“Una battaglia culturale nella quale coinvolgere la società, la scuola e anche la Chiesa, curare le emozioni dei bambini perché possano essere adulti consapevoli”. Suor Rita Giaretta ha il dono della chiarezza, frutto di anni passati in strada, a raccogliere i pezzi di donne “massacrate”, come dice lei, dalla violenza e dai soprusi. La sua opera ha dato vita a Caserta a Casa Rut, che in 25 anni di vita ha ospitato 600 donne con i loro bambini liberate dalla tratta, e Casa del Magnificat a Roma. Ripete anche lei quel “Basta”, pronunciato da Papa Francesco nell’omelia della Messa del primo gennaio, nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio.

Il coraggio di dire “basta”

“Nelle parole di Papa Francesco – afferma suor Rita – sento un grido di dolore, di indignazione davanti a tutta questa violenza, ma anche il coraggio e la forza di denunciare di dire quel ‘basta’, che va preso sul serio dentro la Chiesa, nelle istituzioni e nella politica e nelle famiglie. “Guardiamo al Natale, quando si celebra un Dio che si fa umano, che incontra la carne, che ha bisogno di un grembo di donna e chiede con delicatezza il consenso”. “Come donna, da anni impegnata ad accogliere questo grido, questa fatica, questa sofferenza, questa violenza, questo annullamento di vita di tante donne – racconta – siamo arrivati a un punto dove bisogna unire le forze”.

La voce delle donne

Suor Rita parla della battaglia culturale da affrontare dinanzi ad una violenza che a volte viene presa come un dato di fatto. Si dovrebbe partire dal modello maschile che si propone, “aiutare gli uomini a vedersi in maniera diversa, altrimenti non se ne esce”. La voce delle donne, afferma, va ascoltata, soprattutto nel suo desiderio di cambiamento “ma non per offrire opportunità, semplicemente facendo parlare il Vangelo, viverlo perché nel Vangelo c’erano i discepoli e le discepole, Gesù aveva bisogno di donne e di uomini, e univa, in Cristo siamo tutti nelle nostre differenze, ma siamo quell’uno”. “La Chiesa è donna, prende l’umanità dei figli”: ha ribadito il Papa nell’omelia del primo gennaio; un concetto che suor Rita sente particolarmente suo e ricorda modelli di grandi sante “che con coraggio e con grande libertà” hanno lasciato un’impronta importante, tra di loro “santa Chiara, santa Caterina da Siena e sant’Angela Merici, fondatrice delle orsoline”. “La forza per noi religiose è il dono del carisma ma è importante fare attenzione a farlo vivere nella specificità di ogni donna, in un contesto di comunione e fraternità, senza mai soffocare la dignità”.

La paura di educare

Gli ultimi casi di cronaca – un padre che ha ucciso il figlio e tentato di ammazzare l’ex moglie – toccano le coscienze. Una donna che subisce violenza in famiglia segna la vita dei figli che guardano a quel modello per comunicare la rabbia o l’insofferenza. “Deve arrivare un momento in cui si rompe quel circolo vizioso – afferma suor Rita – dovrebbe subentrare un percorso anche culturale, educativo, formativo per imparare il rispetto e il riconoscimento dell’altro”. “Quando arriva la violenza è perché la donna diventa proprietà, merce. E’ una mentalità che provoca morte”. Bisognerebbe insegnare ai bambini a non aver paura di piangere, spiega l’orsolina, dire loro che è bello commuoversi davanti ad un animale, ad un fiore che sboccia, ad un tramonto. “Perché impedire la meraviglia, lo stupore, bisogna lavorare sulla dimensione dei sentimenti, sulle emozioni. La sfida è educare ma la mia paura è che oggi abbiamo tutti paura di educare”.

Il dolore, oro prezioso

Qual è la strada per far fiorire una donna maltrattata? Per suor Rita i passi sono lenti “perché le ferite continuano a sanguinare ma è necessario dire loro che la ferita resta e fa male ma quel muro si può superare, quel dolore può trasformarsi anche in oro prezioso”. Chiamare le persone per nome, non chiuderle in definizione precostruite: è molto. “Cosa vuol dire rinascere di nuovo l’ho capito da queste donne che nelle nostre esperienze di donne di Chiesa, con la nostra autorevolezza, con la nostra maternità hanno scoperto un mondo diverso”. “Dovremmo partire dallo sguardo, con tenerezza, con fiducia e con speranza, senza questa base di umanità che Gesù ci ha portato non si va lontano”. “Basta uno sguardo – conclude suor Rita – e ti senti di toccare il cielo e loro attraverso di noi sentono che c’è l’Emanuele, il Dio-con-noi, lo sentiamo anche noi. C’è bisogno di tanta concretezza, di tanta umanità”.