Roberta Barbi – Città del Vaticano
Era stato beatificato il 9 novembre 1997 da un Papa che lo ha preceduto sulla strada della santità, Giovanni Paolo II, ma finalmente anche Giovanni Battista Scalabrini sarà presto santo, come lo è già nel cuore di quanti lo pregano da tempo come patrono dei migranti. “Da sottolineare i sentimenti che il Beato Scalabrini aveva nei confronti di coloro che migravano – riferisce il postulatore generale degli Scalabriniani, padre Graziano Battistella – una commozione che si trasforma in azione e nelle tante iniziative intraprese in loro favore”.
La chiamata e l’obbedienza
Giovanni Battista nasce nel 1839 nella diocesi di Como e in famiglia impara fin da piccolo ad amare il Crocifisso e l’Eucaristia, a pregare il Rosario, tanto che uno dei suoi giochi preferiti con i compagni è fingere di celebrare Messa e tenere omelie. Una volta cresciuto, quello che era solo un gioco diventerà la sua vita. A 18 anni entra in seminario; viene ordinato sacerdote nel 1863 e subito annuncia ai suoi cari che partirà missionario: forte, infatti, è la chiamata a partire per evangelizzare, a farsi quella che oggi noi chiamiamo Chiesa in uscita. Ma la sua volontà si scontrerà con quella del suo vescovo che invece lo vuole a Como: la sua Chiesa in uscita sarà qui. E non solo. “La missione è qualcosa che investe tutta la Chiesa; tutti come credenti siamo chiamati a essere missionari – spiega il postulatore – Scalabrini fece anche due viaggi lunghi molto importanti: negli Stati Uniti nel 1901 e in Brasile e Argentina nel 1904”. Il giovane sacerdote obbedisce al suo vescovo e così in breve tempo passa dall’insegnamento al rettorato del Seminario minore della città. Gli viene affidata la parrocchia periferica di San Bartolomeo, dove in soli cinque anni riorganizza la scuola, si occupa della formazione dei catechisti, visita malati e anziani, fonda un oratorio maschile e un asilo d’infanzia, ispira la nascita di una società di mutuo soccorso per il lavoro che manca. Nel 1876, a soli 36 anni, diventa vescovo di Piacenza, città nella quale resterà fino alla morte.
La questione sociale dei migranti
È un vescovo in uscita, Giovanni Battista, si vede subito: per ben cinque volte visita le 365 parrocchie della sua diocesi, comprese quelle in montagna dove nessun pastore era mai arrivato, celebra tre sinodi diocesani a oltre un secolo e mezzo dall’ultimo, dà nuovo impulso all’Azione cattolica e fonda il periodico “Il catechista cattolico”. Poi scrive, moltissimo, attento osservatore com’è della realtà che lo circonda, e il suo sguardo si spinge ben oltre i confini di Piacenza, approfondisce le questioni italiane e vede anche più in là. Indimenticabile la pagina di suo pugno sui fratelli migranti che vede in fila alla stazione di Milano in attesa di salire sul treno che li porterà verso una vita che sognano migliore:
“Sulle loro facce abbronzate dal sole, solcate dalle rughe precoci che suole imprimervi la privazione, traspariva il tumulto degli affetti che agitavano in quel momento il loro cuore – scrive il vescovo – erano vecchi incurvati dall’età e dalle fatiche, uomini nel fiore della virilità, donne che si traevano dietro o portavano in collo i loro bambini, fanciulli e giovanette tutti affratellati da un solo pensiero, tutti indirizzati a una meta comune. Erano migranti”.
Ed è così che nel suo cuore palpita un vecchio sogno, è come un lampo: ora sa come poter essere missionario.
Quella vocazione missionaria mai sopita
Inizia pubblicando “L’emigrazione italiana in America”, nel 1887, per chiarire la sua posizione sulla materia. Poi ottiene da Leone XIII l’approvazione del progetto di un istituto di sacerdoti dediti completamente all’assistenza spirituale degli italiani emigrati nel Paese. Accoglie subito i primi due membri e l’anno successivo partiranno ben dieci missionari di quella che, con la stesura delle nuove Regole nel 1895, diventerà la congregazione dei Missionari di San Carlo. In questo tempo c’è un episodio che lo colpirà molto. Uno dei suoi missionari tornerà dal Brasile con in braccio un bimbo morto durante la traversata. Questo fatto fa comprendere a monsignor Scalabrini che in questa opera c’è bisogno anche della cura e della sensibilità femminile. Aveva già avuto contatti con religiose quali Madre Cabrini che aveva indirizzato verso le missioni in America, così il 25 ottobre 1895 vede la luce l’Istituto delle Missionarie di San Carlo.
“Farmi Santo: hoc est omnis homo”
Ci credeva profondamente monsignor Scalabrini, tanto che farsi santo era diventata la sua seconda missione, man mano che sentiva avvicinarsi la morte, avvenuta poi nel 1905. Nel 1987 Giovanni Paolo II ne riconosce le virtù eroiche tramite promulgazione di decreto, mentre il processo per la sua Beatificazione si svolge tra il 1994 e il 1995. La cerimonia si svolge in piazza San Pietro due anni dopo e la memoria liturgica viene fissata nel giorno della sua nascita al cielo. Il 21 maggio scorso Papa Francesco, verificando che l’esempio del Beato Scalabrini è ancora vivo e che molti sono i segni della sua intercessione in favore di situazioni difficili legate alla questione dei migranti, ha convocato un concistoro per la sua canonizzazione con la dispensa del secondo miracolo, come già avvenuto per Giovanni XXIII.