Chiesa Cattolica – Italiana

Sudan: una persona su due ha bisogno di aiuti umanitari

Il lavoro del Cafod, partner di Caritas, nella nazione africana lacerata dalla violenza: 25 milioni di persone “hanno bisogno di assistenza umanitaria, 9 milioni in più rispetto al 2023”

di Linda Bordoni

Almeno 12.000 vite di sudanesi perse e oltre 10 milioni di profughi hanno messo a nudo l’impatto devastante dei circa dieci mesi di conflitto in Sudan. Cafod Sudan, partner del network di Caritas, è tra gli enti umanitari che si sforzano di fornire beni di base a una popolazione di un Paese in cui una persona su due ha bisogno di assistenza umanitaria. Samilah Danish, responsabile dello sviluppo e del finanziamento dei programmi di Cafod, ha parlato con i media vaticani della crisi disperata e di come la comunità internazionale abbia dimenticato la nazione africana. «Questo conflitto ha rubato quasi tutto alle persone, la sicurezza, le case e i mezzi di sostentamento», ha dichiarato.

Il recente allargamento del conflitto, specialmente nello Stato di Gezira, un tempo considerato il granaio del Sudan, ha portato a una delle più grandi crisi di profughi e di protezione al mondo. Ostilità intense non hanno solo danneggiato le reti di approvvigionamento idrico, ma anche le strutture sanitarie, tre quarti delle quali nelle aree del conflitto non sono funzionati. Le conseguenti malattie, come il colera, il morbillo e la malaria, si stanno diffondendo velocemente. In questa tragica situazione, Cafod ha prestato assistenza sul campo. «Non abbiamo dimenticato i sudanesi — ha ribadito Danish — e malgrado sfide come la mancanza di sicurezza, ostacoli burocratici e lo scarso accesso alla rete, Cafod  opera dal suo centro nello Stato del Nilo Bianco, fornendo servizi essenziali in collaborazione con organizzazioni locali».
 

L’attenzione è stata posta sui bisogni emergenziali dell’acqua, dei servizi igienici e dell’igiene personale, come anche la costruzione e il ripristino di latrine pubbliche e il sostegno alla rete idrica. La distribuzione di cibo alle persone internamente dislocate e i progetti per la distribuzione di contanti nei prossimi mesi dimostrano l’impegno di Cafod a rispondere ai bisogni immediati.

Tuttavia, le dimensioni della crisi esigono di più. «Da quando è iniziata la guerra — ha osservato Danish —  la fame ha raggiunto livelli record, con 24,8 milioni di persone, vale a dire una persona su due, che hanno bisogno di assistenza umanitaria nel 2024,  9 milioni in più rispetto al 2023».

I bisogni urgenti comprendono cibo, acqua, alloggio, carburante, educazione, assistenza sanitaria e nutrizione. Malgrado gli sforzi profusi da attori umanitari, tra cui l’Onu, le carenze sono evidenti, specialmente per i profughi che hanno perso le proprie case e ogni giorno devono affrontare sfide per sopravvivere.
 

Mentre il conflitto sta scomparendo dall’attenzione internazionale, Danish ha dato voce al sentimento che provano molti cittadini sudanesi: «La gente in Sudan ha la sensazione che gli Stati regionali e la comunità internazionale abbiano deciso di abbandonare il Paese». Tra il crollo delle istituzioni statali e l’assenza di tentativi di mediazione tra le parti in conflitto, ha precisato, «c’è stato un maggiore coinvolgimento da parte di alcuni degli attori esterni nella regione che sostengono le Forze di supporto rapido  e i loro leader, senza considerare i bisogni del popolo sudanese».

Per quanto riguarda eventuali colloqui di pace, Danish ha espresso pessimismo. Sebbene siano stati compiuti tentativi da parte degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita, il responsabile dello sviluppo di Cafod ritiene che non abbiano dato frutto. «La recente Dichiarazione di Addis Abeba, che intendeva servire da base per ulteriori negoziati continua a rimanere largamente sulla carta, con gli impegni verbali disattesi», ha precisato. Deplorando l’assenza di una roadmap chiara per la pace, Danish ha spiegato che «i sudanesi, a diversi livelli, hanno fatto del loro meglio per sostenere gli sforzi di pace e attirare l’attenzione della comunità internazionale sul Sudan portando le due parti a sedersi intorno a un tavolo».

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