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Sudan, l’esercito sospende i negoziati con le milizie Rsf: violata ancora la tregua

L’esercito denuncia violazioni del cessate il fuoco da parte delle milizie ribelli e abbandona i negoziati mediati da Stati Uniti e Arabia Saudita. Oltre un milione gli sfollati a causa delle violenze. Mainoldi (Fides): “C’è il rischio di un coinvolgimento delle componenti tribali nel conflitto”

Marco Guerra – Città del Vaticano

Non c’è pace per il Sudan squassato da circa un mese e mezzo di scontri tra fazioni militari. Oggi, mercoledì 31 maggio, l’esercito sudanese ha sospeso la sua partecipazione ai negoziati con le forze paramilitari dell’Rsf, mediati da Stati Uniti e Arabia Saudita.

Le violazioni della tregua

Lo stop alle trattative è stato annunciato Nabil Abdalla, portavoce delle forze armate sudanesi, spiegando che si tratta di una decisione presa come risposta alle “ripetute violazioni” del cessate il fuoco umanitario da parte delle Rsf, tra cui la continua occupazione di ospedali e altre infrastrutture civili nella capitale Khartoum. Abdalla ha detto che l’esercito vuole assicurarsi che i termini della tregua “siano pienamente attuati” prima di discutere ulteriori passi. Dal canto loro le forze paramilitari dell’Rsf hanno invece ribadito di “sostenere incondizionatamente l’iniziativa saudita-statunitense”. Altri due alti ufficiali militari hanno detto che l’esercito ha inviato una lettera ai mediatori sauditi e americani, descrivendo nel dettaglio quelle che hanno definito le violazioni dell’Rsf. Tuttavia, secondo alcune fonti, la delegazione dell’esercito regolare è ancora nella sede dei colloqui, nella città costiera saudita di Gedda.

La mediazione di Usa e Arabia Saudita

Dall’inizio delle violenze, scoppiate il 15 aprile scorso, sono stati dichiarati sette cessate il fuoco, tutti in una certa misura violati. La mossa dell’esercito è infatti arrivata due giorni dopo che le parti hanno concordato l’ennesima estensione del traballante cessate il fuoco per altri cinque giorni, dopo che Washington e Riyadh hanno segnalato insofferenza per le persistenti violazioni della tregua. In una dichiarazione congiunta di domenica, gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita hanno richiamato entrambe le parti in guerra per violazioni specifiche della tregua. La dichiarazione afferma che i militari hanno continuato a effettuare attacchi aerei, mentre l’RSF stava ancora occupando abitazioni dei civili e sequestrando proprietà.

Oltre un milione di sfollati

Il Sudan è precipitato nel caos dopo che a metà aprile sono scoppiati i combattimenti tra i militari, guidati dal generale Abdel-Fattah Burhan, e le milizie Rsf del comandate dal generale Mohammed Hamdan Dagalo. I due generali sono ex alleati che hanno orchestrato congiuntamente il colpo di stato militare dell’ottobre 2021 che ha fatto deragliare la transizione democratica verso cui si stava traghettando il Sudan dopo il lungo governo dell’autocrate Omar al-Bashir, deposto nel 2019. I combattimenti hanno ucciso almeno 866 civili e ferito altre migliaia, secondo il sindacato dei medici sudanesi. Il conflitto ha trasformato la capitale, Khartoum, e altre aree urbane in campi di battaglia, costringendo quasi 1,4 milioni di persone a fuggire dalle proprie case, circa 350mila di questi sfollati ha trovato rifugio in altri Paesi. I governi stranieri hanno fatto evacuare i loro diplomatici e cittadini con ogni mezzo.

Mainoldi (Fides): si rischia una guerra su base tribale

“Non è ancora una guerra generalizzata ma uno scontro tra fazioni militari, che vede come punto centrale la capitale Khartoum, dove l’esercito in teoria dovrebbe essere più forte ma in realtà le milizie tengono il controllo di alcune strutture strategiche, perché sono più adatte ad una guerriglia urbana”, spiega a Vatican News Luca Mainoldi, africanista dell’Agenzia Fides. Mainoldi mette però in risalto il rischio che il conflitto si cronicizzi e si estenda, dal momento che ci sono dei segnali che la milizia Rsf, che ha base in Darfur, ha “iniziato ad armare alcune popolazioni locali e la loro base etnica” per avere una forza di manovra maggiore. “Sele due parti iniziano ad armare la base tribale del Paese – aggiunge Mainoldi – allora la situazione può degenerare in un conflitto generalizzato”.

Ascolta l’intervista a Luca Mainoldi

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/05/31/13/137109062_F137109062.mp3

Naufragata la transizione democratica

Secondo Mainoldi anche l’esercito ha uno suo nucleo duro di sostenitori su base regionale e potrebbe armare le popolazioni che gli sono più fedeli. Quindi in questa fase la diplomazia deve fare ogni sforzo per non allargare le violenze.  Questo scontro, ricorda ancora Mainoldi, ha tra l’altro bloccato tutto il processo di transizione democratica che doveva condurre alle elezioni. “I grandi perdenti – osserva il giornalista esperto dell’area – sono le forze che speravano in una transizione da una governo militare ad uno civile”. Infine Mainoldi riferisce che le due fazioni hanno degli alleati regionali: l’esercito è sostenuto dall’Egitto mentre i ribelli Rsf hanno una base di ripiego in Ciad che a sua volta rischia di essere destabilizzato, “le elite al potere in Ciad e Darfur sono infatti collegate tra di loro”.

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