Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Sono almeno 15 i morti nella nuova giornata di manifestazioni contro il golpe in Sudan, registrate soprattutto nella capitale Khartoum, ma anche in altre località. Lo ha reso noto il Comitato dei medici del Paese africano che, sulla sua pagina facebook, ha denunciato l’uso di proiettili veri contro i manifestanti. Decine di persone sono rimaste ferite, molte delle quali in modo grave, nelle proteste. Proseguono, dunque, le manifestazioni ad oltre tre settimane dalla presa del potere da parte dei militari.
Le manifestazioni
Ieri i manifestanti hanno scandito slogan contro il generale Abdel Fattah al-Burhan, alla guida del colpo di Stato che ha fermato una transizione democratica successiva alla caduta del dittatore Omar al-Bashir, nel 2019. Centinaia di persone sono rimaste in strada dopo il tramonto, soprattutto a nord di Khartoum, dove i lacrimogeni avrebbero raggiunto anche le zone adiacenti agli ospedali locali. Stando a quanto riportato dalle agenzie internazionali, le proteste proseguono anche in queste ore. La scorsa settimana nel Paese c’è stato uno sciopero diffuso di due giorni, definiti “giorni di disobbedienza civile”, a cui hanno aderito sindacati, lavoratori di numerosi settori, scuole ed università.
Il ruolo di Hamdok
Gibreil Ibrahim, il ministro delle Finanze del governo deposto, ha detto all’agenzia Associated Press che non è stato raggiunto un accordo tra l’ex premier Abdalla Hamdok ed i militari. Secondo Ibrahim, il tempo a disposizione di Hamdok per accettare un posto nel nuovo governo guidato dai militari “sta per scadere”, aggiungendo che “se non accetterà, qualcun’altro prenderà il suo posto”. Hamdok è attualmente agli arresti domiciliari nella capitale Khartoum dopo il golpe militare alla fine del mese scorso. Secondo Ibrahim, le richieste di ridare il potere al governo di transizione che precedeva il golpe sono “irrealistiche”. Hamdok chiede che, di fatto, il Paese torni agli accordi precedenti il golpe, ma i militari replicano dicendo che non si è trattato di un colpo di Stato, ma di un intervento necessario a correggere la traiettoria che il periodo di transizione stava imprimendo al Paese africano.
L’intervento della Santa Sede
“Qualsiasi repressione del diritto alla vita, alla libertà religiosa, al diritto di riunione e a quello di esprimere liberamente e con sicurezza le proprie opinioni è in netto contrasto con la creazione di una società giusta”. Così monsignor John Putzer, incaricato d’affari ad interim della Missione permanente della Santa Sede a Ginevra, si è espresso venerdì 5 novembre sulla situazione in Sudan, nel corso del suo intervento alla 32.ma Sessione speciale del Consiglio dei diritti umani. “La Santa Sede – ha sottolineato monsignor Putzer – sta seguendo con grande attenzione e profonda preoccupazione gli sviluppi della situazione”. “La violenza – ha aggiunto – non è mai un’opzione legittima per risolvere le divergenze di opinione” e pertanto si invita a “riconoscere e sostenere il rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali di ogni persona, e a cessare il ricorso alla violenza come mezzo per imporre il controllo”.
Una economia in crisi
“Sembra di tornare indietro al 2019, quando le manifestazioni popolari furono represse nel sangue, sempre dagli stessi militari che oggi hanno ripreso il potere”. Lo afferma ai nostri microfoni Michela Trevisan, giornalista di Nigrizia, la Rivista dei missionari comboniani che ogni giorno informa i lettori su quanto accade nel continente africano. “Ci sono delle pressioni per un ritorno dei civili al potere, i primi a farlo sono stati gli Stati Uniti. Di fatto, però, oggi in quell’area la comunità internazionale guarda con più preoccupazione alla crisi etiope. Anche la crisi in Sudan – prosegue – meriterebbe una grande attenzione, sia per la sua posizione geografica che per il rischio di infiltrazioni jihadiste, provenienti ad esempio dalla Libia”.
La popolazione, che da settimane continua a manifestare contro il golpe militare, sta pagando un prezzo altissimo in un contesto già difficile sia dal punto di vista sociale, che economico e sanitario. “Le sfide più grandi sono quelle di procacciarsi il cibo, visti anche gli aumenti dei prezzi delle materie prime e dei generi di prima necessità. Il Sudan è colpito da una crisi economica pesantissima, che il precedente governo stava cercando di risolvere anche con lo sblocco di finanziamenti internazionali. Ora – conclude – la situazione è di estrema difficoltà: ci sono le code per il pane, non si trova il carburante, le persone fanno fatica ad andare avanti nel quotidiano”.