Sudan, civili in fuga all’assalto dei porti. L’Onu: in 800 mila pronti a partire

Vatican News

Entrambe le parti in conflitto nel Paese africano, l’esercito regolare e i paramilitari della Forze di supporto rapido (Rsf), si accusano di aver violato la tregua di 72 ore rinnovata il 30 aprile. Le Nazioni Unite stimano che già 100 mila persone hanno lasciato il Sudan dal 15 aprile, ma molte di più potrebbero fuggire se le violenze non si fermano. L’impegno del Programma Alimentare Mondiale in Ciad, dove sono già arrivati oltre 21 mila rifugiati sudanesi

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Le Nazioni Unite stimano che già 100 mila persone abbiano lasciato il Sudan da metà aprile, quando sono iniziati gli scontri armati tra l’esercito regolare e i paramilitari della Forze di supporto rapido (Rsf). Ma per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), oltre 800mila persone potrebbero fuggire verso i Paesi vicini, se le violenze proseguiranno. “Speriamo che non si arrivi a questo, ma se la violenza non si ferma vedremo più persone costrette a fuggire dal Sudan in cerca di sicurezza”, ha scritto su Twitter l’Alto Commissario, Filippo Grandi.

Più di 500 morti e 4500 feriti da metà aprile

Entrambe le parti in conflitto si accusano di aver violato la tregua di 72 ore che era stata rinnovata domenica. L’esercito regolare, guidato dal generale golpista Abdel Fattah al-Burhan e l’Rsf del suo ex alleato e ora rivale Mohamed Dagalo, detto Hemetti, avevano concordato di fare tacere le armi per ancora 72 ore, in modo da permettere le evacuazioni dei civili che, disperatamente, hanno preso d’assalto i porti, soprattutto il maggiore del Paese, Port Sudan. Gli scontri finora hanno provocato 528 morti e 4.599 feriti, secondo dati ufficiali ritenuti molto al di sotto del numero reale. La maggior parte degli ospedali del Paese ha chiuso i battenti e in quelli che restano aperti la situazione è insostenibile.

Onu: situazione umanitaria ad un punto di rottura

L’Onu ha deciso di inviare in Sudan il capo della sua sezione umanitaria, Martin Griffiths. “Andrò a vedere come possiamo fornire un aiuto immediato” ai residenti” ha detto Griffiths, secondo cui la situazione umanitaria sta raggiungendo un punto di rottura. Il massiccio saccheggio di uffici e magazzini umanitari ha “esaurito la maggior parte delle nostre scorte. Stiamo cercando mezzi rapidi per consegnare e distribuire” rifornimenti aggiuntivi, ha spiegato l’alto funzionario delle Nazioni Unite in una nota. La Croce Rossa informa che un primo aereo con otto tonnellate di aiuti è atterrato domenica a Port Sudan, 850 km a est di Khartoum, il maggior porto del Paese, preso d’assalto da migliaia di civili in fuga.

Dal Sudan in fuga in Egitto, Ciad, Centrafrica, Sud Sudan ed Etiopia

Delle 100 mila persone che hanno già lasciato il Sudan, secondo l’Onu, più di 40 mila sono fuggite in Egitto, oltre 21 mila in Ciad, 4 mila in Sud Sudan e 3.500 in Etiopia. Inoltre, secondo l’Unhcr, circa 6 mila persone, per lo più donne, sono fuggite dal Sudan verso la Repubblica Centrafricana. Le autorità sudanesi hanno riferito che i combattimenti interessano 12 dei 18 Stati del Paese, che conta 45 milioni di abitanti ed è uno dei più poveri al mondo. Sul fronte diplomatico, il capo della diplomazia saudita, Faisal bin Farhan, ha incontrato domenica un emissario del generale Burhan. L’Egitto ha anche convocato una riunione della Lega araba per “discutere del Sudan”.

Un camion di aiuti del Wfp/Pam nel Ciad orientale, al confine con in Sudan

Il Pam torna ad operare in Sudan, dopo le tre perdite

Intanto il Programma Alimentare Mondiale (PAM), la principale agenzia umanitaria dell’Onu, Premio Nobel per la Pace 2020, revoca immediatamente la sospensione temporanea delle operazioni, decisa dopo la tragica morte di tre membri del suo team in Darfur il 15 aprile. “Nei prossimi giorni – dichiara il direttore esecutivo Cindy Mc Cain – dovrebbe iniziare la distribuzione di cibo negli Stati di Gedaref, Gezira, Kassala e Nilo Bianco, per fornire l’assistenza salvavita di cui molti hanno disperatamente bisogno in questo momento”. La situazione della sicurezza è ancora molto precaria, sottolinea Mc Cain, “Il Pam sta valutando le località in cui l’accesso umanitario è garantito, tenendo conto di considerazioni relative alla sicurezza, alla capacità e all’accesso. Presteremo la massima attenzione per garantire la sicurezza di tutto il nostro personale e dei nostri partner, mentre ci affrettiamo a soddisfare le crescenti esigenze dei più vulnerabili”. Ma per “proteggere al meglio i nostri necessari operatori umanitari e la popolazione del Sudan, i combattimenti devono cessare”.

La drammatica situazione in Ciad

Nel video che pubblichiamo in testa al servizio, il punto del Pam/Wfp sulla situazione dei rifugiati sudanesi in Ciad, Paese tra i più poveri dell’Africa occidentale e centrale, che ospita già 600 mila rifugiati, più di qualsiasi altro nell’area. Con immagini da Koufroun, un piccolo villaggio nel Ciad orientale, a poche centinaia di metri dal confine con il Sudan e punto di ingresso per i rifugiati in fuga dalla violenza. “La guerra ci ha cacciati dalla nostra casa – racconta Beské Abdoulaye – Eravamo con i nostri figli quando sono arrivate delle persone armate e siamo fuggiti nella boscaglia”.

Aiuti da posizionare prima che arrivino le piogge

“Stiamo caricando i nostri camion per i 10 mila, 20 mila profughi che, secondo i dati dell’Unhcr e del governo, potrebbero aver già attraversato il confine dal Sudan al Ciad” Spiega da N’Djamena il direttore del Pam/Wfp in Ciad, Pierre Honnorat – Prima di questa crisi avevamo già 400 mila rifugiati sudanesi al confine che stavamo sostenendo. È urgente portare ora aiuti lì, perché tra 6-8 settimane non potremo più raggiungere quei luoghi a causa delle piogge. Anche per la popolazione del Ciad abbiamo bisogno di fondi, di risorse, per aiutare il governo ad accogliere e ad ospitare i rifugiati che stanno arrivando. Abbiamo davvero bisogno di aiuto”.

Un campo di profughi dal Sudan vicino al villaggio di Koufroun, in Ciad

Servono finanziamenti per continuare ad aiutare

I nuovi rifugiati stanno arrivando nei villaggi vicino a Farchana, nel Ciad orientale, e in altre aree lungo il confine. Il Pam e i suoi partner valutano il cibo tra i bisogni prioritari. Circa il 70 per cento dei nuovi arrivati sono donne e bambini sotto i cinque anni, molti dei quali si rifugiano all’ombra degli alberi. Nonostante l’aumento dei bisogni, il Pam sta subendo notevoli limitazioni di fondi per la sua risposta all’emergenza nel 2023 e ha dovuto ridurre di circa la metà il numero di rifugiati e sfollati interni che ha potuto assistere ad aprile. In assenza di ulteriori finanziamenti, l’assistenza alimentare si interromperà completamente alla fine di maggio. Si stima che i fondi necessari ammontino ad almeno 162,4 milioni di dollari.

La crisi in Ciad, tra siccità, fame e aumento dei prezzi

Il Ciad sta affrontando una crisi multipla senza precedenti, con migliaia di persone che vivono una grave insicurezza alimentare e nutrizionale. I conflitti, le condizioni climatiche estreme e il calo della produzione agricola continuano a provocare sfollamenti, esasperando la fame e la malnutrizione. Si prevede che quasi 1,9 milioni di persone soffriranno di grave insicurezza alimentare durante la stagione di magra del 2023, da giugno ad agosto, a meno che non vengano forniti assistenza alimentare tempestiva e soluzioni durature. Già 1,3 milioni di bambini soffrono in Ciad di malnutrizione acuta. Il cambiamento climatico è uno dei principali fattori di insicurezza alimentare del Paese, per la diminuzione delle precipitazioni negli ultimi 27 anni, che ha portato a raccolti agricoli scarsi. A gennaio 2023, il prezzo del miglio è aumentato del 16 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E dall’inizio della crisi sudanese, il Pam/Wfp ha registrato un aumento del 54 per cento del prezzo del sorgo in un campo profughi fuori Farchana.