Chiesa Cattolica – Italiana

Sud Sudan, la superiora delle comboniane: non possiamo darla vinta alla violenza

Antonella Palermo – Città del Vaticano

All’indomani del telegramma di cordoglio del Papa per le due suore uccise in Sud Sudan, in seguito a una imboscata sulla strada tra Juba e Nimule, anche la superiora delle Comboniane nel Paese, Suor Maria Martinelli, esprime il dolore per la morte delle religiose che conosceva personalmente.

Ascolta l’intervista a Suor Maria Martinelli

Come ha reagito apprendendo il cordoglio del Papa?

Mi ha fatto piacere sapere che la Chiesa è vicina a questo Paese, a questo popolo, a questa Chiesa particolare che ha anch’essa i suoi problemi e che vive con la gente la precarietà che va avanti da anni, purtroppo. Il fatto che è successo lunedì ci ha lasciato tutti molto sconvolti: alla violenza non si fa mai l’abitudine; questi fatti succedono, purtroppo, su quella strada e su altre strade. Per questioni di banditismo, questioni politiche che si mescolano, questioni culturali. Ma questa vicenda ci ha lasciati ancora più sconvolti perché non è nello spirito di questa gente ammazzare direttamente delle suore. Di solito c’è rispetto per i religiosi, per i sacerdoti, e in modo particolare per le suore. Non fa proprio parte della forma mentale della nostra gente un atto del genere. Indica un cambiamento, che c’è proprio qualcosa che non va nel profondo.

Cambiamento in che senso?

Nel senso dei valori a cui la gente fa riferimento. Anche i non cristiani hanno avuto sempre molto rispetto per noi. Una donna che faceva parte del gruppo degli assalitori – da quello che ho capito – ha detto: “Non uccidiamo queste, sono suore, sono della Chiesa”. Chi ha sparato invece ha detto: “Cosa è la Chiesa, cosa vuol dire?”. Quindi c’è proprio un cambiamento di atteggiamento. Come spiegarlo non saprei.

Il Papa ha parlato nel telegramma di “insensato atto di violenza”…

Insensato e inaudito. Sapevano chi stavano uccidendo, forse non il nome ma che erano suore sì. 

Si è perso il senso del limite?

Sì, almeno per queste persone che vivono nella boscaglia. Compiono azioni destabilizzanti. Questo fa vedere che il cammino della pace è ancora lungo e faticoso. Non sono tutti impegnati in questo cammino, non tutti ne capiscono l’importanza. E d’altra parte, ci sono talmente tanti gruppi, tanta confusione, tanta povertà… Sono dei massi enormi sulla strada della pace. Per certi versi è anche comprensibile che non ci sia una unità di intenti, dall’altra parte più si va avanti così peggio è.

A cosa mirano queste azioni destabilizzanti?

Se ci sia dietro qualcuno non lo so, non saprei dire se c’è un disegno, ma di certo queste azioni, l’una dietro l’altra, creano di per sé destabilizzazione. Quando non si può passare per una strada perché al 90% ti fanno fuori o ti lasciano senza nulla, è chiaro che non si potrà pensare a un commercio, a uno scambio di personale, a comunicazioni normali. Non si può. Tutto questo crea difficoltà.

Lei conosceva queste suore?

Sì, sì. Suor Maria Abud era una persona straordinaria, è stata Superiora generale per due sessenni. Adesso era preside di una grande scuola elementare a Juba. Molto amata da tutti. Conosciuta da tutti. Di grande impegno, sapeva quello che faceva, sapeva dire la verità in diversi contesti. Era anche molto gentile, molto fraterna. Suor Regina non l’ho conosciuta tanto bene, era a Uau, insegnava come tutor nella scuola per infermieri e seguiva gli studenti praticanti in ospedale. Grandi donne.

La loro tragica scomparsa lascia posto più alla paura o alla determinazione?

Forse più alla determinazione. Non si può dargliela vinta a quelli che cercano solo la violenza. Ci vuole più impegno nella formazione dei giovani, far vedere loro dei modelli di vita diversi da quelli basati sulla violenza o solo sull’avere dei soldi. I giovani devono tornare ad avere dei valori per costruire una società sana. 

Il Papa ha espresso il desiderio di visitare il Sud Sudan, ma le condizioni ancora non lo consentono…

Senz’altro la visita del Papa farebbe molto bene a tanta gente. La dovrebbero certo limitare molto una eventuale sua visita, se venisse adesso sarebbe limitata nel tempo e nello spazio. Però potrebbe essere un importante segno di speranza. La sua presenza, anche breve, anche solo da lontano. Vediamo se sarà possibile, un giorno o l’altro…

Un appello per il Paese?

Di non abbandonarci. Continuare a pregare per la pace, che si possa veramente mettere le basi di una ripartenza serena, di un cammino che porti tutti a una fraternità. Ci sono ancora troppe divisioni, e sono anche, secondo me, fomentate a livello politico. Quella che doveva essere la costruzione serena di un Paese si è rivelata un disastro proprio per questo fomentare interessi privati, alla fine, tribali, addirittura clanici. Invece che formare una cultura di condivisione… Bisogna ricominciare. Non si può accettare di essere semplicemente vittime. 

Cosa salva lei come segno di bene in questo Paese, in mezzo alla devastazione?

Per esempio, tutta la gente che si è fatta vicina alle suore del Sacro Cuore, la gente stessa che aveva partecipato alla celebrazione del centenario e che si è conclusa tragicamente. Gente semplice. C’è questa voglia, voglia di studiare, di creare qualcosa di diverso in mezzo a tante contraddizioni. C’è questa voglia di mettersi in piedi. Va accompagnata, aiutata.    

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