Antonella Palermo – Città del Vaticano
I sandali, la veste e la croce pettorale di Suor Regina Roba e Suor Mary Daniel Abut deposti nell’altare dei nuovi martiri di Africa e Madagascar, nella basilica di San Bartolomeo all’Isola tiberina. E’ stato il momento più solenne e toccante della preghiera animata dalla Comunità di Sant’Egidio ieri sera per commemorare le due religiose uccise in Sud Sudan il 16 agosto dell’anno scorso. Appartenenti alla Congregazione diocesana delle Sacred Heart Sisters della famiglia comboniana – particolarmente impegnata nella educazione delle donne, delle giovani soprattutto – sono state colpite a morte nel corso di un agguato al pulmino su cui viaggiavano di ritorno dalla celebrazione del centenario della parrocchia di Loa, nella diocesi di Torit. Tutti i passeggeri, comprese le due suore, erano riusciti a scendere dall’autobus e fuggire, ma gli assalitori hanno mirato appositamente le due suore e le hanno assassinate.
Paglia: il loro sangue donato sia seme di pace
Sia Sister Mary, che aveva anche ricoperto la carica di superiora generale delle Sorelle del Sacro Cuore, sia Sister Regina, che era amministratrice del Catholic Health Training Institute della diocesi di Wau, avevano vissuto fin da bambine in mezzo alla guerra. Sapevano bene – come ha ricordato monsignor Vincenzo Paglia, che ha presieduto il momento di preghiera – che cosa significava doversi nascondere, fuggire con i propri familiari, cercare rifugio. “In questo tempo, segnato in maniera così radicale dall’individualismo, c’è bisogno della testimonianza di un Vangelo senza aggiunte, radicale”, ha scandito il presule che ha aggiunto: “La loro testimonianza possa spingere il Sud Sudan sulla via della riconciliazione e della pace! E la visita che Papa Francesco si appresta a compiere sia di benedizione per il Sud Sudan e per l’intero continente africano, a noi tutti tanto caro”. Forte è risuonato l’auspicio che “venga presto il tempo della liberazione del popolo del Sud Sudan da ogni odio e violenza”. Un Paese diviso dall’odio interetnico, tra pastori e agricoltori, tra membri di diverse formazioni politiche e milizie.
Superiora Generale: restiamo anche in mezzo alla violenza
La Congregazione del Sacro Cuore continua a testimoniare la forza del Vangelo della pace anche laddove c’è caos e rischio di perdere la vita. Lo fa da lungo tempo. Negli anni della guerra di indipendenza ha subìto espulsioni da parte delle autorità di Khartoum, ma questo non le ha impedito di crescere e di maturare in Sud Sudan – dove il Papa si recherà a luglio – ed anche in Uganda. L’intervista a suor Alicia:
Quali sentimenti abitano il suo cuore ricordando le due consorelle uccise?
Mi sento fortificata perché tante, tante persone ci hanno sostenuto e continuano a farlo con le preghiere e con la loro presenza. Ma non posso non ricordare che la loro morte, così all’improvviso, è stato un atto intenzionale, e questo ci dà tanto dolore.
Come si fa a superare questo dolore?
Superare questo dolore penso che lo si possa fare ricordando la loro personalità, perché erano persone molto impegnate nel loro apostolato. Suor Mary era una insegnante e Suor Regina lavorava in ambito sanitario e io ho vissuto con entrambe. Con la preghiera io mi sento incoraggiata sapendo che loro sono nelle braccia di Dio. Hanno fatto ottime cose non solo a livello professionale ma anche spirituale. Come religiose erano impegnate nella loro comunità ma anche a livello più ampio tra le varie comunità.
Quale è la loro eredità umana e spirituale?
Sono state uccise nel pieno della loro maturità. Avevano ancora tanto da dare. Erano determinate. Ci hanno lasciato servendo il Signore. Questo ci dà un buon ricordo e anche gioia. Non si scoraggiavano mai anche quando dovevano affrontare sfide importanti e difficoltà serie. Quando abbiamo letto le loro storie personali ci siamo rese conto che da giovani avevano dovuto lasciare il loro Paese da rifugiate a causa della guerra. Sono entrate in convento quando ancora erano rifugiate. E quando sono rientrate erano ben formate e pronte per prestare la loro opera a favore della popolazione.
Quale è il senso di restare in luoghi come questi dove la violenza è ancora così crudele?
Per noi stare lì è come essere un faro che dà speranza alla gente. Questa luce dà speranza a chi ancora non capisce perché questa guerra continua. Noi Suore del Sacro Cuore abbiamo vissuto tante situazioni di violenza per più di sessant’anni. Dal Sudan all’Uganda, poi dall’Uganda di nuovo in Sudan e sempre in fuga. Un andirivieni sempre insieme con la gente. Ma nessuna di noi era mai stata fino ad allora assassinata. Ci sono stati momenti in cui facevamo i bagagli per andare via e la gente si chiedeva come avrebbe fatto a vivere senza le suore accanto. Loro vedono in noi la forza per la propria fede. Per questo noi scegliamo di rimanere anche nei contesti più difficili.
Quali le sue speranze per il prossimo viaggio del Papa in Congo e Sud Sudan?
Suor Coccia: il Rosario quotidiano per la salute del Papa atteso in Africa
Tra coloro che non hanno voluto mancare alla preghiera in memoria delle due religiose uccise, c’era anche suor Luigia Coccia, Superiora Generale delle Comboniane, con all’attivo una lunga esperienza di missione in Camerun e nella Repubblica Democratica del Congo.
“Spesso questi agguati ci colpiscono nel nostro far causa comune con la gente”, spiega. “Nel caso di queste suore, visto che ancora nessuno si è pronunciato a riguardo, sarebbe forse un po’ arduo parlare di omocidio premeditato, certo è però che non è stato fatto a caso. Le nostre sorelle erano ben visibili, hanno anche tentato di ripararsi, invece hanno mirato proprio su di loro”. E sottolinea che loro erano tornate in un posto dal quale la gente era scappata da anni a causa dei conflitti. Eppure loro avevano voluto celebrare il centenario della loro fede proprio là, per significare che appartiene a quel popolo dove hanno dedicato anni di servizio. Poi hanno dovuto scappare ma hanno voluto far memoria.
“Pensiamo che questo non abbia lasciato indifferenti coloro che hanno interesse affiché la guerra continui. Erano consapevoli di rischiare. Nel dolore – ammette – è un segno positivo che la fede ha trovato un cuore aperto nel Sud Sudan, è cresciuta. E oggi sono i sud sudanesi a testimoniarlo”. Lei che conosce la realtà dei paesi dove Papa Francesco è in procinto di recarsi, esprime la profonda gratitudine per questa decisione del Papa che “ha mantenuto le promesse”. E confessa: “Personalmente ho preso l’impegno di pregare una decina di Rosario tutti i giorni per lui chiedendo il dono della salute fisica, perché sono due realtà – il Congo e il Sud Sudan – dove oltre alla salute psicologica e spirituale, è necesasria una buona salute fisica”.