Pianti, canti e preghiere alle 4 del mattino nello stesso luogo del naufragio di un anno fa. Centinaia di persone strette intorno a superstiti e familiari di morti e dispersi. La testimonianza di Mohammed, sopravvissuto: “Non so perché sono vivo, soffro per non aver potuto salvare i bambini”. Presenti Boldrini, Ungaro (Unhcr) e l’ambasciatore afghano: “Ora riunire le famiglie”. I parenti annunciano una causa civile allo Stato per omissione di soccorso
Salvatore Cernuzio – Inviato a Crotone
KR46M0. La sigla usata lo scorso anno per indicare il feretro bianco che custodiva il corpicino di un neonato morto nel naufragio è stampata in nero su una maglietta bianca. Giaceva sulla sabbia di Steccato di Cutro, in riva al mare, alle 4 di questa mattina, 26 febbraio. Stessa data, stesso luogo e stesso orario del naufragio del peschereccio “Summer Love” di un anno fa. Al posto dei cadaveri, dei loro indumenti e dei loro effetti personali, trasportati dalle onde a riva da quella che i testimoni paragonano ad una “esplosione”, ci sono candele e peluches. Trentacinque peluches per l’esattezza, tanti quanti i bambini morti in questa tragedia per la quale sono ancora in corso inchieste per risalire alle cause dell’incidente – avvenuto peraltro a 100 metri dalla riva – e per capire il motivo per cui i soccorsi sono arrivati dopo circa quattro ore. Sulla sabbia ci sono Dumbo, un coniglio, un paperotto, un cagnolino con attaccato un biglietto: “Ogni vita persa è un fallimento”. Sono i pupazzi che gli abitanti di Crotone hanno depositato a febbraio 2023 come segno di affetto e ricordo sul cancello del PalaMilone, il palasport che ha ospitato le 66 bare delle vittime e i familiari accorsi dagli Stati Uniti o da Germania, Svezia, Norvegia e varie regioni dell’Europa per i riconoscimenti. Raccolti e conservati, comporranno ora un memoriale insieme al legno del caicco, spiega il giornalista Bruno Palermo, organizzatore dell’iniziativa insieme alla Rete 26 Febbraio, coordinamento di circa 400 associazioni e attivisti.
Centinaia di persone
Intorno a questo altare di fiori, giochi e candele bianche, un centinaio di persone di Crotone e circondario, un gruppo di studenti da Catanzaro che ha noleggiato un pullman con la loro insegnante, una famiglia con due bambine piccole (“È importante che vedano”, spiega la mamma), poi l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, in Calabria da giorni, Filippo Ungaro, rappresentante dell’Unhcr, e anche l’avvocato difensore di uno dei presunti scafisti che non ha voluto rilasciare alcun commento sul processo in corso ma solo “compartecipare al dolore”. C’era pure Wayd, venuto col nipote in Germania, che ha perso moglie e due figlie femmine. Il maschietto di 5 anni è uno degli undici ancora dispersi. I corpi di altri tre bambini sono invece in fase di riconoscimento. Tra loro pure Alì, al quale ieri è stato intitolato un “Giardino” a Crotone.
Una corona di fiori in mare
Tutti quelli che all’alba hanno raggiunto la spiaggia, guardavano verso la sabbia o verso il mare. Sono rimasti così per circa un’ora, sempre in silenzio. Si sentivano solo le onde dello Ionio agitate come dodici mesi fa, tanto da ridurre in mille pezzi la corona di fiori gettata in mare dai due pescatori che per primi l’anno scorso si sono buttati tra le onde nel tentativo di salvare più vite possibili. Accanto a loro due familiari delle vittime. Si sono abbracciati e hanno pianto uno sulla spalla dell’altro, davanti allo striscione con un puzzle di volti dei migranti morti a Cutro, a Lampedusa e in altri naufragi “meno conosciuti”. Tra i quattro c’era pure una giovane donna che non ha retto l’emozione del momento, non ha retto, cioè, il pensiero di trovarsi davanti a quell’acqua che ha inghiottito sorella e nipoti e, dopo un pianto a dirotto, ha lanciato un grido ed è svenuta sulla sabbia. “Via le telecamere, rispettate il dolore”, hanno ordinato i volontari ai giornalisti – numerosi – di testate italiane e internazionali presenti.
In preghiera
Nello stesso momento un giovane afghano, uno dei sopravvissuti, guidava la preghiera del mattino. Alle sue spalle gli altri uomini in ginocchio, sul tappeto, in un’unica fila, con lo sguardo rivolto verso La Mecca. Poco prima lo zio di un ventenne morto nel naufragio, ha recitato alcuni versetti del Corano e intonato canti in arabo: “Anche se il nostro dolore non è passato e non diminuirà nel tempo vi ringraziamo per essere qui e speriamo che Dio ascolterà la nostra preghiera”, ha detto, invocando da Allah la pace nel cuore per questa gente che ha perso mamme, figli, nipoti, cognati, zii e zie, cugini, e che ora chiede “verità e giustizia” e anche che le promesse fatte dal Governo italiano vengano mantenute. A cominciare dal ricongiungimento coi loro familiari, bloccati in Afghanistan, Siria o Iran, possibilmente prima che per disperazione finiranno per imbarcarsi in uno di questi viaggi della morte. Lo gridavano ieri durante il corteo per le strade di Crotone, lo hanno ripetuto con voce sommessa questa mattina, manifestando anche il disappunto – come dice Alidad Shiri, afghano trasferito a Bolzano – per il nome scelto al decreto, il “Decreto Cutro”, che ha ristretto ancora di più le maglie di flussi migratori.
La testimonianza di un sopravvissuto
C’è rabbia, c’è delusione, e si intrecciano al dolore. Un dolore “profondo”, quello di cui fa partecipe l’assemblea Mohammed Mutevazi. Anche lui è sopravvissuto all’affondamento del “Summer Love” e non sa neppure perché: “È stata quella notte una notte terribile, in preda ai pericoli del mare… Ho avuto paura, molta paura, mi dispiace per le persone che hanno perso la vita. Non so come sia possibile che io sia rimasto in vita”, ha scandito al microfono, con l’ausilio di una traduttrice. Quella di Cutro è stata “una catastrofe”, ha aggiunto, “che come la guerra in Ucraina, in Palestina e in altri posti speriamo non si ripeta mai più in futuro. Un avvenimento nero come è nera questa notte. Mi dispiace di non aver potuto aiutare quei bambini che non avevano nessun peccato e sono morti quella notte. C’erano altre persone ferite in acqua… Io non riesco a dire più di questo perché ogni parola rinnova il mio dolore. Posso solo dire che non dimenticherò mai quello che è successo fino a quando sarò vecchio”.
L’Ambasciata afghana disponibile ad aiutare per i ricongiungimenti
A fianco al ragazzo, Khaled Ahmad Zekriya, ambasciatore dell’Afghanistan a Roma. Ha voluto prendere la parola anche lui per esprimere la tristezza di tutta la comunità afghana: “Questa strage è la dimostrazione che il governo liberticida e misogino che c’è al momento in Afghanistan costringe gli afghani a scappare dalla loro terra per la ricerca di libertà”, ha detto. Ha ringraziato poi “le istituzioni” per la vicinanza e anche “per aver agevolato il rimpatrio delle salme”. Una dimostrazione di “grande solidarietà” e di “fraternità”, quella da sempre invocata dal Papa per questo mondo ferito. Ora “bisogna riunire le famiglie” e “l’Ambasciata è disponibile a dare una mano”, ha rimarcato il diplomatico. Sempre lui ha espresso a voce l’auspicio che ognuno dei presenti venuto questa notte alla veglia aveva nella mente e nel cuore: “Mi auguro che sia l’ultima volta che siamo costretti a venire qui…”.
Causa civile per omissione di soccorso
In una successiva conferenza stampa a Crotone, le 52 famiglie delle vittime e dei superstiti hanno reso noto che intenteranno una “causa civile risarcitoria” allo Stato italiano per “l’omissione di soccorso e i gravi patimenti dei nostri cari successivi al naufragio”. L’avvocato Stefano Bertone ha spiegato che l’esposto “sarà presentato non prima che siano chiuse le indagini” penali.