di Giampaolo Mattei
Paolo — 11 anni, forte della debolezza della sua disabilità— ha “aiutato” Papa Francesco a svolgere la catechesi anche stamani. Come il 20 ottobre di un anno fa. Proprio all’inizio dell’udienza Paolo ha deciso di andare a salutare il Papa. E come lo scorso anno è partito in quarta per andare dritto da Francesco, semplicemente per comunicargli la sua gioia di essere lì. Stavolta c’era anche la sorellina Maria Rosa, 4 anni. Il Papa li ha accolti con un sorriso, una carezza e il dono di una corona del rosario. E loro si sono seduti accanto a lui. Per poi tornare dai genitori. «Siamo venuti da San Ferdinando di Puglia per accompagnare Paolo a una visita neurologica all’ospedale “Bambino Gesù” e per ricevere, insieme, la benedizione del Papa» dice mamma Elsa. Per le famiglie che vivono l’esperienza della disabilità il gesto di accoglienza di Francesco davanti alla “libertà” di Paolo (e di Maria Rosa) «è un incoraggiamento per affrontare i tanti ostacoli della quotidianità» dice Elsa. Il 20 ottobre 2021 Paolo “aiutò” il Papa nella catechesi dedicata proprio alla “libertà”, nelle parole della Lettera ai Galati. Stamani Francesco ha fatto presente, parlando a braccio all’inizio della catechesi, che Paolo e Maria Rosa «ci hanno dato esempio di come dobbiamo comportarci con Dio» e cioè «direttamente», «senza paura». E ha aggiunto: «Mi ha fatto bene vedere la fiducia di questi due bambini: è stato un esempio per tutti noi. Così dobbiamo avvicinarci sempre al Signore: con libertà».
Il racconto dell’omicidio di suor Maria in Mozambico
Don Loris Vignandel fa un balzo a ogni rumore che anima piazza San Pietro: nella notte tra il 6 e il 7 settembre è scampato a violento assalto alla Missione di Chipene, nel nord del Mozambico. È ancora vivissimo in lui il ricordo di quella terribile esperienza, che lo ha profondamente e interiormente segnato, nella quale è stata uccisa suor Maria De Coppi, comboniana, trevigiana, 83 anni, da quasi 60 nel Paese africano. Papa Francesco lo ha incoraggiato durante l’udienza. «Ho perdonato subito quelle persone violente — dice don Loris — anche con un messaggio su Telegram perché pensavo proprio di non sopravvivere». Era in Mozambico dall’aprile 2018 come sacerdote “fidei donum” della diocesi di Concordia-Pordenone. E con lui stamani era presente il suo vescovo, monsignor Giuseppe Pellegrini. «Quella notte a Chipene — racconta il sacerdote — c’erano don Lorenzo Barro, anche lui “fidei donum” della mia stessa diocesi, tre suore comboniane e altre persone che vivono nella Missione. Siamo rimasti nascosti, per questo gli assalitori non ci hanno uccisi. Hanno appiccato un incendio, hanno rubato e soprattutto hanno sparato a suor Maria». Don Loris ricorda così la religiosa: «Ha passato una vita in Mozambico, era innamoratissima sia di Chipene sia del popolo macua. Parlava benissimo la lingua della gente a cui ha dato veramente il cuore». E la vita stessa.
Una casula per Francesco dal carcere di Secondigliano
La casula che due detenuti del carcere di Secondigliano stamani hanno donato a Papa Francesco «è tessuta con fili di speranza, di riscatto ed è anche un ricucire lo strappo con se stessi, con la propria vita e con la società». La direttrice del penitenziario, Giulia Russo, e il cappellano, don Giovanni Russo, hanno raccontato al Pontefice «una straordinaria storia di vita». Insieme con i due detenuti e i rappresentanti delle varie realtà che ruotano intorno al carcere: dagli agenti di polizia penitenziaria ai volontari. «Tessere una casula mette insieme l’arte, la tecnica ma anche la dimensione spirituale e teologica» fa presente la direttrice. Con un particolare «accento mariano» conferma il cappellano. Il progetto sartoriale a Secondigliano ha il simbolico nome “Albus sacer” — è nato nel 2016 come “economia di riciclo” nel recupero di vecchi abiti — e «mira alla possibilità di creare concrete opportunità lavorative, anche attraverso un percorso di avvicinamento al sacro». Durante la pandemia nel laboratorio sono state cucite oltre diecimila mascherine distribuite gratuitamente in tutta Napoli.
Una statua per far sì che tutti abbiano une casa
Nella prospettiva della Giornata mondiale dei poveri — che si celebrerà domenica 13 novembre — Papa Francesco ha benedetto, durante l’udienza, una nuova scultura che denuncia proprio il dramma della povertà: l’artista canadese Timothy Schmalz l’ha chiamata “Sheltering”. «È in bronzo, a grandezza naturale, e mostra, appunto, la figura di una persona povera, rannicchiata a terra, riparata da una coperta tirata da una colomba in volo» spiega. Schmalz è autore anche dell’opera “Angeli senza saperlo” (Angels Unawares), dedicata ai migranti e ai rifugiati, collocata in piazza San Pietro. La scultura «accende i riflettori sul problema dei senzatetto nel mondo e incoraggia soluzioni pratiche, in linea con la missione della “Campagna 13 Case”, un’iniziativa della Famiglia vincenziana mondiale promossa per dare una abitazione a diecimila persone, entro la fine del 2023, in più di 160 Paesi». La Famiglia vincenziana — all’udienza erano presenti i superiori — «ha dato vita alla “FamVin Homeless Alliance” con l’obiettivo di cambiare la vita un miliardo e duecentomila persone che in tutto il mondo vivono senza un posto che possa essere definito casa» spiega il coordinatore Mark McGreevy. E aggiunge: «Prima di risolvere il problema dei senzatetto, dobbiamo comprenderlo, fermarci ad ascoltare le loro storie e coinvolgerli nelle soluzioni. Nessuno dovrebbe essere senza casa».
Il quadro donato da una pittrice iraniana
Rasta Safari — pittrice iraniana nata a Mashhad 34 anni fa e formatasi all’Università di Zahedan — ha donato a Francesco un quadro di grande significato e originalità, al quale ha dato il titolo “Phoenix”. «Il dipinto — spiega l’artista — si presenta come una scena teatrale e vuole rappresentare la battaglia tra l’oscurità e la luce». Ad accompagnare la pittrice in piazza San Pietro c’era una significativa delegazione della “Rete italiana donne di fede — Religions for Peace”. «Siamo un gruppo di donne, diverse per età, provenienza geografica e credo — fa presente la coordinatrice Francesca Baldini — unite dal binomio femminile-spiritualità e dal desiderio di promuovere una cultura della pace, del dialogo e dell’incontro tra persone di tradizione religiose diverse».
La preghiera con i religiosi ucraini
Papa Francesco ha pregato con i 45 partecipanti all’assemblea internazionale dei superiori e delle superiore maggiori della Chiesa greco-cattolica ucraina. E ha anche baciato la bandiera ucraina che gli hanno presentato. A guidare il gruppo, il responsabile della commissione per la vita consacrata, monsignor Mykhaylo Bubnyi, esarca arcivescovile di Odessa, con la vice responsabile suor Magdalina Vytvytska. «In Ucraina non potevamo organizzare questa assemblea perché c’è la guerra» dice l’esarca. E «così siamo venuti a Roma portare il grido del nostro martoriato popolo nel cuore della cristianità, con la speranza di una pace giusta». A Roma, afferma, «siamo con il Papa che abbiamo ringraziato per la sua preghiera, i suoi appelli per la pace e la giustizia e per la sua vicinanza al popolo ucraino». «Insieme» è una parola che il vescovo ripete di continuo. «Allo stare insieme, soprattutto in questo tempo di guerra, non c’è alternativa. Come Chiesa, come superiori e superiore maggiori, siamo insieme alla nostra gente, particolarmente vicini a coloro che più stanno soffrendo perché hanno perso i loro cari, hanno perso la casa, il lavoro. Siamo accanto ai rifugiati per cercare di dare loro speranza e non solo un aiuto materiale». «Religiosi e religiose — gli fa eco suor Vytvytska — non sono venuti solo dall’Ucraina ma anche da Stati Uniti d’America, Canada, Brasile e dalla Polonia». La consacrata parla di «spirito sinodale», e anche lei fa ricorso di continuo alla parola “insieme”: «Sì, insieme con tutti, nella Chiesa, tra noi religiosi e religiose, con la gente».
A piedi da Speyer per denunciare gli abusi
Per 55 giorni — «tante quante sono le vittime conosciute di abusi sessuali nella diocesi di Speyer» spiega il vescovo Karl-Heinz Wiesemann — Rudi Schreiber ha camminato per arrivare oggi in piazza San Pietro. Partendo, simbolicamente, proprio dalla cattedrale di Speyer. Schreiber non è vittima di abusi. Ma con questo pellegrinaggio a piedi ha voluto «attirare l’attenzione sulle sofferenze delle persone» e rilanciare «una campagna per un cambiamento di prospettiva nella Chiesa a favore delle vittime».