Chiesa Cattolica – Italiana

Spreco alimentare, quando frutta e verdura “anomale” riacquistano valore

Paola Simonetti – Città del Vaticano

L’estetica è il primo fattore di spreco nel settore agricolo. Forma, colore, grandezza pregiudicano senza appello la vendibilità di frutta e verdura nella grande distribuzione, tanto da far buttare a monte allo stesso agricoltore mediamente dal 15 al 20 % del suo raccolto, incidendo in modo drammatico non solo sullo spreco di alimenti di ottima qualità e perfettamente commestibili, ma anche sul reddito di chi coltiva. Imperfezioni dei prodotti generati, sempre più di frequente, anche dalle consuete ed estreme avversità climatiche.

Il “brutto” che acquista valore con “Bella Dentro”

Un contesto di spreco inaccettabile, dal quale è scattata l’idea, per Camilla Archi e suo marito Luca, di fondare “Bella Dentro”, il progetto di filiera alternativa nata Milano nel 2020, che strappa alla spazzatura centinaia di tonnellate di frutta e verdura “anomale”, perchè fuori dagli standard imposti dalla grande distribuzione, comprandola al giusto prezzo all’agricoltore e rivendendola in due punti vendita, ma veicolandola anche alla trasformazione per produrre succhi, confetture ed essiccati, attraverso la collaborazione della cooperativa sociale “L’Officina”, che forma e impiega persone con autismo e ritardo cognitivo. 

Ascolta l’intervista a Camilla Archi

Un esempio di pura economia circolare

“Da quando siamo attivi, dall’ottobre 2020, abbiamo recuperato ad oggi 100 tonnellate di prodotti agricoli ancora ottimi, ma rifiutati dai compratori della filiera tradizionale” racconta Camilla Archi, che sottolinea come spesso questi ultimi sbattano la porta in faccia all’agricoltore solo perchè ha prodotto un raccolto “anomalo” fatto di frutti più piccoli, con bucce dal colore non perfetto secondo gli standard imposti o zucchine non dritte come fusi, per citare qualche esempio. “Un danno incalcolabile sul fronte dello spreco – aggiunge la Archi-, considerando anche che il cambiamento climatico è sempre più presente e incide sulla qualità estetica dei prodotti: una violenta grandinata può compromettere l’aspetto della buccia di un frutto, così come la siccità e dunque la mancanza di acqua, può incidere sulla grandezza dei prodotti, portando non di rado a dover buttar via il 70% del raccolto. Noi lo compriamo al giusto prezzo per l’agricoltore e lo rivendiamo”. “Chi entra in negozio viene a conoscenza della storia di quel prodotto – aggiunge la co-fondatrice di ‘Bella Dentro’ -, storia che spesso trova il completo stupore di chi acquista, ma mai indifferenza o rifiuto. Piuttosto nasce una virtuosa presa di coscienza”.

Non a caso, in Italia, lo scarto di frutta e verdura, è in testa fra tutti gli altri alimenti buttati via dai consumatori: i dati del Centro Comune di Ricerca della Comunità europea piazzano il Belpaese al primo posto delle nazioni più sprecone con 270 milioni di tonnellate di cibo che finiscono nella spazzatura ad opera dei consumatori, con ai primi posti sul fronte della tipologia di alimenti, proprio i vegetali. La conoscenza, dunque, sembra essere la chiave di volta per un cambiamento culturale sulle prassi di gestione del cibo, spesso acquistato in quantità superiori alle necessità di reale consumo.  

Spreco alimentare nel mondo

La sensibilizzazione sul tema, appare necessaria anche al livello globale: lo sperpero di prodotti alimentari sembra, infatti, livellare tutti i Paesi del mondo. Stando ad una ricerca delle Nazioni Unite nel solo 2019 è stato buttato via il 17% del cibo disponibile al consumo, pari a 931 milioni di tonnellate, di cui sono state responsabili famiglie, rivenditori, ristoranti e altri servizi alimentari nel mondo. Il nodo più debole dello spreco sembrano essere proprio i destinatari finali, i nuclei famigliari, che scartano l’11% di alimenti, mentre servizi e punti vendita al dettaglio ne sprecano rispettivamente il 5% e il 2%. A livello globale vengono gettati 121 chilogrammi di cibo a testa l’anno, con 74 chilogrammi a livello familiare. Una prassi che pesa su ambiente, contesti sociali ed economici. Ridurli, infatti, ricorda l’Onu, potrebbe portare ad un taglio delle emissioni di gas serra e a rallentare la distruzione della natura attraverso la conversione dei terreni, all’aumento della disponibilità di cibo e quindi a diminuire la fame nel mondo. 

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