Sprechi alimentari: Italia virtuosa, più educazione nelle scuole

Vatican News

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Alla vigilia della seconda Giornata mondiale di consapevolezza delle perdite e degli sprechi alimentari, sono stati presentati questa mattina a Roma i dati dell’Osservatorio internazionale sul cibo e la sostenibilità. Un confronto sulle abitudini di acquisto, gestione e fruizione del cibo a livello planetario. L’indagine, condotta in otto Paesi – Usa, Cina, Regno Unito, Canada, Italia, Russia, Germania e Spagna – ha evidenziato una maggiore attenzione degli europei rispetto ai nordamericani, e il primato dell’Italia come nazione ‘virtuosa’ con ‘solo’ 529 grammi a settimana di spreco pro capite. Che lo spreco sia ‘immorale’ lo afferma il 77% degli italiani. Il Rapporto vuole essere un punto di partenza per promuovere iniziative finalizzate a concretizzare gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che prevedono di dimezzare gli sprechi alimentari entro il 2030. Ma perché si spreca? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Segrè, direttore scientifico dell’Osservatorio, meglio noto come Waste Watcher:

Ascolta l’intervista ad Andrea Segrè

Le ragioni dello spreco

“Sono tanti i motivi che inducono allo spreco alimentare – spiega Segrè – dall’acquistare troppo rispetto ai consumi alla la lettura superficiale delle etichette delle scadenze. Questa scarsa consapevolezza può essere colmata con più educazione alimentare. Infatti, alla domanda dei nostri questionari, in tutti gli otto Paesi, se si è d’accordo a introdurre più corsi di educazione alimentare nelle scuole c’è stato un plebiscito”. Segrè precisa che gli strumenti per prevenire gli sprechi ci sono, bisogna ricorrervi. La questione di fondo è che il cibo non viene ritenuto una risorsa preziosa, non se ne riconosce il valore, si pensa poterlo ‘rottamare’ con grande facilità. Nemmeno le inchieste giornalistiche, che paiono in aumento, e le campagne informative su ciò che c’è dietro la produzione di cibo sotto il profilo, per esempio, dei diritti umani dei lavoratori sembra far crescere la sensibilità verso una riduzione dello spreco: “Non pensiamo che il cibo si produce con risorse naturali limitate – dice Segrè – a questo proposito Waste watcher, che vuol dire sentinella dello spreco, vuole portare all’attenzione del mondo e della politica questo problema. Sicuramente in un prodotto alimentare viene convogliato tutto ciò che ha contribuito a metterlo sul mercato. Se si considerasse questo aspetto, la consapevolezza dei cittadini che sono nella condizione di poter accedere liberamente al cibo come bene – non per tutti è così, purtroppo, fa notare il professore – dovrebbe aumentare”. 

Gli inviti del Papa a non scartare il prossimo

‘Spreco’, ‘scarto’ sono parole che tornano moltissimo nei discorsi di Francesco. “Il Papa ci è stato di grande guida – osserva Segrè – pensiamo solo alla Laudato Si’ che ci ha ispirato e ha confermato il nostro lavoro di prevenzione nel rimettere l’ecologia integrale al suo posto. L’azione che abbiamo messo in campo con lo spin off dell’università di Bologna, alla base dei nostri studi con la campagna Spreco zero, porta ad analizzare lo scarto nelle sue varie declinazioni. Perché sprecare il cibo a causa della sua imperfezione, o per la scadenza ravvicinata, o per una confezione danneggiata, vuol dire scartare l’altro, il diverso, l’anziano… il passo è brevissimo”. E scandisce: “Mangiare bene dovrebbe essere un diritto”.

Recovery food: il recupero di cibo a fini caritativi 

Sei anni fa l’evento a Milano di Expo ha contribuito a creare piattaforme di riflessione anche sui temi della sostenibilità e della condivisione del cibo verso coloro che difficilmente hanno accesso. “Credo che abbia avuto un importante significato moltiplicatore. In quei sei mesi ci sono stati tanti eventi a cui abbiamo partecipato anche noi – conclude Segrè – e questa attenzione deve rimanere accesa guardando al fatto che il numero dei poveri economici sta aumentando in modo esponenziale. Il recupero del cibo, avviato fin dagli inizi del 2000, va accentuato. Infatti abbiamo fatto una proposta alcuni mesi fa, l’abbiamo chiamata ‘recovery food’, per rendere obbligatorio il recupero di cibo a fini caritativi soprattutto negli anelli della filiera che possono donarlo”. Ricorda che siamo ormai attorno al 10% di poveri assoluti in Italia e che di proposta opportuna si tratta. “Sappiamo bene che i problemi della fame non si risolvono recuperando il cibo in eccedenza ma intanto servono a tamponare un bisogno”.