Isabella Piro – Città del Vaticano
Sarà monsignor José Cobo, vescovo ausiliare di Madrid e responsabile della pastorale carceraria, con l’intervento sul tema “La pandemia e le sue sfide per la vita cristiana e la Pastorale penitenziaria” ad aprire l’incontro virtuale dei Cappellani carcerari. Seguirà una tavola rotonda dal titolo “L’impegno pastorale durante la pandemia”, cui parteciperanno diversi cappellani e volontari. Il giorno successivo sarà dedicato alla questione dei “Diritti limitati in tempo di pandemia”, nonché allo scambio di informazioni ed esperienze vissute in questi mesi da diversi responsabili pastorali. L’incontro di marzo, inoltre, si terrà in preparazione ad altri due appuntamenti della pastorale penitenziaria: la speciale “Settimana” in programma in tutte le parrocchie spagnole dal 17 al 24 settembre, nonché il decimo “Congresso nazionale” del settore, previsto a Madrid dal 15 al 17 ottobre prossimi.
Misure restrittive severe, ma necessarie
Ad oggi, in Spagna, il Covid-19 ha provocato oltre 3milioni di contagi e più di 64mila decessi. Il lockdown stabilito dalle autorità ha quindi imposto, già nei mesi scorsi, la chiusura delle carceri a persone esterne, tranne che agli agenti di custodia ed al personale sanitario. Di conseguenza, sono stati sospesi tutti i colloqui personali dei detenuti con i familiari, che hanno potuto parlare con i propri cari solo per telefono o tramite lettera. Revocato anche l’ingresso di pacchi dall’esterno e ridotti i laboratori produttivi e la didattica per detenuti. Anche le celebrazioni religiose si sono fermate, in quanto l’accesso ai cappellani carcerari è stato vietato. Le misure restrittive hanno funzionato: pochi, infatti, i contagi registrati dietro le sbarre i circa dieci prigioni, mentre l’85 per cento di esse è risultato Covid-free, portando il tasso di mortalità nei penitenziari iberici a dieci punti in meno rispetto a quello della popolazione in generale.
Un isolamento ancora più doloroso
Tuttavia, il lockdown ha creato grande disagio e difficoltà alle persone dietro le sbarre, come testimoniato da padre Florencio Roselló Avellanas, sacerdote mercedario membro della Pastorale penitenziaria spagnola: “Si è trattato di scelte dure – ha detto – perché la famiglia è il balsamo curativo che tranquillizza la vita dietro le sbarre; è il motore che alimenta la speranza”, così come le celebrazioni religiose “costituiscono una boccata di ossigeno” per chi vive in carcere. Nonostante ciò, la Chiesa non si è persa d’animo, bensì si è “reinventata con creatività”, senza mai “smettere di assistere i reclusi e le loro famiglie”.
La vicinanza dei cappellani
Alcune cappellanie, ad esempio, “hanno fabbricato circa 20mila mascherine e 100 schermi protettivi per i carcerati e le guardie”; altre “hanno aperto indirizzi e-mail in cui raccogliere messaggi di sostegno e di solidarietà ai detenuti”; altre ancora hanno dato “un aiuto economico ai prigionieri più poveri e indigenti”, privati del sostegno delle loro famiglie. Infine, alcune cappellanie hanno inviato ai carcerati sussidi liturgici, per permettere loro di vivere la celebrazione della Messa a distanza, attraverso televisori autorizzati. In tempo di pandemia, dunque, ha concluso padre Avellanas, “i detenuti hanno percepito la vicinanza della Chiesa, anche dal di fuori”, perché essa “ha accompagnato le loro famiglie e lottato per i loro sogni”. La speranza, ora, è che “questa esperienza porti ad un impegno maggiore con le carceri e con le persone che vi sono rinchiuse”.