Nicola Gori – Città del Vaticano
Le tre giovani crocerossine Pilar, Olga e Octavia erano «già incamminate sulla via della carità, alimentando con l’attività apostolica la loro vita cristiana ordinaria», quando vennero martirizzate il 28 ottobre 1936 a Pola de Somiedo, nelle Asturie, nel drammatico contesto della persecuzione religiosa durante la guerra civile spagnola. Lo ha sottolineato il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, durante la beatificazione delle tre donne laiche, da lui presieduta in rappresentanza di Papa Francesco, sabato mattina, 29 maggio, nella cattedrale di Astorga.
Le tre infermiere erano María del Pilar Gullón y Turriaga, venticinquenne di origini madrilene; Olga Pérez-Monteserín Núñez, ventitreenne nata a Parigi; e Octavia Iglesias Blanco la più grande, con i suoi 41 anni, originaria della stessa Astorga, dov’era catechista e impegnata nell’aiuto ai bisognosi. Esse “intesero bene” le parole del Signore che disse: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo». Infatti, alla cura del corpo degli infermi e dei feriti, le tre «si dedicarono» per alleviare sofferenze e sollevare gli animi perché il “corpo” ha la sua dignità inenarrabile, ha spiegato il porporato all’omelia.
Per i credenti, «il corpo dell’uomo partecipa alla dignità di “immagine di Dio”». I corpi «nascondono un mistero» e «in essi lo spirito si manifesta e opera», ha aggiunto Semeraro, citando parole di Benedetto xvi (13 maggio 2011).
Nell’ospedale di Puerto de Somiedo, le tre donne dedicarono molte energie «alla cura del corpo debilitato e sofferente», ha affermato il cardinale, e anche «nel pericolo, non vollero abbandonare i feriti», ma continuarono ad assisterli «mettendo a rischio la propria vita». Per questa loro «fervente carità, quando il loro corpo fu minacciato, non s’irrigidirono nel timore, ma ardenti del fuoco della carità subirono torture e umiliazioni». Tutto «sopportarono con fortezza soprannaturale», ha sottolineato il prefetto, e «si disposero a subire la morte in spirito di fede».
Le tre nuove beate «sono morte acclamando a Cristo Re ed è questa professione di fede che le ha rese martiri». In proposito il porporato ha fatto notare che il Signore, «rivela nei deboli la sua potenza e dona agli inermi la forza del martirio». Deboli «lo siamo tutti noi», ha aggiunto, però, la parola di Cristo nel Vangelo è chiara: «Non temete, non abbiate paura!». Per tre volte Gesù lo dice ai suoi discepoli e lo ripete «anche a noi, perché sa che abbiamo bisogno di sentircelo ripetere». Deboli, ha detto Semeraro, «lo erano anche le tre nostre sorelle». Eppure, ora la Chiesa le onora ufficialmente come martiri di Cristo: «hanno, infatti, ricevuto la corona della vita, promessa dal Signore a quanti lo amano».
La paura, ha continuato, è «un’emozione sempre possibile». Quella umana è «una società segnata dalla paura». Sant’Agostino affermava che gli apostoli, «per non irrigidirsi nel timore, ardevano del fuoco della carità». Quindi, «la via per vincere la paura è la carità», ha sottolineato il prefetto. È la via che «hanno percorso i martiri ed è la via che sempre è aperta per noi». Non soltanto nelle situazioni drammatiche, ma anche «in quelle più ordinarie; non solo per quelle paure che possono derivarci dalle minacce degli uomini, ma anche per quelle che sono collegate alla nostra condizione umana e alle emergenze che accadono nella vita». Non c’è dubbio, ha aggiunto, che «una situazione di paura è determinata in questo tempo anche dalla pandemia di cui stiamo soffrendo e da cui speriamo presto di uscire». Al riguardo, fin dal principio, ha rimarcato il cardinale, Papa Francesco «ha indicato la via da percorrere e questa è ancora la carità». E ha concluso ricordando la lettera del vescovo di Astorga, Jesús Fernández González.