Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
La felicità di aver tratto in salvo circa 200 persone ma, allo stesso tempo, il dolore di non aver potuto fare lo stesso con tanti altri, che non ce la fanno o che vengono recuperati dalle motovedette libiche, il cui destino è affidato “ad una roulette russa che non è più accettabile”. Sono le emozioni di Luciano Scalettari, giornalista di lungo corso inviato speciale di Famiglia Cristiana, esperto del continente africano, e di tutti coloro che come lui fanno parte della ResQ People Saving Peope, organizzazione che, con una nave, soccorre “i naufraghi, persone che fuggono da guerre, dittature, cambiamenti climatici ed estrema povertà. Da presidente della ResQ, che vede l’ex magistrato Gherardo Colombo presidente onorario, Scalettari parla dell’emozione che racchiude, però, anche lo sconforto di non riuscire ad intervenire al fianco di tutti coloro che attraversano il Mediterraneo.
In attesa di indicazioni
Il giornalista racconta la prima missione della nave che, negli ultimi giorni, ha salvato 166 persone, tra loro un bimbo di nove mesi e alti 4 sotto i cinque anni, e che ora, mentre si trova tra Malta e le coste del ragusano, è in attesa di ricevere indicazioni dall’Italia circa un porto sicuro, ossia, spiega,” un porto dove le persone possano essere accolte, curate e accudite e assistite in sicurezza e dove non ci siano rischi rispetto ai diritti umani. Non potremmo mai rivolgerci a sud del Mediterraneo, perché non ci sono porti considerati sicuri, ma soltanto nella parte Nord quindi in Europa”. Si chiede, quindi, che “l’appello venga accolto senza indugi e senza rimpalli”. Attualmente a bordo vi sono oltre 180 persone, compreso l’equipaggio, per una nave di 39 metri, “sono tante persone, la situazione potrebbe anche diventare molto critica”. Sono stati diversi i gruppi di profughi salvati nelle ultime ore, gli ultimi tre, di ieri, composti da persone provenienti dall’Africa subsahariana, tra loro anche donne e bambini in condizioni fisiche provate.
Vittime del mare o delle carceri libiche
“Negli ultimi 10 anni – prosegue Scalettari – nel Mediterraneo sono morte 30mila persone, più di 1000 negli ultimi mesi, mentre noi cercavamo di essere pronti per la prima missione. 15mila persone sono state riportate nell’inferno della Libia, dove di nuovo subiranno estorsioni, detenzione, solo per aver cercato di uscire da quel girone infernale, ma senza riuscirci, perché ci sono stati riportate”. Non è possibile pensare, è il dolore del giornalista, “che a seconda dell’ora e del giorno qualcuno possa morire in mare, possa essere riportato in Libia o, ma solo se ha fortuna, incontrare una delle poche navi che stanno cercando di soccorrere nel Mediterraneo”.
La tragedia afghana
Su tutto questo adesso incombe anche un’altra tragedia, quella che sta vivendo l’Afghanistan. Colombo e Scalettari, in un comunicato, citano le vittime della violenza in quel Paese, chiedendo al mondo di non girarsi dall’altra parte quando si tratta di persone che fuggono da guerre e da fame. Perché “ogni vita è preziosa e insostituibile”. Tutto questo probabilmente si tradurrà, prosegue Scalettari, “in decine di migliaia di persone che si muoveranno. Occorre intervenire, bisogna quantomeno che si aprano corridoi umanitari perché queste persone trovino rifugio”. La speranza è che lo sguardo rimanga umano, che a prevalere sia la legge del mare che impone di salvare le vite umane in difficoltà “senza chiedere alle persone da dove vengono e dove andranno, perché quando si è in pericolo di vita, bisogna solo salvare”.