Adriana Masotti – Città del Vaticano
Da Bergamo all’Ecuador e di nuovo, in questi giorni, a Bergamo per qualche settimana per poi ripartire ancora: è il percorso compiuto da Maria Luisa Cortinovis e dal marito Sergio Beretta, da quando nel mondo è scoppiata la pandemia da Covid-19. Nella propria città di orgine in Lombardia, particolarmente colpita nella prima fase del coronavirus ad un Paese, in America Latina, dove la possibilità di cura fa i conti con la povertà e con un sistema sanitario carente di strutture e mezzi economici, di sicuro l’esperienza vissuta è di una grande sofferenza condivisa prima con parenti e amici e poi con quella gente che ha scelto di servire. Cinquantaquattro anni fa la prima partenza di Maria Luisa e Sergio come volontari dell’ACCRI, Associazione di Cooperazione Cristiana Internazionale per una cultura di solidarietà tra i popoli nata a Trieste, per realizzare un progetto di formazione per giovani poveri, nella regione di La Troncal in Ecuador. Ne è nato il Colegio San Gabriel, costituito da una scuola elementare, media e superiore per un totale di circa 750 studenti, laboratori di manufatti la cui vendita aiuta il finanziamento delle scuole e un centro medico. Il tutto perfettamente inserito nel contesto della comunità dove è situato, con legami forti tra il momento della formazione e il lavoro, con le famiglie dei ragazzi e con la parrocchia.
Il Premio Focsiv e l’incontro con Papa Francesco
Il 4 dicembre del 2014 Maria Luisa, allora aveva 74 anni, ha ricevuto il Premio del Volontariato Internazionale Focsiv, durante una semplice cerimonia nella Sala Marconi di Radio Vaticana. Gianfranco Cattai, presidente della Focsiv, Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario, consegnandole il Premio ha definito la sua attività: “Un progetto di sviluppo locale e laboratorio di fraternità, una piccola goccia che riteniamo utile a coltivare germogli di vita e di speranza in un oceano di indifferenza, ingiustizia ed esclusione.” In quell’occasione la Cortinovis è stata ricevuta anche da Papa Francesco in udienza privata. “Un’emozione indescrivibile – aveva commentato allora Cortinovis ad incontro finito -. Quando è uscito dalla porta con quel passo cadenzato, il suo abito bianco, anche un po’ stanco… la figura di Gesù, ecco! E il suo discorso, questa provocazione forte sui poveri che ‘non possono diventare un’occasione di guadagno!’ Un messaggio radicale – aveva detto ancora – ma anche di speranza, in un mondo in cui le brutture sono notizie e non aiutano certamente i giovani ad avere speranza. Invece dobbiamo lottare, perché ogni giorno ciascuno di noi può mettere qualche cosa di proprio, senza aspettare le grandi soluzioni che magari non arriveranno mai. Le disuguaglianze e i divari sono il vero peccato del mondo! Tutto questo ho sentito incontrandolo e tutto questo ci siamo detti, in silenzio, guardandoci negli occhi mentre ci stringevamo le mani”.
E’ necessario condividere i beni con spirito di solidarietà
Arrivata in Italia, il primo pensiero per Maria Luisa è stato far sapere a quanti più possibile la difficile situazione che si vive oggi in Ecuador, in particolare riguardo alla mancanza di vaccini anti Covid, proprio nel momento in cui la comunità internazionale discute l’opportunità di sospendere almeno temporaneamente i brevetti per i vaccini in nome della solidarietà con i Paesi più poveri e della necessità di combattere la pandemia in tutto il mondo. E’ l’auspicio che Maria Luisa Cotinovis ribadisce ai nostri microfoni:
R. – La pandemia ci ha insegnato che anche in condizioni drammatiche è possibile tenere in vita la speranza, perché abbiamo qualcuno al di sopra di noi che ci aiuta con la sua forza e con la sua misericordia, con tutti i nostri limiti e turbamenti, diversamente non ce l’avremmo fatta, non ce la faremo, perché capitano momenti in cui ci si sente impotenti di fronte alle situazioni che ci tocca vivere. A La Troncal e a Bergamo, l’anno scorso, abbiamo vissuto momenti terribili. Qui nella nostra casa d’origine abbiamo perso degli amici e quando siamo rientrati in Ecuador abbiamo trovato una situazione veramente tragica. La Troncale è una cittadina di 50 mila abitanti con alcune località anche con 3,4 mila abitanti ciascuno. E lì le persone non hanno molte possibilità economiche per vivere, però vivono dignitosamente. Ma la pandemia del Covid ha messo in ginocchio l’Ecuador e quindi anche la nostra provincia dove si trova il Colegio San Gabriel. Le condizioni drammatiche che vive la popolazione rispecchiano la mancanza di strutture sanitarie che hanno bisogno di mezzi economici che il Paese purtroppo non ha.
Adesso è in corso una campagna vaccinale in Ecuador?
R. – Noi abbiamo avuto questa fortuna: domenica 2 maggio sono stati vaccinati tutti gli insegnanti di La Troncal e quindi anche i nostri docenti del San Gabriel sono stati vaccinati. Un miracolo della divina Provvidenza che non ci manca mai.
Ma al di là degli insegnanti, l’Ecuador dispone di vaccini?
R. – Ho parlato di Provvidenza, perchè appunto la possibilità di vaccinarsi è stata una Provvidenza, ma non è che ci sia la possibilità di fare il vaccino in Ecuador. Si tratta solo di interventi mirati proprio alle persone che lavorano nelle strutture sanitarie e anche per gli insegnanti, ma non è che ci sia una campagna di vaccinazione in corso, no assolutamente. Questo si spera che potrà avvenire, ma c’è bisogno dell’aiuto che viene dall’estero, perché in Ecuador non ci sono mezzi e veramente la nostra presenza lì ha un po’ anche questo senso: stare lì per camminare con quella gente. Noi, sia io che mio marito, abbiamo avuto il Covid, io sono stata in ospedale. Per noi il Covid non è stato un dramma come lo è per tanti, perché la comunità si è mossa, si sono dati da fare i volontari per la trasfusione del plasma ed io sono guarita, ma tante persone in Ecuador no. È questo che dobbiamo capire e fare qualcosa per condividere ciò che abbiamo tramite la solidarietà.
Sette anni fa, lei ha ricevuto il Premio del Volontariato Internazionale Focsiv per il progetto formativo che sta portando avanti, il Colegio San Gabriel, di cui ci diceva. Come va oggi questo impegno? A che punto è?
R. – E’ stato veramente un impegno positivo perché la scuola è cresciuta con la gente del posto. Noi abbiamo avuto all’inizio degli aiuti dall’Italia, da parte di comunità ecclesiali, di amici e familiari, però abbiamo sempre cercato di coinvolgere la comunità de La Troncal e la scuola oggi è una bella realtà, è una comunità educativa, così la chiamiamo, il Colegio San Gabriel, perché tutti abbiamo una missione: mettere in questa realtà una goccia di acqua pulita, tutti i giorni, dal più piccolo fino alle persone che hanno delle responsabilità.
Ci descrive come si struttura questa realtà a cui avete dato vita e per cui state ancora ancora lavorando, ora insieme anche ai vostri due figli, Anna Maria e Diego, conquistati dalla vostra gioia?
R. – Al San Gabriel abbiamo le scuole elementari, le medie e poi la scuola superiore che è di tipo tecnico e quindi aiuta ad utilizzare non solo la mente, ma anche le mani. “Benedici Signore le opere che escono dalle mie mani…” ed è questo un po’ anche lo slogan che continuiamo a proporre non solo ai ragazzi, ma anche ai genitori e a tutta la comunità de La Troncal, cioè il lavoro che dà la dignità all’uomo e alla donna. Alle superiori abbiamo 4 specializzazioni tra cui meccanica ed elettronica e così, quando escono dalla scuola, i nostri studenti possono affrontare il mondo del lavoro e possono quindi collaborare anche per la costruzione di un Ecuador migliore, indipendente, capace di risolvere i problemi con l’apporto di tutti quelli che vivono nel Paese. E la risposta della comunità è veramente molto positiva, in tutti i sensi, tanti danno lavoro ai nostri studenti, tanti nel tempo hanno costruito la loro piccola industria, perchè non ci possiamo permettere in Ecuador di sotterrare i talenti che il Signore ci ha dato. E questo è anche un po’ il progetto concreto che continuiamo a proporre a tutti.
Episodi come l’uccisione di Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano ucciso in nella Repubblica Democratica del Congo, di diversi sacerdoti, suore, di Nadia volontaria in Perù, recentemente assassinata, sono inquietanti. Tanti posti, proprio dove voi volontari e missionari andate a lavorare per la gente, non solo sicuri. Come vive lei tutto questo?
R. – Sinceramente noi siamo sempre stati molto sereni. Certo, abbiamo avuto all’inizio naturalmente delle incomprensioni per la proposta formativa che in qualche modo liberava un po’ ragazzi e famiglie da quell’ ignoranza che è un peccato molto grave dell’umanità. Ma noi siamo stati sereni, non abbiamo avuto dei grossi problemi e in questo momento, dico la verità, riceviamo solo attestati di stima dalla gente. Le paure che abbiamo sono quelle di non riuscire a condividere abbastanza con gli altri, di non dare l’aiuto necessario, di non camminare insieme per alleviare almeno un poco quelle situazioni dolorose che La Troncal vive, così come l’Ecuador e in fondo tutti i Paesi che lei ha nominato. Mi commuove pensare all’ambasciatore Attanasio, una persona che avrebbe potuto continuare con la famiglia a fare tanto bene. Però non ci rassegniamo e non vogliamo fermarci.
Ma quando si parte, come volontari, si è disposti davvero a dare tutto?
R. – Sì, io direi di sì, con le difficoltà, naturalmente, con qualche momento di ripensamento, con il sentimento di impotenza, come dicevo prima, di fronte alle situazione che ci è toccato vivere e che ci tocca vivere ancora, ma poi l’aiuto viene dalla fede, viene dalla speranza, viene dal Signore. Ecco, per noi, per la nostra famiglia è stato così. E quando si è stanchi… noi abbiamo una cappellina nella nostra scuola, e allora si entra, senza dire niente, e quando si esce si è più forti e si continua a camminare insieme, anche se in salita, del resto è sempre in salita la vita dei Paesi poveri. Però c’è sempre anche la forza, c’è la speranza, c’è quello stare insieme e comprenderci, e quindi si affronta tutto perché c’è qualcuno che ci dà sempre una mano. In fondo la partenza all’inizio, 54 anni fa, era con Lui, non siamo partiti in due, siamo partiti in tre e il terzo era il Signore che il re della gioia anche nella tempesta.