Solidarietà: apre a Mestre l’Ipermercato del recupero, dedicato a Papa Francesco

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

È un vero “ipermercato del recupero” il Centro di solidarietà cristiana “Papa Francesco” che viene inaugurato oggi a Mestre, la città della terraferma veneziana. Alle spalle del nuovo ospedale “Dell’Angelo” e dei grandi poli d’attrazione commerciale di multinazionali più note, la Fondazione Carpinetum ha realizzato una struttura di 3500 metri quadri ove ogni pilone di cemento, ogni lampadina è frutto della generosità dei mestrini e dei veneziani. Tre ingressi separati per il settore alimentare, freschi e non deperibili, i vestiti e i mobili, con gli articoli per la casa e i supporti per le infermità. Migliaia di prodotti gratuiti per chi non ha nulla e disponibili con un’offerta simbolica per chi fa difficoltà ad arrivare a fine mese, recuperati con 8 furgoni, di cui uno frigorifero, ogni mattina dai volontari dell’Associazione “Il Prossimo”, che raggiungono 23 ipermercati veri che donano le proprie eccedenze.

Le “azioni” da 50 euro sottoscritte da piccoli benefattori 

Alle pareti del Centro, realizzato in meno di un anno anche grazie alle “azioni” da 50 euro l’una sottoscritte (con tagli pure da 10 euro) da tantissimi benefattori, non ci sono gli “strilli” delle offerte speciali, ma frasi del Papa e di santa Teresa di Calcutta. “Molti parlano dei poveri, ma pochi parlano con i poveri”, “Quanto meno abbiamo, più diamo. Sembra assurdo, ma questa è la logica dell’amore” e ancora: “Ciò che conta non è fare molto, ma mettere molto amore in quello che si fa”. Non ci sono foto giganti di sfilatini, bibite gasate o pesche e fragole, ma pannelli fotografici di Papa Francesco tra i fedeli nell’udienza generale e scorci della Venezia più bella.

L’inaugurazione alle 11, nella periferia tra Mestre e Zelarino

Protagonisti dell’inaugurazione di questa mattina alle 11, sono il presidente della Fondazione Carpinetum, il parroco di Carpenedo don Gianni Antoniazzi, quello dell’Associazione Il Prossimo Edoardo Rivola, direttore di banca che riesce a trovare anche quattro ore al giorno per il volontariato, e soprattutto don Armando Trevisiol, l’ex parroco di Carpenedo, oggi 92enne, l’anima del sogno che si realizza oggi. Che sicuramente ricorderà quel chiosco in legno aperto su un lato della chiesa, dedicata ai santi martiri Gervasio e Protasio, aperto nel 1980 dove prima c’era un fioraio, per la distribuzione di alimenti per i poveri donati dai negozianti del quartiere. E che ricorda come questo sogno fu condiviso e incoraggiato per primo dall’allora patriarca di Venezia Marco Cé. All’inaugurazione è presente anche il vicario foraneo di Mestre, don Natalino Bonazza, e autorità cittadine.

Don Antoniazzi: una struttura curata da’ dignità a chi la utilizza

Prima di tagliare il nastro di questa vera “cittadella della solidarietà” e dell’economia circolare, tra Mestre e Zelarino, spiegano a Vatican News perché hanno trasferito l’attività già molto apprezzata dei “magazzini” dal centro di Mestre alla periferia, creando una struttura nata per dare nuova vita a prodotti che altrimenti verrebbero scartati, e così aiutare anche il “recupero” e la ripresa di tanti mestrini piegati dalla crisi economica portata dal Covid-19. Dal seminterrato del Centro don Vecchi 2, uno dei sette “residence” che oggi contano 510 appartamento offerti a prezzi quasi simbolici ad anziani bisognosi, tutta l’attività che sostiene migliaia di persone nel bisogno, è da oggi in un ambiente decoroso, ben curato, a norma di sicurezza e di igiene, che, ci dice don Gianni Antoniazzi, “da’ dignità anche a chi lo frequenta, perché la bellezza fa crescere”.

Ascolta l’intervista a don Gianni Antoniazzi

Credo che la persona umana trova la sua più alta manifestazione nella categoria della ripresa: non è obbligatorio per noi essere perfetti, anzi è impossibile esserlo e non dobbiamo neanche lasciarci abbattere dalla vita. Tra l’abbattimento e la perfezione c’era categoria della ripresa, nella quale ciascuno di noi tenta di rialzarsi continuamente di rimettersi in gioco. Noi cerchiamo di farlo anche con alcuni oggetti come i mobili, con i vestiti, sentiamo di riprendere, di risollevare anche l’uso dei beni alimentari che molti potrebbero buttare via, in prossimità della scadenza, ma fossero ancora buoni. Ecco, questo Centro segue questa categoria, della ripresa, che vale anche poi per il nostro territorio di Mestre, di Venezia, affaticato perché è stato provato dal crollo del turismo causato dalla pandemia e adesso ha bisogno di una ripresa.

Qual è il vantaggio di concentrare in un unico luogo tutti i prodotti disponibili che avete?

La speranza è che la gente possa, con poca fatica, trovare un aiuto adatto alle sue esigenze. La nostra prima intenzione non è dare prodotti, ma è incontrarci con le persone fragili, fare un briciolo di discernimento e poi quando abbiamo compreso di che cosa hanno bisogno, dare anche, se ne hanno la necessità, quei prodotti che possiamo distribuire. E’ chiaro che se noi facciamo un discernimento e subito c’è la possibilità di dare svariati prodotti, questo fa risparmiare tempo a tutti. Se invece ogni volta i prodotti solo in zone diverse, tutto diventa più difficile. Però questo discernimento di cui parlo non è un giudizio, mi raccomando, ma è il l’incontro con una persona, noi dobbiamo fare questo. Noi abbiamo capito che la povertà non è mai una questione solo economica e sociale, ma è una questione culturale, se per cultura si intende tutto ciò che fa vivere la persona nel tempo. E dunque la prima forma di carità è quella di stabilire un incontro fra persone, di stabilire un modo per aiutare la persona a crescere come persona. Per questo c’è bisogno di tanti volontari, c’è bisogno di gente che qui dal territorio metta il proprio tempo a disposizione, ma anche le proprie competenze e le proprie energie.

Le “azioni” da 50 euro che avete proposto come modo per contribuire all’iniziativa, non credo siano state sottoscritte solo dai parrocchiani di Carpenedo. Da dove è venuta la solidarietà per realizzare tutto questo?

Questa iniziativa, che ha radici antichissime, appartiene a don Armando e noi della Fondazione Carpinetum l’abbiamo tenuta perché fa parte della nostra storia. C’era la tradizione in fondazione di poter sottoscrivere delle azioni da 50 euro, poi la gente poi le sottoscrive per metà, per un terzo, per un quarto, con libertà assoluta e tanta, tanta gente ci ha aiutati, della zona di Carpenedo e prevalentemente della zona di Mestre, è da qui che vengono tantissime risorse. Come sempre le opere di bene si costruiscono con il contributo incessante di persone talvolta anche non certo ricche. Noi abbiamo avuto una molteplicità straordinaria di piccole offerte, molto generose ma piccole, così abbiamo potuto compiere questa e le opere precedenti, Poi ci sono ogni tanto alcune elargizioni, qualche testamento, qualche donazione anche più consistente, però non è su questo che noi dobbiamo puntare. Non sono significative quanto tutte le piccole raccolte messe insieme.

Perché avete voluto dedicare il centro di solidarietà cristiana a Papa Francesco?

Qui Papa Francesco viene visto come una figura che sottolinea l’importanza di custodire chi è fragile, di provvedere a chi si trova nel bisogno. Abbiamo pensato di dedicarlo a lui perché fra i Pontefici del ultimo tempo, ai quali tutti abbiamo voluto bene e vogliamo bene,  da Papa Benedetto a san Giovanni Paolo II e figuriamoci quando vogliamo bene a Giovanni Paolo I che è di qui, del nostro Veneto, ed è stato patriarca di Venezia. Noi abbiamo pensato di dedicarlo a Papa Francesco proprio per questa sensibilità che ti sembra di scorgere in questo Pontefice, senza togliere nulla agli altri.

Una critica che viene fatta è che sia una cattedrale nel deserto. E’ davvero così difficile da raggiungere il nuovo centro?

Non siamo stati noi a decidere dove costruire, perché avremmo pensato di costruirlo in un luogo diverso. E invece, poco per volta, la nostra scelta è orientata a sviluppare la Fondazione Carpinetum in quella zona. Abbiamo approfittato della presenza dei Centri Don Vecchi 5, 6 e 7, che già sono presenti, operativi e pieni di vita lì e lì potrebbero esserci anche i volontari che daranno una mano e lì vicino abbiamo avuto l’occasione di trovare anche la collocazione buona per questo centro. Arzeroni è una zona anche di ipermercati, facilmente raggiungibile, e da tutti. Certo, ci siamo spostati da una zona all’altra di Mestre e ci rendiamo conto che coloro che fin qui hanno frequentato la vecchia zona, quella del centro Don Vecchi 2 a Carpenedo e si era abituato prima a trovare la strada per raggiungere questi generi alimentari, adesso deve cambiare strada. Quindi non è tanto la fatica di raggiungere la nuova sede, ma la fatica di spiegare a gente che aveva delle abitudini, come cambiarle.

Cosa cambia con questa inaugurazione per la solidarietà a Mestre e in tutto il veneziano? Questo Centro potrà essere davvero, come lei ha scritto sulla rivista della Fondazione, l’Incontro, un seme per il cuore di Mestre, per altre iniziative di solidarietà?

A Mestre già la solidarietà è fortissima e la si legge in tantissime realtà associative, parrocchiali del nostro territorio. C’è un gran numero di gente buona, per i quali cambia poco o niente, francamente. Cambia che la solidarietà diventa in qualche modo più stabile, si uniforma le norme della legge, trova i canali più adatti a livello anche d’igiene, cerca di seguire quelle modalità che la cultura odierna adesso desidera trovare. Quindi si offrono spazi ampi, prodotti garantiti, ben igienizzati tutta questa serie di azioni che sottolineano ancor di più la dignità delle persone a cui si va incontro. Vuol parlare della nobiltà d’animo di queste persone che va alimentata e custodita.

Perché forse trovare un Centro anche dignitoso può dare a chi ha difficoltà a riconoscere di aver bisogno, una spinta in più, un aiuto in più…

Questa è una cosa molto preziosa, che don Armando ha trasmesso con grande forza alla Fondazione: la bellezza edifica, la bellezza salva, la bellezza fa crescere. Perché la prima forma di povertà è la bruttura che ciascuno coltiva dentro di sé: la rabbia, l’isolamento, la solitudine. Queste forme di uomo brutto che noi abbiamo dentro e che ci portano a vivere in modo quasi pre-umano la nostra giornata, sono forme che ci impoveriscono molto. Entrare in un ambiente che sia bello, sereno, familiare, decoroso, ben curato, tutto aiuta a crescere, per quello che dicevo sulla persona umana, chiamata alla crescita innanzitutto culturale, perché questa è la prima ricchezza. Tutto ci aiuta a diventare persone capaci di crescere. Per questo il Centro è pensato così, con un po’ di nobiltà.

Rivola: volontari anche tra gli anziani dei Centri don Vecchi

Sul palco dell’inaugurazione, come su quello della posa della prima pietra, c’è anche Edoardo Rivola, presidente dell’Associazione Il Prossimo e consigliere della Fondazione Carpinetum, che sottolinea la forza dell’intuizione di coinvolgere nel servizio volontario per gli utenti dei magazzini prima e del centro di solidarietà poi gli anziani che vivono in autonomia ma in comunità nei sette Centri don Vecchi.

Ascolta l’intervista ad Edoardo Rivola (Il Prossimo)

Questa inaugurazione del Centro di solidarietà cristiana che abbiamo dedicato a Papa Francesco è proprio un messaggio di stile, per fare arrivare alla gente quello che il Papa ci sta insegnando, come uomo e come padre, e nello stesso tempo quello che noi da anni cerchiamo di fare. Perché comunque il valore della solidarietà, del servizio per i bisognosi, più che poveri, è un messaggio di economia circolare, cioè di rendere ancora utile quella merce che altri, e anche noi stessi, altrimenti butteremmo via. E questo vale anche per le persone: cerchiamo di accogliere quelle persone che hanno bisogno, e dove c’è la possibilità e c’è la certificazione, diamo in modo gratuito e dove invece non c’è questa certificazione chiediamo a tutti coloro che vengono a beneficiare di quello che esponiamo nei tre settori, di dare un contributo. Perché tra dipendenti, otto mezzi di trasporto e tutta la struttura, i costi di gestione ci sono.

Ma grazie a tutti i nostri 150, 200 volontari che si alternano in base anche alle necessità lavorative o chi l’ha perso o è ora in cassa integrazione, riusciamo a non avere tante spese. Adesso la speranza è che riprenda la vita economica, soprattutto qui dove si vive di turismo e le chiusure hanno colpito duro, magari abbiamo perderemo qualche volontario ma ne beneficerà tutto il territorio.

Lei coordina questi 200 volontari come presidente dell’Associazione il Prossimo. Oggi, in questa grande struttura di 3500 metri quadrati con tre settori, moltissima merce e più persone che verranno, serviranno più volontari, o siete già pronti, nonostante la pandemia?

I volontari servono sempre perché purtroppo tanti sono temporanei e tanti sono in attesa di un posto di lavoro. Tanti anziani prima venivano a fare i volontari perché abitando negli appartamenti del Don Vecchi 1 e 2, bastava che scendessero al piano seminterrato. La pandemia ha portato tantissime persone anziane a non voler più rischiare il contatto fisico con le altre persone, e sono anche più vecchi. Però nello stesso tempo, avendo realizzato la sede del Centro di solidarietà cristiana Papa Francesco adiacente ai centri Don Vecchi 5, 6 e 7 che, soprattutto il 6 e 7, ospitano padri e madri separate e famiglie giovani, tanti volontari ora li troviamo anche lì. Anche se abbiamo acquistato un mezzo di trasporto per portare comunque i nostri anziani dal Centro don Vecchi 1 e 2 all’ipermercato: guai se non ci fosse la loro presenza, che fa parte della storia della nostra associazione. Certo, ci servirebbero più autisti che al mattino fanno al mattino nei vari supermercati o giovani che possano fare lo sforzo fisico di caricare e scaricare i mobili che ci vengono donati, però possiamo dire che siamo messi bene. Anche perché questa nuova struttura è molto più efficiente e molto meno dispersiva rispetto alle soluzioni del passato, quando si perdeva tantissimo tempo solo per portare la merce, cioè a trasportarla dal piano terra con un unico montacarichi, a spostarla nei vari corridoi stretti. Mentre qui ogni settore ha la sua entrata autonoma e così guadagniamo tantissimo tempo.

Il volontariato è fatto di contatti con le persone: lei ne avrà incontrate tante in questi dieci anni di servizio. Chi vuole ricordare in questa occasione?

Le persone silenziose, che sono quelle che danno molto di più. Mentre tutti quelli che parlano tanto, fanno poco. Ci arricchiscono anche i rapporti che abbiamo con le varie associazioni, dai centri di recupero per tossicodipendenti o ex carcerati, ragazzi che hanno un passato difficile e vengono da noi accompagnati dagli assistenti sociali, perché devono fare un percorso di recupero sociale.  Quando vedi che alla fine del loro percorso vogliono venire ancora, dove è possibile, a darci una mano, questo mi emoziona un po’ perché vuol dire che ti stiamo facendo qualcosa di buono

E che il seme è caduto su un terreno fertile…

Tanti a volte ci guardano anche male, perché si chiedono come facciano a costruire tutte queste strutture, dove troviamo i soldi. Noi diciamo che il territorio ci vuole bene. Don Armando ci ha sempre insegnato che aprendo le braccia il dono arriva. Se tu tieni chiusa la porta e tieni chiuse le braccia, non entra nessuno. Ricordo un ragazzo che ha avuto, purtroppo, una brutta storia di droga e di carcere, e con molta umiltà si è messo a disposizione a fare un lavoro anche umile nella pulizia della frutta. Ho saputo dopo, perché non mi aveva detto niente, che abitava in un appartamento senza corrente elettrica, né acqua, né gas e in inverno non mangiava nulla di caldo. Allora gli ho detto: “Guai a te se non mangi con noi in mensa a mezzogiorno, ti pago io il pranzo e tu quando ti serve alla sera vai a casa, ti fai la spesa al nostro spaccio e te la porti a casa, se non hai vestiti ti vesti e ti copri”. Queste persone sono quelle che non hanno nemmeno il coraggio di chiedere. Anche tra i nostri volontari, che magari vengono a fare il servizio in modo molto silenzioso, poi ti accorgi che sono i primi che hanno una necessità economica concreta. Faccio l’esempio di un ragazzo nigeriano, padre di famiglia con tre figli viene, non vuole niente e poi alla fine si scopre che fa difficoltà a mantenere la famiglia. Fa il lavoro da noi al pomeriggio e al mattino va in giro a fare il magazziniere, a fare sforzi fisici da un’altra parte.

Pensa anche lei che questo Centro potrebbe essere un volano per altre iniziative, per trasformare davvero Mestre in una Città della solidarietà?

Lo speriamo! Siamo molto contenti quando vediamo che qualcuno ci copia. Tanti vengono a vedere le nostre realtà, soprattutto i Centri don Vecchi per anziani, per capire come funzionano e ci chiedono: “Come avete fatto?”. Ci sono gli empori solidali che nascono un po’ “accompagnati” dal sostegno regionale, comunale e religioso, magari aperti per un’ora alla settimana, mentre noi in silenzio apriamo 5 giorni alla settimana, 3 ore al giorno al pomeriggio e due giorni al mattino, non abbiamo mai preso un euro. Noi non chiediamo niente, ma cerchiamo di fare! E’ il messaggio che tutti possono fare: se tutti dedicassero 10 minuti, un quarto d’ora al giorno a testa per gli altri io eviterei di dover dare 4 ore al giorno per gli altri. Al di là della battuta, basterebbe veramente che tutti noi aprissimo un po’ il cuore, il tempo e la mano per gli altri e sarebbe un mondo migliore, non solo a Mestre.

Don Trevisiol: dalla prima bottega, per una mentalità solidale

Infine don Armando Trevisiol, il primo “sognatore”, che ricorda come dalla prima baracca allestita nel 1958 presso la canonica di san Lorenzo a Mestre, sua prima parrocchia da cappellano, per la raccolta di indumenti per i poveri, il suo sforzo di “povero prete di periferia” è sempre stato quello di far nascere “una mentalità solidale, per cui la gente trovi normale pensare anche agli altri”. Con un’attenzione particolare a chi “soffre nel silenzio”, e per dignità non chiede aiuto “e non manifesta il proprio disagio”.

Ascolta l’intervista a don Armando Trevisiol

Questa realizzazione ha lo scopo di aiutare i poveri della nostra città, in maniera particolare in questo momento tragico causato dalla pandemia. A tutte le nostre attività a favore dei poveri, soprattutto degli anziani, con i sette centri che abbiamo con 510 appartamenti, abbiamo ora aggiunto una specie di ipermercato, ma che ha una funzione completamente diversa da quelli classici, dove la gente della nostra città, e dell’hinterland, può ritirare quel tipo di beni di cui ha bisogno sia a livello alimentare, sia di vestiti, di mobili, di arredo per la casa, sia infine di supporto per le infermità. Chi è nel bisogno assoluto, c’è un settore dove può ricevere gratuitamente  tutto, agli altri che si ritengono in bisogno domandiamo un’autocertificazione nella quale dichiarano che “essendo in difficoltà di carattere economico, chiedo di essere aiutato”. Ricevono una tessera con la quale può prendere tutto quello di cui ha bisogno. Ci autofinanziamo attraverso la “vendita” tra i benefattori di queste “azioni” da 50 euro l’una, e ne raccogliamo circa 20 alla settimana, ma anche grazie ai contributi totalmente gratuiti di 22-23 ipermercati della città e dei dintorni, dei Mercati generali di frutta e verdura di Padova e anche del Banco alimentare di Verona che ci fornisce davvero molto materiale.

Per questo sogno che si realizza, don Armando, chi si sente di ringraziare?

Sicuramente i quasi 250 volontari che ci aiutano e tutti i concittadini che attraverso l’acquisto di queste “azioni” ci aiutano e ci suggeriscono anche chi può darci della merce avanzata. Se poi c’è da pagare qualcosa, compriamo quello che ci manca perché non sempre arriva tutto quello di cui avremmo bisogno. C’è anche lo sforzo di organizzare questa distribuzione in modo che non vada buttata via questa merce che ci viene offerta, un po’ perché queste aziende alimentari o ortofrutticole hanno anche loro difficoltà di gestione. Però ormai siamo conosciuti e quando hanno queste eccedenze noi andiamo a prenderle. Quando ci telefonano, abbiamo questi sei furgoni, uno dei quali frigorifero e altri 4-5 doblò, che partono subito a recuperare la merce. Questa efficienza ci permette di avere più prodotti da offrire sugli scaffali, perché se non vai subito a prenderla, il donatore se la trova che ingombra il negozio, e perderesti un po’ tutto. Quindi di benefattori ne abbiamo tanti. Per quanto riguarda invece i fruitori, ci sono centinaia di persone che ogni giorno si rivolgono a noi. Alcuni sono veramente in difficoltà particolari, altri invece hanno un disagio che spesso è nascosto. Quello che noi vorremmo è aiutare non soltanto i mendicanti, i senza fissa dimora, ma anche quel tipo di persone che pur avendo un reddito, uno stipendio, per esempio da 1300 euro, ma che hanno due o tre figli a scuola e vivono in affitto, e sono in condizioni veramente difficili. Questo aiuto è più difficile, perché c’è ancora un sentimento di una certa dignità, per cui si soffre nel silenzio, piuttosto che manifestare il proprio disagio. Anche per questo abbiamo scelto questa forma di ipermercato, in modo che chi viene possa fare le tue scelte e allo stesso tempo, con la modesta offerta che lascia, abbia la sensazione di contribuire, in ogni caso, al bene di tutti.

Lei ha detto più volte che vorrebbe che all’ingresso di Mestre ci fosse scritto “Città della solidarietà”. Crede che questa vostra ultima grande impresa possa fare un po’ da volano per la diffusione della solidarietà nel veneziano e in tutto il Veneto?

Me lo auguro. Tutta la vita ho lavorato in questo settore e tutti questi impegni sono tesi a questo obiettivo di fondo, quello di creare una mentalità solidale, per cui la gente trovi normale pensare anche gli altri. Quindi ci rifacciamo alla dottrina attuale del riciclo in maniera che nulla vada perduto, ma quello che non sarebbe usato convenientemente, venga messo a disposizione di chi ha bisogno.