Davide Dionisi – Città del Vaticano
“Oggi siamo esortati non solo a ricordare quei drammatici momenti del 6 aprile 2009: ma a farne memoria, vivendoli come comunità ecclesiale e civile”. Nella messa celebrata nella Chiesa di Santa Maria del Suffragio, l’arcivescovo metropolita de L’ Aquila, il cardinale Giuseppe Petrocchi, ha voluto così commemorare le vittime di quella tragica notte, tra il 5 e il 6 aprile di 12 anni fa, durante la quale, a causa di una scossa di terremoto di magnitudo 5.9, morirono 309 persone.
Dove c’è Popolo, il dramma è condiviso
Una liturgia, quella presieduta dal porporato, “non dominata da una mestizia reclinata su se stessa, ma è avvolta dalla luce e dalla grazia della Pasqua”. L’arcivescovo ha sottolineato che “il dramma del terremoto ha reso ancora più Popolo la gente aquilana: la comune tragedia, affrontata insieme ha stretto, con nodi inscindibili, il mutuo senso di appartenenza. Quando un trauma, che deriva da una calamità generale, colpisce una popolazione viene vissuto in modo frammentato: ciascuno lo porta per conto suo o per aggregati sparsi” ha continuato, spiegando che “invece, dove c’è Popolo, il dramma è condiviso: vissuto da tutti e da ciascuno in modo diverso, ma universale. Si stabilisce così una interdipendenza, in cui il mio diventa nostro, e viceversa”.
Resilienza al sisma
Parlando della comunità aquilana, il cardinale Petrocchi si è detto convinto che se venisse fatta un’analisi del DNA si ritroverebbero, tra i cromosomi identitari, la resilienza al sisma. “Questi fattori strutturali suscitano anticorpi caratteriali che neutralizzano i virus della disgregazione sociale e sconfiggono la sindrome della disfatta. Altro gene identitario”, ha proseguito, “è la tenacia del ripartire, che si rende visibile nella spinta perseverante alla ricostruzione. Dal gene della ripartenza, sempre e a qualunque costo, si sviluppa il genio del reinventarsi, pure davanti alle macerie, una esistenza non solo ri-adattata, ma re-inventata e di nuovo conio. Per tali motivazioni” ha insistito “la commemorazione, che stiamo celebrando, non riguarda solo i famigliari delle vittime e la rete degli amici: è un evento di Popolo!”
Un vincolo che c’è, e rimane
Sono stati poi pronunciati i nomi delle 309 vittime perché “non si tratta solo di un appello, codificato in un rituale meccanico. Significa dichiarare un vincolo che c’è e rimane”. Poi le le luci accese sulle finestre “espressione esterna delle lampade che ardono nel cuore, alimentate dalla condivisione d’anima e da vicinanza partecipe”. Ed infine i rintocchi delle campane a Piazza Duomo, illuminata di blu, ovvero il richiamo ad un patto sociale scritto non sulle carte, ma nelle coscienze “che ci impegna a tendere, insieme, non solo al come prima, ma al di più e al meglio”.
Ricostruzione, senza risurrezione, è un’attività solo edilizia
Le vittime del terremoto sono state e continuano ad essere, ha osservato il porporato, a pieno titolo membri del Popolo. “Non appartengono soltanto ai loro parenti, ma sono e rimangono nostri fratelli e con-cittadini, nella grande famiglia aquilana. Perciò, insieme a noi, ri-costruttori di una Comunità, ecclesiale e civile, impegnata nel tessere iniziative di risurrezione: infatti la ricostruzione, senza risurrezione, sarebbe un’attività solo edilizia e architettonica, destinata a non ricomporre e consolidare il Popolo Aquilano”.
La pandemia, altra impresa di Popolo
L’arcivescovo ha poi ricordato l’altra calamità, questa volta universale, che si è abbattuta nel territorio: la pandemia. “Anche questa battaglia non può gestita solo da una élite, ma costituisce una impresa di Popolo”, ha puntualizzato, indicando che “non bastano atteggiamenti virtuosi di una minoranza, che possono essere diluiti o azzerati da comportamenti dannosi di un’altra porzione di persone. Anche se le urgenti e necessarie strategie tecnico-scientifiche e farmacologiche (come la vaccinazione di massa) risolvessero nel tempo il problema sanitario, ma non venissero messi in campo gli indispensabili stili cognitivi e relazionali, segnati da una coesione matura e fattiva, i costi umani, come anche i guasti sociali ed economici , sarebbero disastrosi, e questo non possiamo permettercelo”. Il cardinalePetrocchi ha concluso l’omelia invocando la protezione di Maria: “la preghiera fatta per le vittime del sisma e dalle vittime del sisma aiuti il Popolo aquilano a crescere nei valori cristiani e umani”.