Fabio Colagrande – Città del Vaticano
“La Siria vede oggi vacillare il suo presente ma anche il suo futuro: sono soprattutto i bambini e le donne a soffrire le conseguenze di questa guerra cominciata nel 2011”. A parlare è Asmae Dachan, giornalista e scrittrice nata in Italia, ad Ancona, ma legata a doppio filo alla terra dei suoi genitori, la Siria, a cui dedica il suo lavoro di reporter impegnata nella tutela della pace e dei diritti umani. Nel giugno 2019 è stata insignita del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per i suoi coraggiosi reportage dai campi profughi e da città teatro di gravi episodi di terrorismo. Oggi – ai microfoni di Radio Vaticana – esprime gratitudine a Papa Francesco per il suo appello alle parti in conflitto e alla comunità internazionale a dieci anni dall’inizio della guerra, ma racconta quella che, anche a causa della pandemia, è oggi la fase più acuta della crisi umanitaria siriana.
R.- Ho accolto l’appello del Papa con grande emozione e grande commozione. Francesco non è nuovo a queste iniziative perché fin dall’inizio del suo pontificato si è sempre speso con parole generose e appelli accorati per la pace in Siria, per la cessazione delle ostilità e di ogni conflitto. Mi ha fatto particolarmente piacere che il Papa si sia ricordato anche in questa occasione della Siria e le parole che ha usato sono state toccanti. Ha parlato di un Paese “amato e martoriato”. Amato perché è una terra a cui sono legate le comunità cristiane più antiche, ma a cui sono legati tutti i popoli che conoscono il Medio Oriente e conoscono le comuni radici abramitiche delle grandi religioni, ma anche la comune storia del Mediterraneo. Ma anche una terra martoriata, perché dieci anni di guerra hanno veramente inflitto alla popolazione siriana un livello di sofferenza che è disumano. Mi ha fatto particolarmente piacere questo appello giunto dopo lo storico e importantissimo viaggio in Iraq che è stato un po’ da preludio a questo raggio di speranza che il Pontefice ha portato nelle regioni mediorientali. Anche in Iraq tutta la popolazione aspettava questa sua visita così importante, questa “luce bianca” che ha portato in mezzo a quelle macerie. Le voci che si sono levate dall’Iraq, in qualche modo, hanno scaldato anche i cuori dei siriani che si sentono particolarmente soli in questo momento di grande sofferenza.
Quale fotografia puoi darci della situazione umanitaria della Siria in questo decennale dell’inizio del conflitto?
R.- Leggendo diversi report e realizzando diverse interviste con operatori umanitari che sono sul posto, sono giunta alla conclusione che la situazione è davvero drammatica. Com’è stato già ricordato, c’è stato un terribile fenomeno di impoverimento di tutta la Siria. Si parla dell’80% della popolazione siriana che oggi è in una situazione di grande bisogno e di grave crisi umanitaria. La svalutazione della lira siriana, il tessuto industriale paralizzato, gli ospedali che hanno bisogno di tutto: questo è ciò che raccontano gli operatori umanitari che sono in Siria. L’immagine è quella di un Paese che non solo vacilla nel presente, ma vede anche vacillare il suo futuro. E il futuro – lo ricordiamo – sono i bambini siriani che, secondo l’Unicef, stanno pagando il prezzo più alto di questo conflitto. Molti, purtroppo, hanno perso tanti anni di studio, molti in questi dieci anni non hanno neppure potuto cominciare il processo di alfabetizzazione, quindi si parla del rischio di una generazione analfabeta. In aggiunta, sia per i maschietti che per le femminucce ci sono due rischi particolari. I maschi purtroppo in questi anni hanno spesso subito l’arruolamento forzato: bambini che invece di giocare e andare a scuola hanno dovuto imbracciare le armi e molto spesso hanno perso la vita o sono rimasti mutilati e comunque sono restati traumatizzati a livello psicologico. L’altro rischio, che riguarda le bambine, sono le esposizioni alle violenze di genere e a quella piaga terribile, emersa in questi ultimi dieci anni, che è quella degli stupri legalizzati, che è il modo con cui io definisco i matrimoni precoci per ragazzine di dodici o tredici anni, costrette a sposarsi perché le famiglie credono sia l’unica alternativa per strapparle alla povertà. In realtà è soltanto un’ulteriore forma di violenza che sta fortemente penalizzando questa generazione. Inoltre, la crisi umanitaria enedemica della Siria sta vivendo in questo momento, secondo me, il suo momento più grave a causa della pandemia di coronavirus che è arrivata in un Pase dove è difficile praticare il distanziamento sociale, dove ci sono le grandi tendopoli dei profughi e dove, anche nelle città, mancano farmaci, manca la strumentazione, mancano tante cose che sono utili negli ospedali. Mancano le bombole d’ossigeno e spesso manca anche il personale. Ricordiamo infatti che ormai sette milioni di siriani sono fuori dal loro Paese e tra questi ci sono tanti medici.
Lei ha scritto che le donne siriane sono state doppiamente vittime, gli “ultimi tra gli ultimi” in questi dieci anni di guerra. Perché?
R.- Ho dedicato alle donne siriane un articolo, proprio nei giorni scorsi, perché le donne – insieme a tutto il resto della società – hanno subito i bombardamenti, hanno subito l’assedio, ma hanno anche purtroppo pagato il prezzo di un’altra forma di violenza che è la violenza di genere. Sto parlando dello “stupro di massa” che purtroppo è stato usato in Siria contro le donne di tutte le comunità e di tutte le età. La situazione è particolarmente grave perché non ci sono oggi forme di assistenza per le donne vittime di abusi, ma soprattutto perché la società mediorientale, per un retaggio culturale che ancora resiste, invece di accogliere, proteggere, tutelare le donne vittime di abusi, spesso le stigmatizza. Le donne, tra l’altro, durante la guerra hanno dovuto crescere da sole i bambini, hanno dovuto supplire all’assenza di tutti gli uomini che sono partiti per andare a combattere. Hanno dovuto, in qualche modo, riorganizzare la società civile e hanno dimostrato in questo un grande coraggio e una grande dignità, ma in effetti le sofferenze sulle loro spalle e nei loro cuori sono state atroci.