Sinodo: la guerra non è mai una soluzione, lo è la ricerca della fraternità

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La comune preghiera per la grave situazione in Medio Oriente unisce i partecipanti del Sinodo in corso in Vaticano. Durante il briefing nella Sala Stampa della Santa Sede sono stati illustrati i temi emersi in aula ieri pomeriggio. Oggi la consegna dei resoconti dei Circoli Minori sulla seconda parte dell’Instrumentum Laboris. Nel pomeriggio il pellegrinaggio alle catacombe

Paolo Ondarza – Città del Vaticano

Medio Oriente, Ucraina, Iraq, Africa. La preghiera per la pace unisce la Chiesa di tutto il mondo. È questo il messaggio che parte dal Sinodo sulla sinodalità. Se ne è parlato questo pomeriggio nel corso del briefing di aggiornamento presso la Sala Stampa vaticana. Le voci che si sono avvicendate hanno espresso l’urgenza di camminare insieme nel dialogo interreligioso e interculturale.

Il potere della preghiera per la pace

A portare una testimonianza ai media è stata tra gli altri Margaret Karram, presidente del Movimento dei Focolari, araba, cristiana-cattolica, di nazionalità israeliana e di origine palestinese: la preghiera di supplica di questa mattina al Sinodo, dice, è “un momento molto forte” perché, confida, “da quando è scoppiata la guerra avevo il cuore straziato e mi chiedevo cosa stessi facendo qui al sinodo. Unirsi in preghiera con tutti è stato un momento molto profondo”. 

Secondo Margaret Karram è necessario compiere tanti sforzi per la pace, ma “il potere della preghiera è fondamentale”. “Questa esperienza mi sta insegnando cosa vuol dire camminare insieme, dialogare, lasciarsi interpellare dagli altri e la sinodalità non è solo una metodologia, deve diventare uno stile di vita della Chiesa: ascoltare l’altro con rispetto, al di là delle opinioni diverse”.

In preghiera con tutto il mondo

La presidente del Movimento dei Focolari ha quindi citato le tante iniziative di preghiera interreligiosa messe in campo in questi giorni anche tramite piattaforme digitali in modo da coinvolgere quanti più fedeli in tutto il mondo. “Ieri c’è stato un collegamento anche con l’Ucraina. Ci siamo dati appuntamento alla stessa ora per pregare insieme attraverso l’iniziativa Living Peace  e abbiamo anche chiesto di compiere gesti concreti di solidarietà nei confronti di fratelli di altre religioni insieme all’impegno a sottoscrivere un appello per la pace da rivolgere ai governanti”.

Il bene che non fa rumore

Le buone pratiche non fanno rumore, si parla solo di odio, ma Margaret Karram tiene a sottolineare che in Israele tanti si preoccupano di costruire ponti con quanti vivono a Gaza. “Ho un’amica ebrea – confida – che ha deciso di pregare nella stessa ora in cui pregano i musulmani per essere unita con loro nella preghiera”.

L’impegno di tutti

Sollecitata dalle domande della stampa la presidente del Focolari ha invocato un’azione corale della comunità internazionale perché si possano riprendere i negoziati e si avverta l’urgenza della risoluzione di questo conflitti: “C’è ancora troppo silenzio. La mia voce da sola non porterà frutto, occorre l’impegno di tutti per favorire il rispetto dei diritti umani e della riconciliazione tra i popoli”.

Africa e sinodalità

“La sinodalità fa già parte della cultura africana”, afferma da parte sua monsignor Andrew Nkea Fuanya, arcivescovo di Bamenda, in Camerun e presidente della conferenza episcopale del Paese. “Nella nostra Chiesa facciamo tutto insieme, come in una famiglia. Questo sinodo – aggiunge – è una grande consolazione per l’Africa perché a volte ci sentiamo abbandonati, ma unirsi in preghiera alla Chiesa universale ci da coraggio e il nostro continente può lasciare un segno nel Sinodo”. Quanto alla guerra il presule dichiara con convinzione: “Non è mai una soluzione”.

Il Vangelo che unisce lingue diverse

L’esperienza di essere un’unica famiglia al Sinodo è quella fatta anche da suor Caroline Jarjis, medico al centro di salute di Bagdad e religiosa della Congregazione delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù. Questa mattina insieme agli altri partecipanti all’assemblea ha letto il Vangelo nella sua lingua, l’arabo, ed è rimasta colpita da come le sue parole siano state comprese da tutti. “Dio è presente nell’attività che svolgiamo al sinodo, ci ha scelti e preparati prima di venire a Roma. Insieme – prosegue – stiamo facendo l’esperienza dei primi cristiani che condividevano tutto”.

La testimonianza dei martiri iracheni

Lo sguardo suor Caroline comunica speranza, pur senza nascondere i segni di vent’anni di sofferenza vissuta dal suo Paese. “Sono venuta da un paese in guerra, dove i cristiani sono una minoranza, ma la ricchezza della nostra Chiesa è data dalla presenza dei martiri. Il loro sangue – dichiara ai giornalisti – ci da l’impulso di andare avanti e tornerò a casa con una forza più grande derivante da questa esperienza di comunione con la Chiesa universale”.

Sollecitata dalle domande dei giornalisti la religiosa irachena esprime pieno sostegno alla decisione del cardinale Louis Raphael Sako, di ritirarsi dalla sede del Patriarcato di Baghdad dopo la scelta del presidente Rashid di revocare alla Chiesa caldea il decreto con cui si riconosceva il porporato come leader e responsabile dei beni ecclesiastici. “E’ giusto vivere con dignità come cristiani in una terra di martirio: non siamo cittadini di seconda categoria”.

Il pellegrinaggio alle Catacombe

Nel pomeriggio i partecipanti al Sinodo sono invitati a un pellegrinaggio alle Catacombe San Sebastiano, nota per aver ospitato le spoglie dei santi Pietro e Paolo, e quelle di san Callisto e di santa Domitilla. Domani mattina dopo la Messa All’altare della Cattedra della Basilica di San Pietro presieduta dal cardinale Ambongo Besungu, si svolgerà l’ottava Congregazione Generale che affronterà il terzo modulo dell’Instrumentum Laboris sul tema: “Corresponsabili nella missione. Come condividere doni e compiti a servizio del Vangelo?”.

Nel frattempo ieri pomeriggio con la settima Congregazione e stamani con la sesta sessione dei Circoli Minori e la consegna dei resoconti alla Segreteria generale del Sinodo, si è concluso il lavoro sul secondo modulo dedicato alla “Comunione”.

I temi della settima congregazione generale

Ieri in aula erano presenti 343 membri, 36 sono stati gli interventi. Tra i temi emersi, oltre al dialogo interreligioso e interculturale, l’impatto del colonialismo sulle comunità indigene, l’importanza del sacramento della Riconciliazione che consente di essere accolti se chiediamo il perdono dei peccati, l’ascolto e il coinvolgimento dei giovani nella loro sete di incontrare Gesù. A tal proposito durante il briefing monsignor Nkea Fuanya ha condiviso l’esperienza della sua diocesi dove in quest’anno dedicato all’Eucarestia ogni parrocchia sta predisponendo una cappella per l’educazione perpetua.

Al centro dei lavori sinodali anche la figura di Madre Teresa di Calcutta e la sua attenzione ai malati, l’urgenza di un impegno dei leader cattolici nella promozione della pace, il dramma delle donne emarginate nelle periferie, la necessità dell’inclusione e dell’ascolto nella vita della Chiesa.

Il sinodo e Maria

Infine il presidente della Commissione per l’Informazione, Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione, ha ricordato che oggi si celebra la festa della Madonna di Aparecida e di Nostra Signora del Pilar. “Stamattina – ha detto – è stata sottolineata l’importanza del profilo mariano della Chiesa sinodale. Maria è madre, è laica, è profezia, è dialogo, è carisma, è santità, è Vangelo vissuto”.