Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
Quando si è in laboratorio, le domande si moltiplicano. Domande che schiudono orizzonti, intravedono possibilità, intuiscono soluzioni. Domande che funzionano da “cartelli indicatori”, come quelle rivolte dal cardinale Mario Grech ai suoi interlocutori, riuniti per riflettere sulla sinodalità e sul percorso in tre fasi che il Papa si appresta a inaugurare con la Messa di domani in San Pietro.
Non è una “fase decorativa”
Il porporato maltese, nella sua veste di capo della Segreteria generale del Sinodo, tira le somme al termine di una mattinata in cui la traiettoria immaginata da Francesco da qui all’assise 2023 è stata nuovamente ripresentata con lo sguardo e il cuore di chi desidera “garantire che l’itinerario sinodale sia fino in fondo una esperienza di quel ‘camminare insieme’ del Popolo santo di Dio”, che è poi la chiave di volta del percorso chiesto sul punto dal Papa a tutta la Chiesa. “Ascoltare” con profonda attenzione e rispetto il popolo di Dio costituisce in sostanza – ricorda il cardinale Grech all’inizio dell’intervento che chiude la riflessione nell’Aula nuova del Sinodo – la prima delle tre fasi in cui si articola il percorso voluto dal Papa. E non si tratta, dichiara, né di un dettaglio trascurabile, “una fase meramente previa”, tantomeno di una soddisfazione concessa a un protagonista di secondo piano – quella “fase decorativa”, la definisce, come “qualcuno vorrebbe ridurre.”
Questione di segnaletica
Il capo della Segreteria del Sinodo sottolinea a più riprese che quella intrapresa è una strada da costruire con l’apporto di tutti. Ringrazia coloro che finora hanno “esplorato e misurato il terreno”, offrendo una bussola con il “Documento preparatorio” e il “Vademecum”. E tuttavia, rassicura, “in nessun modo” tali documenti “vogliono precostituire le condizioni del cammino o dettare la strada, obbligando la Chiesa a un percorso stabilito in anticipo”. Sono stati pensati come una “segnaletica” lungo una strada da tracciare in modo condiviso, e l’immagine che meglio evoca il momento, usata anche dai padri del Vaticano II, è quella – ricorda il porporato – del popolo ebraico che si avventura nel deserto seguendo la voce di Dio.
La “tentazione” del parlamento
Ed è la voce dello Spirito Santo quella che il cardinale Grech invita a seguire, con un crescendo di sottolineature: “È lo Spirito Santo – asserisce – il primo soggetto della sinodalità. La Chiesa è sinodale perché lo Spirito di Cristo guida la Chiesa nel suo cammino verso la Patria. La Chiesa è sinodale, perché quanti camminano – il Popolo santo di Dio – obbediscono allo Spirito che li guida. La forma e lo stile sinodale della Chiesa scaturiscono da questo ascolto dello Spirito che passa attraverso l’ascolto reciproco di tutti”, battezzati, vescovi, Papa. In questo caso, una “tentazione”, rileva il cardinale Grech, sarebbe “risolvere l’ascolto attraverso le dinamiche democratiche”, facendo del Sinodo quel “parlamento” che non è né vuole essere, secondo quanto ripetuto anche dal Papa all’inizio della riflessione.
Un documento finale espressione di tutti
Di conseguenza, il porporato si chiede, e chiede a chi lo ascolta, se il “voto” sia lo strumento più adatto per “misurare” il consenso dell’Aula. “È così impossibile – domanda – immaginare, ad esempio, di ricorrere al voto sul Documento finale e sui suoi numeri singoli solo quando il consenso non sia certo?”. Non basta, prosegue, rivolvere eventuali obiezioni “con un supplemento di confronto”, e “ricorrere al voto come istanza ultima e non desiderata?”. In attesa di una soluzione a una questione su cui il segretario generale del Sinodo chiede di riflettere attentamente, il cardinale Grech lancia anche un’altra proposta, coerente con la struttura di un Sinodo che nascendo in modo articolato non dovrebbe, ritiene, concludersi come da prassi. “Se invece – domanda – di terminare l’assemblea consegnando al Santo Padre il documento finale, facessimo un altro passaggio, quello di restituire le conclusioni dell’assemblea sinodale alle Chiese particolari dalle quali è iniziato tutto il processo sinodale?” In questo caso, spiega, non si tratterebbe del solo placet del capo di una diocesi, ma “il documento finale arriverebbe al Vescovo di Roma, che da sempre e da tutti è riconosciuto come colui che emana i decreti stabiliti dai concili e dei sinodi, già accompagnato dal consenso di tutte le Chiese”.
Spunti per “immaginare un processo sinodale veramente aperto allo Spirito”, conclude il cardinale Grech, consapevole dell’impegno che si apre per la Chiesa, della necessità di trovare un “ordine”, ma anche della convinzione, espressa dal Papa, che quello della sinodalità “è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”.