Sinodo dei vescovi: tutto il popolo di Dio deve contribuire

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Fabio Colagrande e Antonella Palermo – Città del Vaticano

Dal 25 al 29 aprile c’è stato un incontro importante voluto dalla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi dei membri delle quattro commissioni: teologica, spirituale, metodologica, comunicazione. Lo scopo è stato quello di approfondire alcuni aspetti del Documento di riferimento del cammino sinodale Episcopalis Communio di Papa Francesco, del 2018, la Costituzione apostolica che ha riformato il Sinodo. 

Rafael Luciani, teologo venezuelano, membro della commissione teologica del Sinodo e dell’equipe teologico-pastorale del Celam.

Ascolta l’intervista con Rafael Luciani

Perché vi siete ritrovati per questo incontro?

E’ la prima volta in cui tutti ci ascoltiamo e insieme facciamo discernimento. E’ un momento di valutazione della prima fase del processo sinodale. Importante perché le commissioni devono lavorare insieme con una visione globale.

Un confronto che ha portato frutti importanti soprattutto relativamente al Documento che deve essere aggiornato alla luce di ciò che sta avvenendo.

Sì, perché la parola chiave di Papa Francesco è “processo”. Vuol dire che anche la Episcopalis Communio è chiamata ad essere rinnovata alla luce del processo che stiamo vivendo, fino all’ultima assemblea del 2023.

Si sta chiudendo la prima fase del Sinodo, la fase diocesana. Quale bilancio?

Sì. Non possiamo omologare tutte le esperienze. C’è per esempio in America Latina già una pratica di lavoro sull’ascolto tra le Chiese locali. A novembre scorso abbiamo partecipato alla prima Assemblea sinodale della Chiesa, non solo i vescovi. Solo il 20 per cento ha partecipato: dall’ascolto fino alla realizzazione di un documento che è in procinto di redazione. In Africa o in Asia ci sono tante diocesi che hanno appena cominciato, altre che già hanno maturato una esperienza in questi mesi. Non possiamo dunque dire, per chiarezza, che tutte le diocesi hanno ultimato il processo. Il nostro compito è motivare e che i vescovi coinvolgano le comunità.

In questa fase qualcuno manifesta il timore di non essere stato coinvolto, di essere stato lasciato a margine?

Sì, ci sono stati dei casi. In qualche parrocchia o il vescovo, per esempio, non ha ascoltato le minoranze. La nostra sfida, da parte della Commissione teologica, è quella di dare loro voce che sia ascoltata e integrata nel Documento ma anche riconosciuta dalla Chiesa.

Quando si prevede che cominci la seconda fase?

Più o meno verso settembre, ottobre, inizia la fase di redazione del Documento. E dopo arriverà la fase “continentale”. Una fase molto interessante: già qualcuno si chiede quanto saranno coinvolti i laici, se sarà condotta solo dai vescovi. Sarà una fase di conversione. Si pensa, alla luce dell’esperienza latino americana, di fare una assemblea ecclesiale e poi un incontro episcopale. Quindi un’altra consultazione con un altro discernimento con tutto il popolo di Dio e alla fine un incontro di due giorni di discernimento dei vescovi, a partire da ciò che verrà fuori dall’assemblea.

Poi partiranno le sintesi delle varie Conferenze episcopali che preludono alla stesura di una sorta di Instrumentum laboris. Una fase cruciale…

E’ cruciale perché questa è la prima volta che si ascoltano tutte le comunità nel mondo, non solo i vescovi o solo alcune diocesi. Tutti i singoli e i gruppi possono inviare direttamente alla Segreteria le proprie proposte anche quando nella parrocchia o nella diocesi non si intende ascoltarli. Questa è una novità fondamentale. La parola “processo” è al centro, tutti dobbiamo contribuire.

Che relazione c’è tra discernimento e il consenso ecclesiale?

Si tratta di un nuovo modo di procedere che non inventiamo in questo momento ma che viene dalla tradizione cattolica del primo millennio. Il vescovo San Cipriano già usava le due parole: consultazione con i presbiteri e poi consenso con tutto il popolo di Dio. E’ una cultura nuova, la cultura del consenso. Si tratta di pensare come arrivare a un consenso in cui tutti sono coinvolti.

L’Episcopalis communio stabiliva che il Sinodo ha una natura consultativa…

Sì, il processo sta aiutando a pensare questa relazione tra consultazione e deliberazione. Il problema non è tanto chi alla fine vota, ma se tutti siamo capaci di lavorare in questo modo e che le decisioni siano prese da tutti nella Chiesa. E’ una novità perché il vescovo deve sedersi con gli altri e fare un discernimento quando lavora e prende una decisione.