Sinodo 2021-2023: la Sintesi nazionale della fase diocesana

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Pubblichiamo il testo integrale della Sintesi nazionale della fase diocesana del Sinodo 2021-2023 “Per una Chiesa sinodale: Comunione, partecipazione e missione” che la Presidenza della CEI ha consegnato il 15 agosto alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Il Sinodo è inteso come un processo sinodale e culminerà nel 2023 con la fase universale, preceduta da quella continentale. 
Il documento dà sinteticamente conto del percorso compiuto nell’anno pastorale 2021-2022, dedicato all’ascolto e alla consultazione capillare del Popolo di Dio. Questo primo “step” è stato armonizzato, per volere dei Vescovi, con il Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, che sta interessando sempre di più i diversi territori con proposte e progetti. La Sintesi, dunque, offre anche una panoramica del primo anno di Cammino sinodale, che fino al 2025 sarà strutturato in tre momenti: fase narrativa (2021-2022 e 2022-2023); fase sapienziale (2023-2024); fase profetica (2025). 

  1. In ascolto del Popolo di Dio

L’indizione del Sinodo universale ha rappresentato per le Chiese in Italia l’occasione per dare seguito ad alcune indicazioni offerte da Papa Francesco negli ultimi anni. Già nel 2015, al Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze, parlò di “stile sinodale”, mentre nel 2019 tornò sul tema della sinodalità raccomandando di avviare un processo “dal basso verso l’alto, e dall’alto verso il basso”. Così, rispondendo ai suoi ripetuti appelli, raccolti e assunti dalla 74ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, nel maggio 2021 è stato avviato il Cammino sinodale delle Chiese in Italia, ufficialmente apertosi in tutte le diocesi il 17 ottobre 2021 e teso a prestare orecchio a “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (cf. Ap 2-3). Il percorso prevede uno sviluppo in cinque anni, con un’articolazione in tre fasi: narrativa (2021-2022; 2022-2023), sapienziale (2023-2024) e profetica (2024-2025). L’anno pastorale 2021-2022, in sintonia con quanto richiesto dalla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, è stato dedicato all’ascolto e alla consultazione capillare del Popolo di Dio, inserendosi a pieno nel tracciato del Sinodo universale “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”: è stata avviata una consultazione anche al di là del perimetro di coloro che si sentono membri della comunità ecclesiale, attraverso la proposta di un cammino spirituale di ascolto reciproco e di una sinodalità vissuta sulla quale far leva per quella riforma che il Signore domanda continuamente alla sua Chiesa. Del cammino percorso in questo primo anno si dà qui sinteticamente conto.

Il coinvolgimento è stato ampio ed eterogeneo: dalle Chiese locali nelle loro articolazioni (diocesi, parrocchie, zone pastorali o foranie…) e in tutte le loro componenti, con lo sforzo di raggiungere anche i mondi della politica, delle professioni, della scuola e dell’università, fino ai luoghi della sofferenza e della cura, alle situazioni di solitudine e di emarginazione.

Non sono mancate incertezze e perplessità, soprattutto in fase iniziale, a rallentare il percorso, specialmente in una stagione segnata da ansie e smarrimento, dal riacutizzarsi della pandemia con il suo carico di lutti, sofferenze e disagi, allo scoppio della guerra in Ucraina, che ha riacceso ferite, paure e risentimenti. In mezzo a queste crisi, il Popolo di Dio ha cercato di superare individualismi, scetticismi e steccati, e si è messo in cammino.

È stato costituito un Gruppo di coordinamento nazionale, si sono formati circa 50.000 gruppi sinodali, con i loro facilitatori, per una partecipazione complessiva di mezzo milione di persone. Più di 400 referenti diocesani hanno coordinato il lavoro, insieme alle loro équipe, sostenendo con costanza e convinzione iniziative, producendo sussidi e raccogliendo narrazioni. Si è creata una rete di corresponsabili che è un primo frutto, inatteso, del Cammino e una risorsa preziosa per la sua prosecuzione. Il collegamento tra i referenti è stato importante per sostenere un lavoro ricco e impegnativo che si è dovuto confrontare anche con resistenze dovute alla paura di attivare un processo destinato semplicemente a lasciare le cose come stanno.

Sono duecento le sintesi diocesane e 19 quelle elaborate da altri gruppi – per un totale di più di 1.500 pagine – pervenute alla Segreteria Generale della CEI a fine giugno. In alcune Chiese locali il cammino si è innestato su Sinodi diocesani in corso, appena avviati o da poco conclusi, con l’attenzione d’intrecciare il percorso diocesano con quello nazionale e universale e con la disponibilità a leggere il Sinodo diocesano come un dono anche per le altre Chiese, con uno spirito nuovo e una visione più ampia che può contribuire a uscire dalla logica dei Sinodi di documenti.

Il soffio dello Spirito ha rimesso in movimento le comunità, a volte stanche e ripiegate su se stesse, ha aperto gli occhi e il cuore consentendo di vedere e riconoscere i “compagni di viaggio” e il debito di ascolto maturato nel tempo. Diverse persone, talvolta confinate nell’invisibilità, sono state raggiunte dall’invito del Sinodo e coinvolte in un percorso di ascolto che le ha viste finalmente protagoniste. Del resto, è apparso subito chiaro che non c’è nulla che sia estraneo alla vita della Chiesa e, quindi, che la Chiesa può essere davvero la casa di tutti. Va, tuttavia, segnalato che il percorso compiuto durante il primo anno ha intercettato principalmente la parte della comunità ecclesiale italiana che in qualche modo gravita o afferisce ai circuiti parrocchiali, seppur con eccezioni anche importanti e tanta creatività. La parrocchia resta il paradigma strutturante dell’immaginario pastorale e missionario, sebbene la presenza e l’azione dei cattolici italiani si svolga anche in circuiti che hanno un minor ancoraggio parrocchiale. Si tratta di un dato da tenere in considerazione per avere una piena percezione dell’articolazione, della varietà e della ricchezza delle forme del camminare delle Chiese in Italia.

Il metodo della conversazione spirituale ha aiutato a vivere il processo sinodale: ascoltare la vita ha permesso di non impantanarsi in uno sterile confronto di idee, ma di favorire uno scambio autentico, in cui cogliere “i segni dei tempi”. Ripartire dall’ascolto dei vissuti ha consentito alle comunità italiane, talvolta arroccate su posizioni di difesa e di rassegnazione, di scoprirsi capaci di accogliere e di amare. Questa metodologia, che promuove una dinamica che aiuta a passare dall’“io” al “noi”, da una prospettiva individuale a una comunitaria, è stata particolarmente apprezzata tanto che da più parti si è sollevata la richiesta di mantenerla, approfondirla e valorizzarla come prassi ordinaria.

La conversazione spirituale ha permesso di far emergere fatiche e limiti delle realtà ecclesiali, ma sempre in una prospettiva propositiva e di speranza. In ordine alle dinamiche interne alla vita della comunità e alla sua forma strutturale, ad esempio, sono state registrate con lucidità alcune annose questioni che affaticano il passo: il clericalismo, lo scollamento tra la pastorale e la vita reale delle persone, il senso di fatica e solitudine di parte di sacerdoti e di altre persone impegnate nella vita della comunità, la mancanza di organicità nella proposta formativa, l’afasia di alcune liturgie. Tale disamina non si è, tuttavia, connotata per il senso di rassegnazione e neppure per i toni accesi della rivendicazione. Anzi, per il modo in cui è stato condotto, il processo sinodale ha aperto spazi e opportunità di ripensamento e di profonda riforma di queste dinamiche, a partire dalle sinergie che ha attivato e dal gusto di lavorare insieme. Non si è semplicemente parlato di sinodalità, ma la si è vissuta, facendo i conti anche con le inevitabili fatiche: nel lavoro dell’équipe diocesana – presbiteri, diaconi, laici, religiosi e religiose insieme, giovani e adulti, e con la presenza partecipe del Vescovo –, nell’accompagnamento discreto e sollecito delle parrocchie e delle realtà coinvolte, nella creatività pastorale messa in moto, nella capacità di progettare, verificare, raccogliere, restituire alla comunità. L’esperienza fatta è stata entusiasmante e generativa per chi ha accettato di correre il rischio di impegnarvisi: in molti contesti ha contribuito a rivitalizzare gli organismi di partecipazione ecclesiale, ha aiutato a riscoprire la corresponsabilità che viene dalla dignità battesimale e ha lasciato emergere la possibilità di superare una visione di Chiesa costruita intorno al ministero ordinato per andare verso una Chiesa “tutta ministeriale”, che è comunione di carismi e ministeri diversi. A riguardo non va sottaciuta la fatica a suscitare un coinvolgimento cordiale di una porzione non trascurabile del clero, che ha visto il Cammino sinodale con una certa diffidenza. In alcuni passaggi, inoltre, non è risultata scontata la sintonia tra le modalità ordinarie di esercizio del ministero episcopale e l’assunzione di uno stile pienamente sinodale, a cui il Cammino punta.

I referenti diocesani si sono incontrati alcune volte online e due volte in presenza a Roma: dal 18 al 19 marzo e dal 13 al 15 maggio 2022. Quest’ultimo appuntamento residenziale, con la partecipazione dei Vescovi rappresentanti delle Conferenze Episcopali Regionali, ha permesso di stendere insieme una prima sintesi nazionale; successivamente, durante la 76ª Assemblea Generale della CEI (23-27 maggio), alla quale hanno preso parte, nelle giornate del 24 e 25 maggio 2022, 32 referenti diocesani, cioè due per ogni Regione ecclesiastica, si è ulteriormente riflettuto, in modo sinodale, arrivando a definire alcune priorità emerse dall’ascolto del Popolo di Dio.

  1. In dieci nuclei la varietà di accenti e sensibilità delle Chiese in Italia

Ascoltare, accogliere, relazioni, celebrare, comunicazione, condividere, dialogo, casa, passaggi di vita e metodo sono i dieci nuclei attorno a cui sono state organizzate le riflessioni emerse dalle sintesi diocesane: non si tratta di categorie astratte, predeterminate, ma di modalità per agganciare, raccogliere e presentare l’esperienza vissuta del camminare insieme delle Chiese in Italia, nelle loro articolazioni e specificità. Questa scelta di fondo rappresenta anche il tentativo di riprendere il percorso compiuto tra i due ultimi Convegni Ecclesiali Nazionali, celebrati a Verona (16-20 ottobre 2006) e a Firenze (9-13 novembre 2015), con l’intento di passare dall’usuale strutturazione per settori d’azione o secondo le missioni degli Uffici pastorali (ai diversi livelli) a una visione che tenta di abbracciare sempre l’insieme dell’esistenza delle persone e di cogliere le interconnessioni della vita.

Ogni nucleo va inteso come una dimensione, una declinazione o un ambito del camminare insieme. In questo senso, i dieci nuclei non sono alternativi, ma complementari; alcuni espressi come verbi, altri come sostantivi, proprio per rispettare le risonanze con cui sono stati espressi. La loro pluralità non rappresenta un limite da superare, attraverso un’operazione di omogeneizzazione o di gerarchizzazione, ma contribuisce a custodire il fondamentale pluralismo dell’esperienza delle Chiese in Italia, con tutta la varietà di accenti e sensibilità da cui sono attraversate e di cui sono portatrici.

2.1 Ascoltare

L’ascoltare e il sentirsi ascoltati sono certamente la grande riscoperta del processo sinodale e il suo primo inestimabile frutto, insieme al discernimento. Uno dei dati più evidenti è il riconoscimento del debito di ascolto come Chiesa e nella Chiesa, verso una molteplicità di soggetti. Le sintesi diocesane e le altre che sono pervenute direttamente alla Segreteria della Cei, hanno messo in luce la necessità di crescere nell’ascolto di ogni persona nella sua concreta situazione di vita. Con chiarezza le Chiese che sono in Italia hanno messo in luce la necessità di porsi in ascolto dei giovani, che non chiedono che si faccia qualcosa per loro, ma di essere ascoltati; delle vittime degli abusi sessuali e di coscienza, crimini per cui la Chiesa prova vergogna e pentimento ed è determinata a promuovere relazioni e ambienti sicuri nel presente e nel futuro; delle vittime di tutte le forme di ingiustizia, in particolare della criminalità organizzata; dei territori, di cui imparare ad accogliere il grido, grazie all’apporto di competenze specifiche e all’impegno di “stare dentro” a un luogo e alla sua storia. L’ascolto chiede di far cadere i pregiudizi, di rinunciare alla pretesa di sapere sempre che cosa dire, di imparare a riconoscere e accogliere la complessità e la pluralità.

Un ascolto autentico è già annuncio della buona notizia del Vangelo, perché è un modo per riconoscere il valore dell’altro, il suo essere prezioso. L’ascolto è allora tutt’uno con la missione affidata alla Chiesa ed è principio e stile di un’assunzione di responsabilità per il mondo e per la storia. Una particolare attenzione in questo ascolto deve essere riservata alle situazioni di povertà: è a partire da qui ed è con i poveri del mondo che le nostre comunità devono poter delineare il cammino per il Terzo millennio. Resta chiaro che la finezza dell’udito viene pian piano plasmata dalla Parola del Signore che apre l’orecchio e spalanca il cuore. L’autentico ascolto della Parola è l’antidoto contro il ripiegamento su di sé, la via verso una presenza incisiva nella realtà sociale e verso una crescente condivisione. In radice, l’ascolto della Parola e l’ascolto della vita sono il medesimo ascolto, perché il Signore si lascia incontrare nella vita ordinaria e nell’esistenza di ciascuno, ed è lì che chiede di essere riconosciuto. Di qui l’esigenza, unanimemente sentita, di rimettere al centro la Parola, immaginando percorsi di crescita in questa dimensione e investendo su figure che sappiano accompagnarli.

2.2 Accogliere

La consultazione sinodale ha messo in luce l’importanza di vivere la prossimità nella pluralità delle situazioni di vita e di condizioni che abitano un territorio: le persone costituiscono la vera ricchezza delle comunità, ciascuna con il suo valore unico e infinito. Non si tratta di pensare che chi è parte della comunità ecclesiale debba fare uno sforzo di apertura verso chi rimane sulla soglia. Piuttosto, l’accoglienza è un cammino di conversione per dare forma nella reciprocità a una comunità fraterna e inclusiva che sa accompagnare e valorizzare tutti. Questa consapevolezza consente di superare la distinzione “dentro” / “fuori”.

Vivere l’accoglienza significa armonizzare il desiderio di una “Chiesa in uscita” con quello di una “Chiesa che sa far entrare”, a partire dalla celebrazione dell’Eucaristia. La creazione di un “ministero di prossimità” per i laici dedicati all’ascolto delle situazioni di fragilità potrebbe sostenere il processo di rinnovamento in vista di comunità più aperte, meno giudicanti e capaci di non lasciare indietro nessuno. Si coglie l’esigenza di un ripensamento complessivo: numerose sottolineature fanno emergere carenze sul piano della capacità di inclusione. In particolare, si riconosce il bisogno di toccare ferite e dare voce a questioni che spesso si evitano. Tante sono le differenze che oggi chiedono accoglienza: generazionali (i giovani che dicono di sentirsi giudicati, poco compresi, poco accolti per le loro idee e poco liberi di poterle esprimere; gli anziani da custodire e da valorizzare); generate da storie ferite (le persone separate, divorziate, vittime di scandali, carcerate); di genere (le donne e la loro valorizzazione nei processi decisionali) e orientamento sessuale (le persone Lgbt+ con i loro genitori); culturali (ad esempio, legate ai fenomeni migratori, interni e internazionali) e sociali (disuguaglianze, acuite dalla pandemia; disabilità ed emarginazione).

2.3 Relazioni

Le persone vengono prima delle cose da fare e dei ruoli: questo principio è risuonato più volte nella consultazione sinodale, insieme al riconoscimento di quanto venga spesso disatteso. La cura delle relazioni chiede di non lasciarsi ingabbiare da ruoli e funzioni – pur necessari – e di non utilizzarli come recinti in cui chiudersi. Ognuno nella comunità ecclesiale ha bisogno di imparare a vivere relazioni più attente all’altro, soprattutto quando si svolge un ministero e un servizio: i sacerdoti, per primi, sono chiamati a essere “maestri di relazione”, capaci di stare e camminare con gli altri. Peraltro, emergono anche la preoccupazione per il senso di solitudine che a volte vivono anche i sacerdoti e la necessità di comunità capaci di accompagnarli.

Le relazioni hanno bisogno di tempo e di cura costante: sono un bene fragile che necessita di energie individuali, di sinergie comunitarie e di accettazione delle fatiche e delle sconfitte. Le comunità necessitano di cammini di riconciliazione per abitare e superare i conflitti e le frammentazioni. Ciò richiede di riconoscere che la dimensione relazionale non cresce in modo automatico, ma giorno dopo giorno dando spazio all’incontro, al confronto e al dialogo, e sapendo camminare con gli altri senza voler imporre a tutti i costi il proprio ritmo.

L’incontro con le persone non va vissuto come un corollario, ma come il centro dell’azione pastorale. Perciò è importante rivedere in una prospettiva maggiormente comunitaria il tema delle funzioni e delle mansioni svolte attualmente dai presbiteri. Avere a cuore le relazioni nella comunità significa riconoscere e prendersi cura delle diverse forme di solitudine e di coloro che vivono situazioni di fragilità e marginalità.

2.4 Celebrare

Pur nella diversità delle situazioni, il processo sinodale è stato segnato da una forte tensione spirituale. La Parola di Dio è riconosciuta come chiave per tornare a essere credibili ed è forte il desiderio di una sua conoscenza più approfondita attraverso modalità quali Lectio Divina, Liturgia della Parola, formazione biblica. Potendo essere guidate da diaconi, religiosi o laici (uomini e donne) formati, permetterebbero di offrire più occasioni di incontro con la Parola e di rispondere alla sete di vita nello Spirito.

La celebrazione eucaristica è e rimane “fonte e culmine” della vita cristiana e, per la maggioranza delle persone, è l’unico momento di partecipazione alla comunità. Tuttavia, si registrano una distanza tra la comunicazione della Parola e la vita, una scarsa cura delle celebrazioni e un basso coinvolgimento emotivo ed esistenziale.

Di fronte a “liturgie smorte” o ridotte a spettacolo, si avverte l’esigenza di ridare alla liturgia sobrietà e decoro per riscoprirne tutta la bellezza e viverla come mistagogia, educazione all’incontro con il mistero della salvezza che tocca in profondità le nostre vite, e come azione di tutto il Popolo di Dio. In tal senso risulta urgente un aggiornamento del registro linguistico e gestuale. Da riscoprire è anche il valore della pietà popolare (spesso legata ai santuari e alla devozione mariana) che continua a dare i suoi frutti a favore della costruzione dell’identità cristiana e comunitaria delle parrocchie e dei territori, e che, se rettamente vissuta, può essere occasione di annuncio e di proposta per i cosiddetti lontani, a condizione di un discernimento delle potenziali ambiguità e di uno sforzo per farne occasione di crescita di una coscienza civile, sensibile ai problemi sociali ed economici delle famiglie e dei poveri.

2.5 Comunicazione

Comunicazione e linguaggi sono due parole chiave che emergono dai materiali provenienti dalle diocesi. Risulta diffusa la percezione di una Chiesa che trasmette l’immagine di un Dio giudice più che del Padre misericordioso. Un linguaggio non discriminatorio, meno improntato alla rigidità, ma più aperto alle domande di senso, sembra la chiave per parlare a tante persone in ricerca, per rendere la Chiesa più accessibile, più comprensibile e più attraente per i giovani e i “lontani”, più capace di trasmettere la gioia del Vangelo. Non basta un’operazione di maquillage: la conversione del linguaggio richiede di tornare a contattare il cuore pulsante dell’esperienza della fede all’interno della concretezza della vita degli uomini e delle donne di oggi. Dalla Chiesa e nella Chiesa si attende un linguaggio chiaro, coraggioso e competente sulle questioni del nostro tempo, attento a scegliere termini che esprimano rispetto e non siano giudicanti, senza concessioni alla superficialità.

Quanto all’ambiente digitale, se è necessario che la Chiesa stia lì dove le persone trascorrono parte del loro tempo, è altrettanto fondamentale investire in cura e formazione, così da apprendere i nuovi linguaggi e aprire percorsi di senso senza assumere la logica degli influencer, ma puntando a dare forma a comunità aperte e non a “bolle” della fede. L’utilizzo sapiente dei nuovi media può consentire anche di raccontare meglio le attività ecclesiali, spesso poco conosciute all’esterno anche per la fatica, l’incapacità e il timore nel comunicarle.

La partecipazione e la corresponsabilità hanno bisogno della linfa vitale di una comunicazione trasparente, della condivisione delle informazioni e della cura nel coinvolgere i diversi soggetti parte nei processi. Proprio la mancanza di trasparenza, secondo alcuni, ha favorito insabbiamenti e omissioni su questioni cruciali quali la gestione delle risorse economiche e gli abusi di coscienza e sessuali.

2.6 Condividere

Nelle narrazioni sinodali si percepisce un forte desiderio di riconoscimento del valore della corresponsabilità, che si sviluppa dove le persone si sentono valorizzate, non si percepiscono tradite, violate, abbandonate. La corresponsabilità appare come il vero antidoto alla dicotomia presbitero-laico. La Chiesa appare troppo “pretocentrica” e questo deresponsabilizza, diventando un alibi per deleghe o rifiuti da parte dei laici, relegati spesso a un ruolo meramente esecutivo e funzionale, anziché di soggetti protagonisti, costruttori di un “noi”. Ma non per questo esenti dal rischio di sviluppare forme di clericalismo nella gestione dei piccoli spazi di potere loro affidati.

L’emarginazione dei laici riguarda prevalentemente le donne: ciò di cui si sente universalmente la mancanza è una reale condivisione delle responsabilità che consente alla voce femminile di esprimersi e di contare. Particolare attenzione va riservata a religiose e consacrate, che spesso si sentono utilizzate soltanto come “manodopera pastorale”.

In ordine alla corresponsabilità, si registra poi il mancato o inefficace funzionamento degli organismi di partecipazione: diverse comunità ne sono prive, mentre in molti casi sono ridotti a una formalità, a giustificazione di scelte già definite. Perciò se ne invoca il rilancio come spazi di concreta esperienza della corresponsabilità ecclesiale, lo sviluppo di leadership allargate e l’acquisizione di uno stile sinodale in cui le decisioni si prendono insieme, sulla base dell’apporto di ciascuno a comprendere la voce dello Spirito, nella chiave del discernimento e non della democrazia rappresentativa.

Può essere di aiuto in tal senso anche l’avvio di una pastorale integrata tra le parrocchie e delle parrocchie con quanti vivono l’annuncio negli ambienti di vita. Quel che si impone in ogni caso è la valorizzazione della comune dignità battesimale che, oltre ogni logica puramente funzionale, conduca a riconoscere la responsabilità di tutti i credenti, ciascuno con il dono che gli è proprio, nella edificazione e nella missione della comunità ecclesiale.

Alla ricchezza della comunione e all’efficacia dello sforzo di evangelizzazione possono contribuire movimenti, associazioni e gruppi ecclesiali, in quanto luoghi di educazione alla corresponsabilità ed esperienze preziose per l’evangelizzazione, quando si aprono alla collaborazione tra di loro e alla partecipazione alla vita della Chiesa locale.

2.7 Dialogo

La Chiesa vive la fede immersa nell’oggi, confrontandosi quotidianamente con il mondo del lavoro, della scuola e della formazione, gli ambienti sociali e culturali, gli aspetti cruciali della globalizzazione. Grazie a questo confronto, si è consapevoli che la fede non è più il punto di riferimento centrale per la vita di tante persone: per molti il Vangelo non serve a vivere. Eppure anche questo tempo chiama a raccogliere, con parresìa e umiltà, la sfida di lasciarsi sorprendere dai semi del Verbo presenti in ogni contesto, scorgendoli nei luoghi e nelle forme più impensate, come segni di creatività dello Spirito.

La cura della casa comune, il dialogo intergenerazionale, l’incontro tra diverse culture, la crisi della famiglia, la giustizia, la politica, l’economia, gli stili di vita, la pace e il disarmo… La comunità cristiana è chiamata a dire la sua, ma spesso appare afona, chiusa, giudicante, frammentata e poco competente. I luoghi e le modalità di dialogo nella Chiesa sono ancora pochi, in modo particolare tra Chiesa locale e società civile: spesso si percorrono cammini paralleli dove ognuno vive la propria realtà senza interferire, senza interrogarsi. Il processo sinodale ha svelato che molte realtà sociali, amministrative e culturali nutrono il desiderio di un confronto più assiduo e di una collaborazione più sistematica con le realtà ecclesiali. Una Chiesa sinodale è consapevole di dover imparare a camminare insieme con tutti, anche con chi non si riconosce in essa, con chi appartiene ad altre fedi, con chi non crede, imparando a decentrarsi e ad attraversare i conflitti. Dalla cultura attuale può imparare maggiore capacità di dialogo e confronto, nel rispetto delle diverse competenze e dei differenti ambiti, sapendo anch’essa mettersi in discussione, così come dai poveri può apprendere maggiore umiltà e tenacia. Una particolare risorsa per il dialogo è costituita dalla ricchezza di arte e di storia custodita in tante comunità, che può diventare terreno d’incontro con tutti.

2.8 Casa

Sentirsi o non sentirsi a casa costituisce il criterio del giudizio dei singoli sulla Chiesa. Casa è uno spazio accogliente, che non devi meritarti, luogo di libertà e non di costrizione. Per molti la parrocchia, il gruppo, il movimento sono contesti di vero incontro, di amicizia e di condivisione. Chi si percepisce fuori dalla comunità cristiana spesso osserva invece dinamiche più simili a quelle di un contesto settario o di un “fan club”. Ci si sente estranei di fronte ad aree di specializzazione pastorale, che facilmente si traducono in ambiti di potere. Più che una casa, la comunità viene pensata come un centro erogazione servizi, più o meno organizzato, di cui si fatica a cogliere il senso. Perciò è urgente ripensare lo stile e le priorità della casa. Se accogliere e accompagnare diventano preminenti, tutto deve essere reso più essenziale, a cominciare da strutture e aspetti burocratici. La Chiesa-casa non ha porte che si chiudono, ma un perimetro che si allarga di continuo.

Anche le comunità ecclesiali rischiano l’autoreferenzialità e la chiusura, o la creazione di “bolle”: gruppi in cui si vivono cammini di fede e di vita intensi, ma con poca disponibilità ad accogliere le novità, di persone e proposte. Tante “bolle” separate rendono le comunità frammentate, spazi in cui si rischia di dividersi poteri e ruoli, di essere esclusivi ed escludenti verso chi bussa. Per contrastare la sfida della frammentazione, a livello parrocchiale e diocesano, occorre investire nella costruzione di relazioni fraterne, valorizzando la pluralità delle sensibilità e provenienze come risorsa. In particolare, la testimonianza della carità è misura della capacità di aprirsi.

2.9 Passaggi di vita

Una comunità cristiana che vuole camminare insieme è chiamata a interrogarsi sulla propria capacità di stare a fianco delle persone nel corso della loro vita, e di accompagnarle a vivere in autenticità la propria umanità e la propria fede in rapporto alle diverse età e situazioni. È qui chiamata in causa l’azione formativa delle comunità, ma anche quanto esse siano in grado di offrirsi come punto di riferimento per le traiettorie di vita sempre più complesse degli uomini e delle donne di oggi. L’accompagnamento della vita delle persone è ben più ampio della formazione, perché riguarda lo stare a fianco, il sostenere, così da dare alle persone la possibilità di coltivare la propria coscienza credente, di accrescere le proprie risorse relazionali, cognitive, affettive, spirituali, attraverso esperienze condivise.

Nelle Chiese locali e nelle parrocchie le esperienze associative (oratori, gruppi, associazioni e movimenti) rappresentano un patrimonio formativo che, se adeguatamente coltivato, consente alle comunità di accompagnare la crescita in umanità e nella fede delle persone, nelle diverse età e condizioni di vita, nel dialogo intergenerazionale e nel sostegno alla dimensione vocazionale.

Una richiesta condivisa è di ripensare i percorsi di accompagnamento perché siano a misura di tutti: delle famiglie, dei più fragili, delle persone con disabilità e di quanti si sentono emarginati o esclusi. Anche il camminino dell’iniziazione cristiana ha bisogno di transitare alla logica dell’accompagnamento, integrando la dimensione cognitiva, quella affettiva, quella relazionale, quella estetica attraverso una pluralità di strumenti e linguaggi.

Si rivela inoltre imprescindibile rivedere la formazione iniziale e continua dei presbiteri sia nei contenuti, sia nelle forme, oltre che rafforzare le competenze delle laiche e dei laici impegnati nei diversi ministeri, a partire dal servizio catechistico, anche valorizzando al meglio gli Istituti di Scienze religiose, le Scuole di teologia e le Facoltà Teologiche. In tal senso, anche la necessità messa in luce da tanti di rendere le famiglie soggetto e non destinatario dell’azione pastorale, in quanto paradigma delle relazioni che accompagnano la vita delle persone. È tempo di camminare insieme alle famiglie, ai sacerdoti e ai consacrati/e.

2.10 Metodo

Per dare forma e concretezza al processo sinodale è stato proposto un metodo di ascolto delineato secondo i principi della conversazione spirituale. Non è stata l’unica strada percorsa; accanto ai piccoli gruppi sinodali, sono stati realizzati anche incontri e confronti assembleari, colloqui con singole persone; somministrazione di questionari, realizzazione di documenti da parte di alcuni gruppi. La varietà dei metodi e degli strumenti rappresenta una ricchezza, ma a condizione che si salvaguardi la coerenza dei mezzi con il fine, che è promuovere le relazioni e la costruzione di legami.

Le restituzioni hanno segnalato un diffuso e cordiale apprezzamento per la conversazione spirituale attorno alla Parola di Dio, con i suoi tre passi: la presa di parola da parte di ciascuno dei partecipanti, così che nessuno resti ai margini; l’ascolto della parola di ciascuno da parte degli altri e delle risonanze che essa produce; l’identificazione dei frutti dell’ascolto e dei passi da compiere insieme. Questo metodo ha consentito di avviare o ricostruire percorsi comunitari, grazie all’attenzione alle risonanze profonde con l’esclusione di forme di dibattito o discussione, che ha permesso alle persone di raccontarsi senza sentirsi giudicate. Inoltre ha spinto a entrare in contatto con il piano delle emozioni e dei sentimenti, più profondo di quello della logica e dell’argomentazione razionale, e per questo meno frequentato, ma di grande importanza in termini antropologici e di fede: è su questo piano che la persona decide di mettersi veramente in gioco e di affidarsi. Si spiega così la diffusa richiesta di assumerlo come prassi ordinaria, in particolare per attivare gruppi di ascolto e discernimento. Ugualmente si è messo in luce il timore che l’entusiasmo e la voglia di partecipazione che l’esperienza dei gruppi sinodali ha generato possa spegnersi presto, se ad essa non viene data continuità e se il processo sinodale avviato non condurrà a cambiamenti concreti (prassi e istituzioni) nella vita delle comunità.

  1. Dalle priorità ai “cantieri sinodali” per continuare a camminare insieme

Il discernimento sulle sintesi diocesane e l’elaborazione dei dieci nuclei hanno permesso di individuare alcune priorità, su cui si concentrerà il prosieguo del processo sinodale. Sempre in sintonia con il Sinodo universale, infatti, le Chiese in Italia approfondiranno la fase di ascolto, prestando particolare attenzione a crescere nello stile sinodale e nella cura delle relazioni, a sviluppare e integrare il metodo della conversazione spirituale, a promuovere la corresponsabilità di tutti i battezzati, a snellire le strutture per un annuncio più efficace del Vangelo.

In quest’ottica, sarà decisivo prestare ascolto ai diversi “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano, cioè camminano insieme a tutti coloro che formano la società, con una peculiare attenzione a quegli ambiti che spesso restano in silenzio o inascoltati: il vasto mondo delle povertà (indigenza, disagio, abbandono, fragilità, disabilità, emarginazione, sfruttamento, esclusione o discriminazione nella società come nella comunità cristiana), gli ambienti della cultura (scuola, università e ricerca), delle religioni e delle fedi, delle arti e dello sport, dell’economia e finanza, del lavoro, dell’imprenditoria e delle professioni, dell’impegno politico e sociale, delle istituzioni civili e militari, del volontariato e del Terzo settore. Sono spazi in cui la Chiesa vive e opera, attraverso l’azione personale e organizzata di tanti cristiani, e l’ascolto non sarebbe completo se non riuscisse a cogliere anche la loro voce. Per favorire un ascolto ampio e autentico, sarà necessario rimodulare i linguaggi ecclesiali, per apprenderne di nuovi, per frequentare canali meno usuali e anche per adattare creativamente il metodo della “conversazione spirituale”, così da andare incontro a chi non frequenta le comunità cristiane. In tal senso, sarà importante rafforzare e rendere stabile nel tempo l’ascolto dei giovani che il mondo della scuola e dell’università ha reso possibile, per entrare in relazione con persone che altrimenti la Chiesa non incontrerebbe.

Un’altra istanza emersa è quella della verifica dell’effettiva qualità delle relazioni comunitarie e della tensione dinamica tra esperienza di fraternità e spinta alla missione, che prende in esame anche il funzionamento delle strutture, perché siano al servizio della missione e non assorbano energie per il solo auto-mantenimento. La riflessione, che aiuterà a verificarne sostenibilità, funzionalità e impatto ambientale, dovrà anche affrontare il tema del decentramento pastorale e contribuire al rilancio degli organismi di partecipazione (specialmente i Consigli pastorali e degli affari economici), perché siano luoghi di autentico discernimento comunitario e di reale corresponsabilità. Il tema delle strutture porterà con sé la necessità di continuare a riflettere su che cosa significa realizzare concretamente uno stile di leadership ecclesiale animato dalla sinodalità.

L’anno pastorale 2022-2023 sarà poi occasione per concentrarsi sui servizi e sui ministeri ecclesiali, per vincere l’affanno e radicare meglio l’azione nell’ascolto della Parola di Dio e dei fratelli: è questo, infatti, che può distinguere la diaconia cristiana dall’impegno professionale e umanitario. Spesso la pesantezza nel servire, nelle comunità e nelle loro guide, nasce dalla logica del “si è sempre fatto così” (cf. Evangelii gaudium 33), dall’affastellarsi di cose da fare, dalle burocrazie ecclesiastiche e civili incombenti, trascurando la centralità dell’ascolto e delle relazioni. Di fronte alla grande sete di ascolto della Parola di Dio e dei fratelli e delle sorelle, è fondamentale riconnettere la diaconia con la sua radice spirituale, per vivere la “fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano” (Evangelii gaudium 92). All’interno di questa riflessione sullo stile dell’essere Chiesa sarà possibile affrontare le questioni legate alla formazione di laici, ministri ordinati, consacrate e consacrati; alla corresponsabilità femminile all’interno della comunità cristiana; alle ministerialità istituite, alle altre vocazioni e ai servizi ecclesiali innestati nella comune vocazione battesimale del Popolo di Dio “sacerdotale, profetico e regale”.

Per alimentare e sostenere il Cammino sinodale delle Chiese in Italia in comunione con il processo in corso a livello universale, si è scelto di raggruppare le priorità emerse lungo tre assi, definiti “cantieri sinodali”: quello della strada e del villaggio (l’ascolto dei mondi vitali), quello dell’ospitalità e della casa (la qualità delle relazioni e le strutture ecclesiali) e quello delle diaconie e della formazione spirituale. Questi cantieri potranno essere adattati liberamente e ogni Chiesa locale potrà aggiungerne un quarto che valorizzi una priorità risultante dal percorso compiuto lungo il primo anno.

Quella del cantiere è un’immagine che indica la necessità di un lavoro che duri nel tempo, che non si limiti all’organizzazione di eventi, ma punti alla realizzazione di percorsi di ascolto e di esperienze di sinodalità vissuta, la cui rilettura sia punto di partenza per le successive fasi del Cammino sinodale nazionale. Il carattere laboratoriale ed esperienziale dei cantieri potrà adattare il metodo della “conversazione spirituale” e aprire il processo sinodale anche a coloro che non sono stati coinvolti finora.