Il 45.mo viaggio di Francesco ha raggiunto oggi la sua tappa finale, quella della città-leone dal sanscrito, rivolta con decisione verso il futuro, al centro del corridoio nevralgico del Sudest asiatico e punto focale per le sfide del futuro: tecnologia, demografia e coesistenza etno-religiosa
Delphine Allaire – Singapore
All’incrocio tra il mondo indiano e quello cinese, all’estremità meridionale della penisola malese, sorge una micro-città cosmopolita dove gli ordini di grandezza si intrecciano virtuosamente. Costruita su 680 chilometri quadrati, piccola nelle dimensioni ma grande nel peso economico, è la città di tutti i superlativi materialistici: il secondo porto più grande del pianeta, il terzo centro finanziario dopo la rivale Hong Kong, una cassaforte regionale con uno dei PIL pro capite più alti del mondo. Questa prospera potenza dell’Asean nasce da un villaggio di pescatori fino a quando, nel 1819, il marinaio e botanico britannico Sir Thomas Raffles la acquista da un principe malese per aprire una rotta verso la Cina e impedire l’avanzata degli olandesi nella regione. Storicamente privo di un’agricoltura propria, il Paese, un tempo stazione commerciale della Compagnia delle Indie Orientali, è sempre stato sulle rotte commerciali e ha puntato la sua sopravvivenza sul successo economico.
Il quadro politico parlamentare
Un’altra eredità britannica è il sistema politico della città. Singapore rappresenta “un’isola di stabilità rispetto ad altri Paesi vicini, talvolta soggetti a disordini, colpi di Stato, insurrezioni o manifestazioni”, spiega Eric Frécon, ricercatore con sede nella città-stato e associato all’Irasec, l’Istituto di ricerca sul Sudest asiatico contemporaneo. Questo potere forte, “una democrazia illiberale”, spiega il ricercatore, ha i mezzi per imporre questa stabilità. Dal 1959, la vita politica è stata dominata da un partito, il PAP (People’s Action Party), e lo Stato ha avuto solo quattro primi ministri da quando, nel 1965, ha cessato di far parte della Federazione della Malesia per diventare uno Stato sovrano. Due di loro incontreranno Papa Francesco il 12 settembre: l’attuale Primo Ministro, Lawrence Wong, protestante, alla Parliament House, e Lee Hsien Loong, capo del governo dal 2004 al 2024, alla casa di riposo San Francesco Saverio, dove Francesco alloggia durante questa sosta di quasi 48 ore. Il sistema politico parlamentare, ereditato dal modello britannico, lascia poco spazio al compromesso sociale. “Gli ultimi scioperi a Singapore risalgono al 2013 e gli ultimi agli anni Ottanta. Alcuni argomenti sono tabù”, conferma Éric Frécon. Nella città-stato non è raro imbattersi in lavoratori di 80 anni. La situazione è stata aggravata dalle crisi globali legate alla pandemia e alla guerra in Ucraina. L’economia locale, dipendente dal commercio internazionale, è soggetta a forti fluttuazioni e i prezzi sono aumentati negli ultimi tre anni.
Identità e demografia
In questo contesto, si presta molta attenzione agli anziani così come ai neonati, che sono troppo pochi. “Durante il discorso di politica generale di metà agosto, il governo ha annunciato l’estensione del congedo di paternità e, più in generale, del congedo parentale”, spiega ancora il ricercatore. Le famiglie singaporiane sono al centro dell’attenzione del governo – in un Paese in cui il tasso di fertilità è di 1,12 figli per donna – e del Papa, che ha scelto di visitare, il 13 settembre mattina, gli anziani della Maison Sainte-Thérèse della città, fondata dalle Piccole Sorelle dei Poveri, e poi, nella stessa giornata, i giovani di varie religioni che studiano nel prestigioso Catholic Junior College, che conta 1.500 studenti. Un mosaico etno-religioso, quattro lingue ufficiali, celebrate a ogni angolo di strada. Questa identità caleidoscopica, con accenti malesi, cinesi, indiani e occidentali, si riflette nelle finestre dei grattacieli che coprono la città che dedica un giorno è dedicato all’“armonia razziale”, celebrata nelle scuole di questa nazione composta per il 74% da cinesi, per il 14% da malesi, per il 7% da indiani e per più dell’1% da “altri”, cioè da eurasiatici. “La sfida per il governo è trovare denominatori comuni per formare una nazione”, afferma Eric Frécon, citando il servizio nazionale, le sfilate e il Singlish, il creolo di Singapore basato sull’inglese, come possibili caratteristiche unificanti. Questo curioso mix oscilla tra influenze culturali cinesi e occidentali, anche in termini geopolitici.
Tra Cina e Occidente, Singapore è nel mezzo. Vi si svolgono esercitazioni militari americane e britanniche, così come l’addestramento intensivo di funzionari cinesi. Una neutralità, conclude Frécon, che è le valsa il soprannome di Svizzera d’oriente”.