Nel National Stadium della città-Stato del sud-est asiatico Francesco presiede la messa davanti a 50mila fedeli. L’invito, anche di fronte alle opere grandiose dell’ingegno umano, a riconoscere che “senza amore non siamo nulla” e ad abbracciare fratelli e sorelle incontrati sul cammino
Lorena Leonardi – Città del Vaticano
“Se qualcosa di buono c’è e rimane in questo mondo è solo perché, in infinite e varie circostanze, l’amore ha prevalso sull’odio, la solidarietà sull’indifferenza, la generosità sull’egoismo”. Sono le parole di Papa Francesco nell’omelia pronunciata in italiano durante la messa presieduta nel pomeriggio di oggi – tarda mattinata in Italia – al National Stadium di Singapore.
Il Papa giunge nella grande struttura sportiva – che per l’occasione ha ospitato 50mila persone, occupando anche lo spazio del campo da calcio – dopo una giornata impegnativa iniziata con la visita di cortesia al presidente della Repubblica e proseguita con l’appuntamento con il primo ministro, le autorità, la società civile e il corpo diplomatico.
Appena arrivato, Francesco fa un lungo giro di saluto in golf cart sulla pista di atletica, salutando i bambini e molti malati in sedia a rotelle che gli si avvicinano; firma la benedizione apostolica di una coppia di sposi, scatta numerosi selfie con i più giovani e a tutti regala rosari.
L’amore che edifica
Dopo avere ringraziato per una Chiesa, quella di Singapore, “ricca di doni, vivace, in crescita e in dialogo costruttivo con le altre confessioni e religioni”, il Santo Padre esprime apprezzamento per l’“impressionante complesso del National Stadium”, sottolineando che “all’origine di queste imponenti costruzioni”, come di ogni altra impresa che lasci un “segno positivo” in questo mondo, non ci sono i soldi, né la tecnica e nemmeno l’ingegneria, per quanto “mezzi molto utili”, ma l’amore: “l’amore che edifica”, ha scandito riferendosi alle parole di San Paolo nella lettera ai Corinti, ascoltate poco prima nella lettura.
Non c’è opera buona, infatti, dietro cui non ci siano delle persone magari geniali, forti, ricche, creative, ma pur sempre donne e uomini fragili, come noi, per i quali senza amore non c’è vita, né slancio, né motivo per agire, né forza per costruire.
Nulla nasce senza amore
Così, la metropoli dalle migliaia di grattacieli e dalle “ardite architetture” diventa “un segno”: dietro ogni opera ci sono da scoprire “tante storie d’amore” di “uomini e donne uniti gli uni agli altri in una comunità”, “cittadini dediti al loro Paese”, “madri e padri solleciti per le loro famiglie”, “professionisti e lavoratori”. Tutte storie, queste, spiega ancora il Papa, “scritte sulle facciate delle nostre case e sui tracciati delle nostre strade”, la cui memoria va tramandata “per ricordarci che nulla di duraturo nasce e cresce senza amore”.
A volte la grandezza e l’imponenza dei nostri progetti possono farcelo dimenticare, illudendoci di potere, da soli, essere gli autori di noi stessi, della nostra ricchezza, del nostro benessere, della nostra felicità, ma alla fine la vita ci riporta ad un’unica realtà: senza amore non siamo nulla.
Rispetto per tutti gli uomini
A confermare quanto detto, “la fede”, evidenzia Francesco, la quale “ci dice che alla radice della nostra capacità di amare e di essere amati c’è Dio stesso”, che ci ha portati all’esistenza in modo gratuito e liberati dal peccato e dalla morte.
Così “vediamo un riflesso dell’amore di Dio” – ha aggiunto citando le parole pronunciate da san Giovanni Paolo II in visita a Singapore nel 1986 – nell’amore “caratterizzato da un profondo rispetto per tutti gli uomini, a prescindere dalla loro razza, dal loro credo o da qualunque cosa li renda diversi da noi”.
Abbracciare tutti
C’è solo una meraviglia – “ancora più grande dello stupore” che proviamo di fronte alle opere fatte dall’uomo – da “abbracciare con ancora maggiore ammirazione e rispetto”: “i fratelli e le sorelle” che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino, “senza preferenze e senza differenze”, come ben testimoniato dalla società e dalla Chiesa singaporiane, “etnicamente così varie” e al tempo stesso “così unite e solidali”.
L’edificio più bello, il tesoro più prezioso, l’investimento più redditizio agli occhi di Dio siamo noi: figli amati dello stesso Padre, chiamati a nostra volta a diffondere amore.
Rispondere all’infinita carità di Dio
Papa Francesco ha poi ricordato alcuni esempi di uomini e donne che si sono fatti interpreti dell’amore di Dio: prima di tutto la Madonna – oggi ricorre la memoria liturgica del Nome di Maria -, nella quale “vediamo l’amore del Padre manifestarsi in uno dei modi più belli e totali: quello della tenerezza di una mamma” che “tutto comprende e perdona e che non ci abbandona mai”. In secondo luogo, il Papa ha rievocato Francesco Saverio, un santo “caro a questa terra” che in una lettera del 1544 indirizzata a Ignazio di Loyola e ai primi compagni manifestava il desiderio di andare in tutte le università del tempo a “gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità”, perché si sentano spinti a “farsi missionari per amore dei fratelli” dicendo dal profondo del loro cuore: “Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?”.
Da qui la proposta del Pontefice a “fare nostre queste parole: ‘Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?’, perché ci accompagnino “non solo in questi giorni”, ma come “impegno costante” a rispondere prontamente agli inviti all’amore e alla giustizia che anche oggi continuano a venirci dall’ “infinita carità” di Dio.
La fiamma della testimonianza
A conclusione della messa, durante la quale una delle preghiere dei fedeli è stata dedicata al tifone che ha investito il Vietnam, l’arcivescovo di Singapore, cardinale William Goh Seng Chye, ha preso la parola per ringraziare in inglese il Papa per la sua presenza, 38 anni dopo l’ultimo viaggio di un Pontefice – San Giovanni Paolo II – in terra singaporiana. Se la visita “ha acceso la fiamma della nostra fede per farla risplendere ancora di più in noi”, l’auspicio del porporato è di rinsaldare i legami di unità, percorrere il cammino della sinodalità e del dialogo e rimanere “in comunione”, portando avanti la missione. Solo così, ha concluso, la Chiesa potrà portare speranza all’umanità ed essere “il faro di Cristo, un faro di amore e misericordia, compassione, giustizia e inclusione”.