Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Grazie” ripete tante volte l’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč, Sviatoslav Shevchuk. Grazie al Papa, per aver allertato il mondo sulla “minaccia globale” che il conflitto in corso in Ucraina esattamente da sei mesi rappresenta. Grazie a tutti i sacerdoti, monaci, vescovi che non hanno abbandonato il popolo sotto le bombe. Grazie all’Europa, che ha aperto le porte ai profughi ucraini accogliendoli a volte nelle loro stesse famiglie. Al telefono con i media vaticani tramite i quali invia “benedizioni da Kiev”, il capo della chiesa greco-cattolica ucraina rilancia l’invito alla solidarietà internazionale e, alzando lo sguardo alla dimensione trascendentale di quella che il Papa ha stigmatizzato come una barbarie, afferma che la guerra è un “mistero del male”, fuori da ogni regola e controllo umano. Anche di chi l’ha provocata. “Solo Dio – dice – potrà aprire la strada per costruire la pace in mezzo a questa guerra”.
Beatitudine, in che modo la Chiesa ucraina ha continuato a vivere la sua missione in guerra, a portare concretamente aiuto nelle zone di combattimento e consolazione a chi ha visto morire i propri amici, vicini, familiari?
Anzitutto bisogna dire che la Chiesa fa parte del popolo ucraino: siamo il popolo sofferente, il popolo che è stato aggredito, vittima di questa aggressione ingiusta. In questa consapevolezza, il popolo ci ha sempre dato gli orientamenti sul modo in cui dobbiamo svolgere la nostra missione. Io chiamo questo il sacramento della presenza. È importantissima per la nostra gente, soprattutto nelle zone di combattimento ora occupate, la presenza visibile di sacerdoti, monaci, vescovi. Siamo rimasti con loro. E questa presenza della Chiesa per la gente semplice rappresenta la presenza del Signore. Perché la prima domanda della popolazione è stata: “Ma il Signore dove sta? In queste condizioni drammatiche, quando ogni giorno ci ammazzano, dov’è Dio?”. A questa domanda esistenziale, la presenza della Chiesa ha dato una risposta. E questa presenza porta sempre a un’azione pastorale: siamo riusciti a creare una rete di comunicazione e anche strade per inviare gli aiuti umanitari. Siamo riusciti a essere flessibili per analizzare ogni giorno la situazione umanitaria che cambiava rapidamente, per poi rispondere adeguatamente. Alle persone che avevano bisogno di essere evacuate, abbiamo offerto il trasporto; a chi necessitava viveri, abbiamo dato cibo e altri aiuti; a coloro che avevano bisogno di essere protette, abbiamo dato riparo nelle nostre chiese, nei monasteri usati come rifugi antiaerei. Questa è stata la nostra risposta: unanime, spontanea, senza comandi espliciti.
In sei mesi di combattimenti lei non ha mai smesso di ripetere che la guerra “può e deve essere vinta con la pace di Dio” e che “oggi questa parola – pace – è uguale alla parola amore”. Cosa vuol dire questo per un popolo che ogni giorno, come diceva, fa i conti con le bombe e con la morte?
Come pastori vediamo che il popolo è dominato dall’angoscia, dalla paura e dalla rabbia. E c’è chi lo tenta fomentando l’odio nei confronti di chi ci assale. Perciò noi pastori stiamo predicando il Vangelo della pace. Proprio rispondendo a questi sentimenti della gente, testimoniamo il Dio che è amore, il Dio che è fonte della pace.
Anche il Papa ha messo l’Ucraina al centro fin dal primo giorno di guerra con continue richieste di pace e iniziative di aiuto. Ma la preoccupazione principale di Francesco è globale: è il mondo intero, ha detto, a essere minacciato da questa barbarie. Come risuonano in lei queste parole?
Siamo molto grati a Papa Francesco di farsi nostra voce in questo senso. Il Papa, in quanto Successore di Pietro, ha il dono particolare di vedere nella situazione che viviamo noi in Ucraina una minaccia globale. Perché la guerra in Ucraina affligge il tessuto stesso dell’umanità; questi crimini colpiscono non soltanto gli ucraini, ma il mondo intero. Perciò siamo veramente grati al Santo Padre per essere il nostro portavoce, anche per scuotere le coscienze dell’Occidente e del mondo chiedendo preghiere per l’Ucraina e solidarietà universale con il popolo.
Lei stesso in questi sei mesi, anche sotto i bombardamenti, non ha mai smesso di far sentire la sua voce e il suo sostegno con i messaggi quotidiani agli ucraini e non solo. Personalmente, cosa le ha dato forza in questa tragedia?
La forza che mi è stata donata in questi mesi è quella della responsabilità pastorale: mi sono sentito responsabile non solo per me, ma soprattutto per il popolo. Perciò ho cercato anzitutto di salvare le persone. Anche con i messaggi che quotidianamente stiamo diffondendo, accompagniamo la nostra gente. Molti hanno detto che questi messaggi sono per loro fonte di incoraggiamento.
L’Ucraina ha visto milioni di suoi connazionali vivere l’angoscia della fuga e insieme la solidarietà e l’accoglienza in tanti Paesi. Cosa si sente di dire a chi ha aperto le porte alle famiglie ucraine?
Dal profondo del nostro cuore esce una parola di gratitudine: grazie. Mi rendo conto che è troppo poco dire solo “grazie”, ma siamo davvero molto grati per questa apertura. In Europa ci sono campi profughi per gli ucraini, ma tanta gente ha aperto innanzitutto i loro cuori, poi le porte delle case, le loro famiglie e così la solidarietà si è dimostrata un valore cristiano per eccellenza. Preghiamo il Signore affinché benedica tutti coloro che hanno saputo dare una mano al popolo ucraino sofferente in questo momento.
“L’uomo – ha detto sempre lei in diverse occasioni – purtroppo, sa come iniziare le guerre, ma poi diventa schiavo della guerra”. Cosa spera possa mettere fine a questa schiavitù?
Noi sperimentiamo in modo diretto che la guerra è il mysterium iniquitatis di cui parlava San Paolo: è veramente un mistero del male che si spalanca in questo mondo. Quell’aggressore che incomincia la guerra, vive l’illusione che può dominare le regole della guerra, ma è, appunto, un’illusione. Perché già dal primo sparo la guerra va fuori dal controllo umano. E lo stesso aggressore diventa schiavo del demonio che ha fatto uscire dal suo cuore. Perciò ogni giorno nella preghiera del Padre nostro diciamo “liberaci dal male”. Dio è la fonte della pace, è il Signore della pace. Crediamo che soltanto Lui può mettere fine a questo mistero dell’iniquità.