Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
Festeggiare il Natale ci dà la certezza di non essere mai soli e ci dà la forza per non temere di guardare al futuro. E il motivo è che Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Questo il centro della riflessione dell’arcivescovo maggiore di Kiev-Halyic, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, nel giorno in cui anche i fedeli greco cattolici dell’Ucraina festeggiano il Natale, come molte Chiese d’oriente, cattoliche e ortodosse, in quanto seguono il calendario giuliano.
All’Angelus di domenica scorsa il saluto e l’augurio del Papa “di un Santo Natale nella luce di Cristo nostra pace e nostra speranza”. Nelle parole dell’arcivescovo anche il frutto principale che un periodo difficile come questo, segnato dalla pandemia, sta portando: la certezza che solo la solidarietà ci salverà, solo la scoperta della nostra comune appartenenza alla famiglia umana, con tutta la sua dignità ma anche con la sua vulnerabilità:
R. – Quest’anno Il Natale è veramente particolare. Anzitutto perché lo celebriamo nel contesto della pandemia, cioè di un problema che ha toccato tutto il mondo. Ma proprio il Natale per noi è la fonte della speranza, perché la speranza nasce dalla fede e noi cristiani vediamo in questo Bambino, il Dio fatto carne. Proprio questa fede natalizia ci dà la speranza, ci dà la luce, ci dà la sicurezza che anche nell’anno che viene saremo insieme con Lui, non saremo abbandonati. Nel Signore nato in Betlemme, è la nostra speranza.
Lei di solito trascorre il Natale nella sua terra, con la sua comunità. Qual è, in particolare, il suo messaggio di auguri che rivolge ai fedeli dell’Ucraina e di tutta la vostra regione, ferita dalla guerra e dalla povertà, ma anche forte nella fede?
R. – Il messaggio natalizio è ‘non abbiate paura, non temete!’. Sono le parole dell’Angelo che si è rivolto ai pastori che vigilavano sui loro greggi. L’angelo dice:”Non temete, perché vi annuncio una grande gioia che sarà la gioia per tutto il popolo”. Ecco, proprio il popolo ucraino teme, ha tante paure perché non ha sicurezze umane per il prossimo anno. Ci sentiamo veramente impauriti di fronte al nostro futuro. Ma proprio queste parole dell’angelo nel Natale, rivolte a tutti noi, ci rincuorano “Dio è con noi”. Ci fanno capire che possiamo vincere la paura solo capendo che il nostro futuro non è apocalittico, nel senso della distruzione della civiltà, della morte o dei disagi. No, il nostro futuro è Cristo. Lui è il centro e il vertice della storia umana e questo futuro non dobbiamo temerlo perché ci viene presentato come un tenero Bambino.
Abbiamo parlato dell’anno che si è chiuso. Un anno segnato anche da una nuova enciclica del Papa e da un messaggio forte di Fratellanza. Ci siamo sentiti tutti, anche per la situazione che stiamo vivendo, più uniti, più vicini. Il Papa dice che “Siamo tutti sulla stessa barca”. In generale, quale insegnamento possiamo trarre da questo, come far fruttare questo momento?
R. – Innanzitutto quest’anno, come mai in precedenza, abbiamo capito che tutti noi uomini siamo parte di una stessa natura umana. L’individualismo estremo della cultura moderna talvolta ci ha fatto dubitare dell’esistenza di qualcosa che unisce tutti gli uomini. Esiste un tessuto unico e fondamentale dell’umanità? Esiste o no? Oggi proprio l’esperienza del coronavirus ha mostrato che noi tutti siamo uguali e vulnerabili. Secondo me il grande frutto della pandemia è la riscoperta della comune natura umana, della comune debolezza che ci fa tutti parte dell’essere umano con la sua dignità. E proprio questa comunanza nella natura umana, nell’umanità come un insieme, è il fondamento della Fratellanza. Altrimenti tutte le affermazioni che il mio vicino è il mio fratello, è mia sorella, restano un po’ teoriche. Oggi invece abbiamo sperimentato che da soli non sopravviveremo, proprio come dice il Papa. La solidarietà che si fonda sulla nostra storia comune, la nostra comune natura umana ci dà il fondamento per vedere in ogni essere umano il mio fratello o la mia sorella. Solo la solidarietà ci darà speranza di sopravvivere questa pandemia.
Immagino quindi che sia questo anche l’augurio che lei rivolge al mondo in questo santo Natale?
R. – Io mi auguro che il mondo riscopra che siamo tutti parte di una stessa natura umana che soffre e gioisce insieme. Una natura umana che condivide le tristezze e le speranze. Siamo tutti appartenenti ad una stessa famiglia umana che proprio in questo contesto è stata per noi il nostro “ospedale da campo”, una famiglia umana che è anche, diciamo, il focolare della Chiesa di Cristo.