Sgombero di un insediamento di profughi a Rodi

Vatican News

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

Il crescere dei flussi migratori nel Mar Egeo rende sempre più difficile l’accoglienza dei profughi nelle isole greche e ripropone l’urgenza dell’appello umanitario lanciato cinque anni fa a Lesbo da Papa Francesco. Nella sua visita del 2016 il Pontefice chiedeva responsabilità e solidarietà di fronte alle condizioni dei migranti forzati, spesso disperati per i disagi materiali e le incertezze sul loro futuro. “L’Europa è la patria dei diritti umani e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare”, aveva detto Francesco incontrando la cittadinanza di Lesbo, il 16 aprile 2020. Oggi il suo monito suona tristemente attuale di fronte alla vicenda raccontata ai microfoni di Radio Vaticana da fra John Luke Gregory, francescano della Custodia di Terra Santa, Vicario generale dell’Arcidiocesi di Rodi, che dal 2004 svolge il suo ministero su questa isola greca a pochi chilometri dalle coste turche.

L’intervista a fra John Luke Gregory

L’arrivo dei bulldozer

“Giorni fa, all’inizio del Ramadan stavo portando come ogni anno un po’ di dolci arabi ai bambini delle famiglie di profughi che vivevano da tempo nelle baracche improvvisate nell’area dell’ex-mattatoio dell’isola. Si trattava di un insediamento spontaneo di circa 250 persone, di cui 25 minori”, racconta il religioso francescano. “Sono rimasto sorpreso nel vedere molte macchine della polizia e poi ho capito che le autorità stavano smantellando il campo con i bulldozer e portando via i profughi con degli autobus”. “Allora sono corso al porto in tempo per vedere i rifugiati che venivano trasferiti sulle navi. I bambini mi chiamavano disperati – “Baba, baba (padre) aiutaci” – e devo dire che è stata per me una scena molto dolorosa”.

Da Rodi ad Atene

Fra John Luke con i suoi confratelli, e l’aiuto della Ong Pro Terra Sancta, assiste da anni i migranti che giungono in Grecia dalla Siria, l’Iraq, Gaza, ma anche dalla Somalia, con la speranza di farsi una nuova vita in Europa. Ora è molto preoccupato per la sorte di questo gruppo di rifugiati che, dopo lo sgombero del campo di Rodi, è stato inizialmente spostato nel centro di accoglienza dell’isola di Koos e poi ad Atene.

Non numeri, ma persone

“Ora hanno ricevuto i documenti come richiedenti asilo e possono circolare liberamente ma il dramma è che non sanno né dove, né come guadagnarsi da vivere”, ci spiega. Il francescano ha saputo che molti rifugiati adulti hanno trovato posto in un campo della capitale greca, ma teme che molti minori siamo finiti in strada. “Il paradosso – racconta – è che un piccolo gruppo di questi profughi è riuscito a tornare qui a Rodi e ora noi stiamo cercando di trovargli un posto dove stare: un appartamento o una sala parrocchiale. Raccogliamo cibo, medicinali, sapone, vestiario per poterli aiutare. Ma qui abbiamo anche più di cinquecento poveri locali da assistere, manca il lavoro e la pandemia rende tutto più difficile”. A metà maggio dovrebbe riprendere la stagione turistica e quindi portare un po’ di lavoro a Rodi, ma assistere i rifugiati in queste condizioni è certamente arduo. “Papa Francesco lo aveva sottolineato con chiarezza a Lesbo cinque anni fa – conclude fra John Luke – le preoccupazioni delle istituzioni e della gente sono comprensibili ma “i migranti prima di essere numeri sono persone”.