OSSERVATORE ROMANO
«Ecco: mi piacerebbe, terminando, d’essere nella luce» scriveva Paolo VI nel suo Pensiero alla morte. Oggi egli «è nella luce», ha commentato il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, durante l’omelia della messa celebrata ieri mattina, 6 agosto, nella Cappella ungherese delle Grotte vaticane — a pochi passi dalla tomba del Pontefice bresciano — in occasione dell’anniversario della morte, avvenuta nel giorno della festa della Trasfigurazione di 43 anni fa.
Riferendosi proprio a quell’episodio evangelico, il porporato ha richiamato l’immagine della «nube luminosa» che «coprì i discepoli con la sua ombra» e che adesso «riveste anche lui». Offre questa sicurezza, ha spiegato, «la voce della Chiesa, che Paolo VI ha molto amato», come egli stesso assicurava: «Potrei dire che l’ho sempre amata… Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse». E «la Chiesa oggi lo sa meglio di ieri».
Il cardinale ha poi lasciato spazio ai ricordi personali, confidando che la consuetudine di celebrare la messa nell’anniversario della morte di Papa Montini risale all’inizio del suo ministero episcopale ad Albano, quando ogni anno presiedeva il rito liturgico nella chiesa parrocchiale di Castel Gandolfo, la cittadina dove Paolo VI morì nel 1978. «Con la beatificazione e la canonizzazione — ha spiegato — quest’uso è venuto meno, essendoci ormai il giorno della memoria liturgica, ma il ricordo rimane e ancora più luminosa e diventata ai nostri occhi l’immagine di questo grande Papa».
In particolare Semeraro ha ricordato «con commozione» quando l’allora direttore delle Ville pontificie, Saverio Petrillo — presente ieri alla celebrazione insieme con il figlio di Franco Ghezzi, aiutante di camera di Paolo VI, e con la storica Eliana Versace — lo accompagnò nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo per mostrargli il letto dove il Pontefice era spirato. «Il ministero episcopale in Albano — ha sottolineato rievocando «con emozione» anche i ricordi personali confidatigli dallo stesso Ghezzi — mi ha aiutato a crescere e maturare nel mio amore per Paolo VI e di ciò sono grato al Signore». Ed «è anche per questo — ha aggiunto — che, mentre mi accingo a lasciare quella cara diocesi dopo la chiamata del Santo Padre Francesco a una nuova missione, ho fortemente desiderato l’odierna celebrazione».
Il prefetto si è detto certo che il racconto evangelico della Trasfigurazione «dovette rimanere impresso nella mente e nel cuore» di Giovanni Battista Montini. «Sappiamo — ha fatto presente — che, nominato arcivescovo di Milano, avrebbe voluto come suo motto le parole che leggiamo nella seconda lettera di Pietro: cum ipso in monte sancto (1, 18)», ma «ne fu dissuaso, perché il testo pareva più adatto a un contemplativo, piuttosto che a un vescovo». E tuttavia, ha proseguito, Paolo VI «fu un contemplativo ed io sono personalmente convinto che la chiave di lettura della gran parte dei suoi scritti, specialmente privati, sia proprio la mistica». Non a caso, ha aggiunto, per la pubblicazione della sua prima enciclica Ecclesiam suam egli scelse proprio la data della festa della Trasfigurazione, il 6 agosto 1964.
Quel documento, ha rimarcato il cardinale, è ricordato «come l’enciclica del dialogo». E se «Mosé ed Elia parlano con Gesù, se il Padre dal cielo rivolge la sua voce agli uomini — ha fatto notare — vuol dire che nel Paradiso non c’è soltanto il coro degli angeli che canta» ma «c’è pure il dialogo tra i santi»: immersi come sono «nell’amoroso dialogo trinitario, anche i santi del paradiso dialogano». Dunque, «se ancora oggi, come auspicava Paolo VI, la Chiesa sulla terra vuole farsi parola, messaggio e colloquio, deve avere nei “dialoghi” della Chiesa del cielo la sua ispirazione, il suo modello, il suo criterio».
Del resto, la stessa pagina evangelica della Trasfigurazione «è ricca di dialoghi»: c’è, anzitutto quello di Elia e Mosè con Gesù»; poi c’è Pietro che prendendo la parola dice: «Rabbì, è bello per noi essere qui»; interviene, quindi, «la voce del Padre, che indica Gesù e incoraggia ad aderire alla sua parola: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”»; da ultimo, lo stesso Gesù «si rivolge ai tre discepoli, che aveva portato con sé sull’alto monte, per ordinare loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto», o, come dice un’antifona liturgica, di «non rivelare la gloria del Figlio dell’uomo, prima che sia risorto dai morti».
Benché ricco di parole, il contesto «della storia evangelica è, dunque, l’atmosfera dell’indicibile». I discepoli «si sentono posti di fronte ad un limite». Erano tutti e tre spaventati e Pietro «non sapeva che cosa dire»; anche quando, «nella discesa dal monte, Gesù parla con loro, dice parole colme di mistero: cosa vuol dire “risorgere dai morti”?». Per capire tutto ciò, ha commentato Semeraro, «avranno bisogno dello Spirito».
In conclusione, nell’esortare a «ringraziare il Signore per il dono fatto alla Chiesa nella persona di san Paolo VI», il porporato ha invitato a «pregare per il nostro Santo Padre, il Papa Francesco», sottolineando che molte delle sue parole vanno lette «in continuità col magistero di Paolo VI e quale suo sviluppo». Di questo «caro santo — ha aggiunto — invochiamo pure l’intercessione, perché anche in noi s’accrescano l’amore, la fedeltà, la dedizione per la santa Chiesa».