Federico Piana- Città del Vaticano
Nelle celebrazioni, torna lo scambio del segno di pace ma, per ora, completamente rinnovato. Lo hanno deciso i vescovi italiani stabilendo che, da domenica 14 febbraio, ai fedeli basterà guardarsi negli occhi accompagnando il gesto con un semplice inchino del capo. La Conferenza episcopale italiana, con una nota, ha ribadito la temporaneità del provvedimento, legata all’emergenza sanitaria, e ha ricordato come non appare opportuno “nel contesto liturgico sostituire la stretta di mano o l’abbraccio con il toccarsi con i gomiti” mentre il prendere un contatto visivo con il proprio fratello “può essere un modo sobrio ed efficace per recuperare un gesto rituale”.
Gesto diverso secondo le culture
“In fondo, questa possibilità è già prevista dalla Chiesa perché nel Messale c’è scritto che si deve fare il gesto di pace secondo il costume locale”, spiega padre Edward McNamara, docente di Liturgia e Teologia all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e direttore dell’Istituto Sacerdos. La stretta di mano, in uso in Italia, non è l’unico ‘segno’ : in molti Paesi, di diverse culture, ce ne sono altri, differenti. “Ad esempio – dice il teologo – in quasi tutta l’Asia c’è l’usanza di fare un inchino, inclinando in avanti la testa, e poi guardarsi negli occhi. Una ritualità comune anche ad alcune nazioni dell’est Europa”.
Non cambia il significato
Quello che rimane inalterato è il significato profondo del gesto. “Non ha un valore meramente sociale – afferma McNamara – ma rappresenta la condivisione della pace che ci dona Cristo. Si tratta della nostra profonda unione in Cristo. Non si riduce solo al fatto, bellissimo, di volerci bene tra di noi”.
Una storia che risale ai primi cristiani
La storia del segno di pace risale ai primi cristiani. Padre McNamara racconta che “già San Paolo consigliò di salutarsi con il bacio della pace. Così, questa esortazione dell’Apostolo delle genti, è stata ben presto incorporata nei gesti liturgici”. Tracce storiche si trovano anche in numerosi documenti antichi come la Didachè, la Dottrina dei dodici apostoli, datata tra la fine del primo secolo e l’inizio del secondo. “Ed è così che – aggiunge McNamara – questa ritualità non ha mai smesso di esistere nelle Chiese orientali. Solo nella nostra tradizione latina, nel periodo finale del Medioevo, fu riservata al clero e ridotta ad un gesto con il quale si baciava una tavoletta – d’avorio o di legno – sulla quale era incisa la parola pace”.
La riscoperta del Concilio Vaticano II
Fu il Concilio Vaticano II a ripristinare, per il popolo dei fedeli, l’antica tradizione dello scambio della pace introducendo il gesto familiare della stretta di mano. “ In effetti –precisa il teologo – fu la restaurazione di un gesto antichissimo. Ora però, che per il momento non possiamo stringerci la mano, dobbiamo pensare che il guardarsi negli occhi non tradisce il senso dell’atto ma, forse, rappresenta un modo più intenso di scambiarci davvero la pace”.