Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“Non un pugno nello stomaco”. Consuelo Corradi, una delle curatrici della mostra: “Segni. Un progetto fotografico sulla violenza contro le donne”, fino al 13 marzo presso Palazzo Braschi di Roma, sottolinea che le pose non vogliono “provocare” ma evocare, capire cosa la foto suscita in chi guarda.
L’iniziativa è realizzata dal Cortile dei Gentili, dalla Consulta femminile del Pontificio Consiglio della Cultura, con la collaborazione del Centro Donna Lilith di Latina. Le due fotografe: Simona Ghizzoni e Ilaria Magliocchetti Lombi, hanno realizzato i 42 scatti che compongono la mostra, nella quale l’immagine si fonde al racconto delle storie di 4 donne diverse. Un racconto di riscatto. “Simona Ghizzoni – si legge in un comunicato – ha rivissuto su di sé i racconti ascoltati, ripercorrendo le esperienze vissute; Ilaria Magliocchetti Lombi si è soffermata invece sui luoghi, gli oggetti, gli spazi familiari, dove la violenza è esplosa”. L’obiettivo si posa su particolari apparentemente trascurabili che invece “si sono rivelati essere i segni da cogliere come indizi per individuare tempestivamente comportamenti o dinamiche violente”.
La tenda rossa per far entrare la luce
“La mostra – spiega Alessandra Mauro, membro della Consulta femminile e curatrice del progetto – non è tanto per raccontare la violenza contro le donne ma creare un progetto che potesse essere indirizzato soprattutto alle scuole, perché si potesse, tramite un linguaggio che tutti quanti conoscono e utilizzano come la fotografia, arrivare a comprendere quali sono i segni della violenza”. “La scelta della fotografia è dettata dal fatto – prosegue – che è un linguaggio estremamente immediato e può anche essere estremamente evocativo e metaforico. Le fotografie sono molto lontane dalla cronaca perché ci interessava più che altro il lavoro di elaborazione delle storie attraverso l’immagine”.
A testimoniare l’efficacia della scelta sono le reazioni dei ragazzi come quelli di due scuole siciliane: l’Istituto Comprensivo Statale Margherita di Navarra, a Monreale, e il Liceo Scientifico Statale Galileo Galilei di Palermo. “Sono venuti fuori dei percorsi molto interessanti” come poesie e anche canzoni ma anche piccoli spettacoli. Le fotografie spesso sono legate alla casa, luogo di violenza ma anche rifugio, per Alessandra Mauro la posa più emblematica mostra due mani che spostano una grande tenda rossa come a squarciare un velo, “che portano la luce in una realtà dove a volte la luce non c’è”.
Storie di speranza
“Ho voluto accompagnare le foto alle storie di quattro donne – spiega Consuelo Corradi, docente di sociologia alla Lumsa e curatrice della mostra – gli scatti sono evocativi ma non si vedono i lividi, le ferite fisiche, richiamano degli stati d’animo e dei punti di svolta nelle vite delle donne. Le immagini possono rappresentare anche gli stati d’animo di tante cose ma è importante il racconto. La fotografia ha una grande forza: ognuno la legge e ognuno ci mette qualcosa e penso che il contributo che ho offerto è stato quello di dare una chiave, di fornire un approfondimento del fenomeno. Abbiamo accompagnato la mostra con delle pubblicazioni, dei dati scientifici anche fuori dall’Italia”. Riscatto è una delle pieghe per leggere la storia delle donne protagoniste della mostra; donne di età diversa, di nazionalità diverse ma “il punto in comune – afferma la dottoressa Corradi – è che si può uscire dalla violenza, quindi sono tutte storie di speranza”.
La curatrice si sofferma sulle nuove generazioni, destinatarie del messaggio della mostra, sottolineando che i ragazzi sono informati sul fenomeno della violenza, “quello che manca – aggiunge – è quello che noi abbiamo cercato di fornire ovvero i momenti di riflessione, il fermarsi un momento a pensare: questa immagine cosa evoca in me?”. “Abbiamo voluto offrire ai ragazzi la possibilità di ripercorrere queste vite sapendo che ci sono dei segni e sapendo che si può uscire dalla violenza. Ognuno di noi può fare qualcosa, per esempio, se io conosco una ragazza che è vittima o un ragazzo che comincia ad avere un comportamento aggressivo, se io sono un amico o un’amica lo posso fermare, parlarci, fallo riflettere. Intorno alle vittime di violenza, c’è – conclude la dottoressa Corradi – una comunità che si deve attivare”.