Se l’ascolto diventa il cuore dell’informazione

Vatican News

Alessandro Gisotti

“Abbiamo due orecchie e una sola bocca, perché dobbiamo ascoltare di più e parlare di meno”. Questa celebre massima attribuita ora allo storico Plutarco ora al filosofo Zenone di Cizio ben si collega al Messaggio di Francesco per la Giornata delle Comunicazioni Sociali di quest’anno, pubblicato lunedì scorso – memoria di San Francesco di Sales – incentrato appunto sull’ascolto. Un tema, quest’ultimo, che il Pontefice ha più volte indicato come centrale per i professionisti dell’informazione (e non solo), ma che ora diventa ancora più urgente, in un tempo segnato dalla pandemia in cui il distanziamento sociale e l’isolamento non hanno fatto che aumentare l’esigenza di ascoltare sé stessi e gli altri. E’ cresciuto insomma quel “desiderio sconfinato di essere ascoltati” evocato dallo psichiatra Eugenio Borgna già da diversi anni. L’ascolto richiama il silenzio. Non puoi veramente ascoltare se il rumore copre la voce di chi ti sta parlando. Era il 21 aprile del 2020, in pieno lockdown, quando il Papa nella Messa mattutina a Santa Marta affermava: “In questo tempo c’è tanto silenzio. Si può anche sentire il silenzio. Che questo silenzio, che è un po’ nuovo nelle nostre abitudini, ci insegni ad ascoltare, ci faccia crescere nella capacità di ascolto”. Una capacità, “un’arte” avrebbe detto Goethe, di cui continua ad avvertirsi la necessità.

La massima citata all’inizio, che risale ad oltre duemila anni fa, sottolinea del resto come questa esigenza di fare spazio all’ascolto paziente, a volte faticoso, dell’altro abbia sempre accompagnato il cammino dell’umanità. Prima ascoltare, poi parlare. E tanto più vale per l’ascolto dell’Altro. Shema’ Israel, “Ascolta, Israele”: l’incipit del primo comandamento della Torah, osserva Francesco nel Messaggio, “è continuamente riproposto nella Bibbia, al punto che San Paolo affermerà che ‘la fede viene dall’ascolto’ (Rm 10,17). L’iniziativa, infatti, è di Dio che ci parla, al quale noi rispondiamo ascoltandolo”. L’ascolto porta dunque naturalmente, e inevitabilmente, con sé il tema dell’incontro. Questione cruciale nella vita dell’uomo, che nell’era dei social media sempre più pervasivi, della disintermediazione digitale e dell’irrompere dell’intelligenza artificiale si è arricchita di significati e sviluppi di particolare complessità.

Cosa possono fare quindi i mass media, o meglio gli operatori dell’informazione per rispondere a questa “sfida” dell’ascolto, in un contesto così fluido e soggetto a rapidi e spesso turbolenti cambi di direzione? La “bussola” che Francesco offre per orientarsi è in fondo semplice: la persona (parola citata 6 volte nel documento). Se infatti nel Messaggio dell’anno scorso incoraggiava i giornalisti ad andare a vedere le storie delle persone laddove si trovano – a “consumare le suole delle scarpe” – quest’anno sottolinea che “per offrire un’informazione solida, equilibrata e completa è necessario aver ascoltato a lungo”. Il Papa propone una sorta di ascolto-terapia anche per curare quei mali dell’informazione che lui stesso ha più volte denunciato. Ascoltare non è origliare “strumentalizzando gli altri per il nostro interesse”, avverte in questo Messaggio. E con sensibilità giornalistica annota che “per raccontare un evento o descrivere una realtà in un reportage è essenziale aver saputo ascoltare, disposti anche a cambiare idea, a modificare le proprie ipotesi di partenza”.

Le esperienze positive non mancano. Da programmi radio che si mettono in ascolto del disagio giovanile ai giornali locali (fondamentale l’esperienza sul territorio) che fungono da megafono di chi non ha voce e ancora ad “esperimenti sociali” sul terreno della comunicazione digitale dove la creatività trova spazi inesplorati. Non meno significativo – come sottolineava in una intervista proprio ai media vaticani il direttore generale della European Broadcasting Union, Noel Curran – è il rinnovato protagonismo del servizio pubblico chiamato, per natura e statuto, proprio ad ascoltare le esigenze delle persone e delle comunità. Durante la pandemia, ne è convinto il capo della EBU, i media pubblici “sono diventati un portale per la popolazione”. A questi media, come ad ognuno di noi (perché tutti siamo esseri comunicatori), il Papa chiede di rimettere al centro la persona. E di scommettere sulla relazione che inizia sempre inclinando l’orecchio del cuore per farci prossimi a chi incontriamo sui crocevia della nostra esistenza.