Eliana Astorri- Città del Vaticano
L’indagine del Bambino Gesù ha coinvolto 66 pazienti di età compresa tra 1 e 15 anni ricoverati nel Centro Covid del Bambino Gesù di Palidoro nell’estate del 2020. La ricerca è stata promossa dal gruppo di studio “CACTUS – Immunological studies in children affected by COVID and acute diseases”, creato da medici e ricercatori del Dipartimento Pediatrico Universitario Ospedaliero del Bambino Gesù nel pieno dell’emergenza sanitaria. Il dato di fatto è che la maggior parte dei bambini rispondono in modo positivo all’attacco del virus grazie alle loro caratteristiche immunologiche. Si tratta di una grande quantità di linfociti T e B, specifici contro il nuovo coronavirus, in grado di produrre un gran numero di anticorpi atti a neutralizzare il virus. Il professor Paolo Palma, responsabile di Immunologia Clinica e Vaccinologia dell’Ospedale della Santa Sede e dello studio condotto, ci spiega perché i bambini se contagiati dal Covid, hanno sintomi lievi e un decorso di malattia veloce:
R. – La domanda è chiaramente molto interessante il motivo per cui i bambini, un sottogruppo di bambini, riescono a controllare più rapidamente il virus è legata al loro sistema immunitario. Esiste un gruppo di bambini che produce una risposta cellulare più efficace, in tempi più brevi rispetto agli adulti, così come ad altri bambini, e questo fa sì che siano in grado di produrre anticorpi neutralizzanti per il controllo il virus in maniera molto rapida. Oltre questo aspetto, esistono anche chiaramente delle altre motivazioni che vanno ricercate nella biologia, nella distribuzione di alcuni recettori che in età pediatrica che è progressiva con l’età, così come alcuni aspetti ormonali che sono molto importanti, stiamo studiando sempre più, stiamo capendo sempre di più il loro ruolo nell’evoluzione clinica in ambito pediatrico. Sicuramente in questo studio noi dimostriamo in maniera chiara come, in effetti, esista una correlazione tra capacità di produrre anticorpi neutralizzanti e controllo del virus, cioè chi produce questi anticorpi neutralizzanti, controlla il virus a livello nasale in maniera più efficace e questo è molto importante perché determina di base una capacità dell’individuo di controllare il virus, di non trasmetterlo e quindi questo ci permette di introdurre un criterio anche immunologico, e non solo epidemiologico, per cercare di limitare il più possibile l’intervento di quarantena, quindi in qualche maniera personalizzare le misure restrittive, basandoci, non solo su criteri epidemiologici, ma anche su dei criteri immunologici.
Stiamo parlando dei linfociti T e B. A cosa è dovuta la presenza di queste caratteristiche nel bambino?
R. – Molto probabilmente un ruolo importante è giocato dalla pregressa esposizione che questi bambini hanno avuto agli altri beta-coronavirus. I dati recenti dimostrano come in effetti uno studio, cosiddetto mapping-molecolare della risposta T verso il virus di SARS-Cov-22, in effetti l’esposizione agli altri beta-coronavirus determina una certa quota di cellule che è in grado di reagire contro SARS-Cov-2, un concetto un po’ difficile, ma di base vuol dire che se tu sei stato esposto a virus simili, il tuo sistema immunitario in qualche maniera riconosce più prontamente quel virus che è un cugino del virus attualmente circolante. Questo è un elemento da considerare, esistono sicuramente degli elementi genetici. E comunque, il fatto che molti di questi soggetti abbiano avuto anche un’esposizione intrafamiliare può giocare, anche questo, un ruolo. Quindi, in parole povere, un soggetto che ha una esposizione al virus e ha una memoria di questa esposizione reagisce rapidamente e più rapidamente risponde producendo una risposta che è protettiva, quindi in grado di controllare la replicazione virale.
E’ questo il motivo per cui il bambino non ha modo di contagiare gli altri?
R. – In realtà non è proprio così, nel senso che questi bambini, nello specifico questi bambini che hanno attività neutralizzante riescono a non trasmetterlo, ma in realtà, ci sono degli studi molto belli di epidemiologia e infettivologia che sono stati pubblicati già il mese scorso sulla rivista “Lancet”, che hanno dimostrato come il bambino sia assolutamente in grado di trasmettere il virus, anzi gioca un ruolo fondamentale nella trasmissione del virus a livello intrafamiliare, soprattutto i bambini in età adolescenziale. Questa problematica proprio apre, diciamo, la discussione sull’indicazione vaccinale anche in età pediatrica per l’appunto. Quando vaccinare i bambini? E’ giusto vaccinare i bambini? Se il nostro obiettivo è la riduzione della circolazione del virus nei nuclei familiari e l’altro grosso obiettivo dovrebbe essere la riapertura delle scuole in maniera evidente, perché, come noi sappiamo bene, ci sono tutti i problemi correlati alla mancata scolarizzazione ora l’introduzione nella comunità scolastica dei nostri giovani – e di ieri la notizia del collega del Bambin Gesù, il professor Cappa, di un aumento, per esempio, dei casi di pubertà precoce che sono più che raddoppiate in seguito appunto alle misure di restrizione e c’è un numero che è in progressivo aumento di disturbi neuropsichiatrici correlati anche alle misure restrittive – quindi, chiaramente, il focus su cosa fare e come utilizzare la vaccinazione in ambito pediatrico è sicuramente aperto. Gli altri paesi stanno andando in direzione di una vaccinazione dei ragazzi, però questo avverrà non prima di settembre. Per esempio, il collega Anthony Fauci, il professore responsabile delle misure correlate all’utilizzo anche del vaccino Moderna, sviluppato in America, ha proposto e stanno lavorando per una vaccinazione di massa di questa, diciamo, fascia di età, cioè, i teenagers, in cui in realtà l’indicazione verrà non prima del prossimo autunno, quindi da settembre. L’idea è quella di andare nella direzione della vaccinazione di questi gruppi proprio con l’idea di ridurre la circolazione del virus all’interno delle famiglie e permettere, quindi, anche una progressiva normalizzazione di nuovo di quella che è la vita scolastica e la vita familiare.
E’ questa la prospettiva che apre lo studio da lei condotto?
R. – Apre due prospettive importanti: una è la possibilità in corso di studi vaccinali di capire che cosa andare a misurare per vedere se il vaccino sta funzionando o meno. Quindi il fatto che degli individui controllino più rapidamente il virus perché hanno queste cellule a livello periferico ci permette di ricercare questa stessa informazione nei soggetti vaccinati, che è lo scopo della vaccinazione. I nostri dati sugli operatori sanitari prodotti qui al Bambino Gesù vanno in questa direzione, cioè, in effetti i colleghi operatori sanitari che hanno fatto il vaccino hanno sviluppato più o meno con le stesse tempistiche una risposta cellulare che in qualche maniera è predittiva di una risposta anticorpale. Ora, chiaramente, la vaccinazione nell’età pediatrica dovrà essere fatta, ma anche qui va studiato attentamente per cercare di capire se sia efficace e che tipo di risposta aspettarsi. E proprio in quest’ottica va il nostro studio: identificare quelle che sono dei cosiddetti biomarcatori che ci permetteranno di valutare come sta andando la risposta vaccinale in ambito pediatrico, quali siano i soggetti protetti e la sfida un po’ del nostro gruppo di ricerca è quello che predire la risposta al vaccino, quindi identificare quelli che sono gli elementi che poi ci dicono se un soggetto sarà più o meno protetto in seguito alla vaccinazione e prima di fare la vaccinazione stessa. E questo è un aspetto. Il secondo aspetto, questo molto attuale, è come gli anticorpi neutralizzanti, in realtà, sono in grado, sono correlati a un controllo della replicazione virale e quindi anche a un controllo in qualche maniera della trasmissione del virus, questo fa supporre che chiaramente anche i famosi anticorpi monoclonali che si basano su un sistema di replicazione di questi anticorpi che in realtà vengono elicitati in corso di infezione naturale, possano essere efficaci anche in età pediatrica e quindi chiaramente, in casi selezionati, va valutato attentamente l’utilizzo di anticorpo monoclonale anche in fasce pediatriche.