A cento anni dal martirio di don Giovanni Minzoni in un agguato fascista, il cardinale Zuppi celebra una messa nel Duomo di San Nicolò ad Argenta e ricorda il sacerdote che nella notte dei totalitarismi continua a farci credere nella luce. Il 7 ottobre l’apertura dell’inchiesta diocesana della causa di beatificazione
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
“Un amico di Cristo, amico di Cristo, mai servo di idoli e ideologie, ma fratello dei più piccoli, attento a costruire un mondo dove tutti sono fratelli”. L’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, cardinale Matteo Maria Zuppi, definisce così don Giovanni Minzoni, ucciso da un agguato fascista la sera del 23 agosto 1923, martire dell’educazione dei giovani.
Il 7 ottobre l’apertura dell’inchiesta diocesana
Nel centenario il porporato ha presieduto questa sera una messa nella Collegiata di San Nicolò ad Argenta, in provincia di Ferrara e ha indicato in don Minzoni una “sentinella del mattino che nella notte continua a farci credere nella luce”. Al termine della celebrazione è stata annunciata la data di apertura dell’inchiesta diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione che avverrà il 7 ottobre nella memoria della Beata Vergine del Rosario quando don Minzoni diventerà Servo di Dio.
Ucciso dal fascismo che affrontò senza compromessi
“Prete appassionato, amante della Patria, pastore creativo e fedele, uomo di preghiera e attento ai problemi concreti con un’attenzione preferenziale per i poveri e i piccoli”, impegnato nel sostenere il Partito Popolare, “don Minzoni – ha detto Zuppi – è stato ucciso dalla violenza fascista e dalle complicità pavide di chi non la contrastò. Fascismo, che assume colori diversi, sistemi e burocrazie di ogni totalitarismo e diversi apparati, significa il disprezzo dell’altro e del diverso, l’intolleranza, il pregiudizio che annienta il nemico, il razzismo raffinato o rozzo che sia, la violenza fisica che inizia sempre in quella verbale e nell’incapacità a dialogare con chi la pensa diversamente. Minzoni lo affrontò senza compromessi, opportunismi, convenienze”.
Amore oltre la paura
“Il mondo odia la luce”, ha aggiunto l’arcivescovo di Bologna, “e così la teniamo nascosta, sotto il moggio, con una vita spenta di amore”, ma “chi ama dona tutto, come Gesù. L’amore non è mediocre perché è dare la vita”. Posto di fronte alla stretta finale don Giovanni Minzoni si disse pronto a morire. “È la libertà del cristiano e del testimone, cioè del martire”, ha sottolineato il porporato, “che non è un eroe, ma una persona che ama più delle sue paure e che non teme di entrare in conflitto con le ideologie totalitarie e neopagane, evidenti o nascoste”.
Amore e impegno sociale
“Don Minzoni non ha mai rinunciato a essere pastore di tutto il popolo, anche dei più distanti. Non c’erano lontani per lui. Proprio per l’amore cristiano è stato ucciso”. “Il cristiano Il cristiano, che impara ad amare perché ama Cristo ed è amato da Lui, distingue il peccato dal peccatore e non combatte il secondo pensando così di contrastare il primo, ma ama il peccatore proprio perché solo amando combatte il peccato”. Per il sacerdote, ha indicato il presidente della Cei, “amore significava impegno di annuncio del Vangelo, legame con la sua comunità, “battaglie” sociali per proteggere le persone, a partire dai più poveri. Egli fu martire dell’amore per la sua comunità, parroco senza riserve che volle una comunità parrocchiale aperta e sbilanciata sulla carità”.
Il cristiano, libero da ogni ideologia
“Nell’infamia del sospetto e delle accuse ad arte fatte crescere per isolarlo dalla Chiesa e da tutto il popolo”, ha ricordato Zuppi, “si disse che faceva politica e che quindi in fondo se l’era cercata. Se è così il cristiano se la cerca sempre perché chiamato a un amore incarnato, nella storia, senza limiti; perché chiamato a un amore, che Papa Francesco chiamerebbe politico, libero da ogni ideologia e da quegli ismi che intossicano i cuori, a iniziare dal primo, il più banale e pericoloso: l’egoismo”.
Martire dell’educazione
Mettere in pratica il comandamento dell’amore per don Minzoni, ha evidenziato il porporato, “significò educazione, cioè la creazione di un oratorio per i ragazzi e i giovani disorientati del Dopoguerra, alla ricerca di un “padre” e di valori stabili, evangelici, trascendenti, ben oltre le ideologie circolanti”. Da questa esigenza don Minzoni si impegno per nascita e la crescita dell’Azione Cattolica, dello scoutismo, ma fu anche particolarmente attento alla formazione delle donne.
L’arma della preghiera
Il cardinale Zuppi ha ricordato le parole pronunciate da don Minzoni pochi giorni prima di morire: “Ci prepariamo alla lotta tenacemente e con un’arma che per noi è sacra e divina, quella dei primi cristiani: preghiera e bontà. Ritirarmi sarebbe rinunciare a una missione troppo sacra. A cuore aperto, con la preghiera che spero mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo. La religione non ammette servilismi, ma il martirio”.
L’amore cristiano che non teme l’odio del mondo
Don Giovanni Minzoni appartiene, secondo l’arcivescovo di Bologna, a quella luminosa schiera di amici di Dio, che come ha scritto Papa Francesco istituendo la Commissione dei Nuovi Martiri, accompagnano la vita della Chiesa anche oggi e “ci insegna la forza dell’amore cristiano che non teme l’odio del mondo, seme di vita che non finisce”. Il porporato ha citato anche le parole di San Giovanni Paolo II su don Minzoni: “di due cose era convinto: che accettando di accorciare la vita per amore di Cristo avrebbe pagato sempre meno di quanto Dio aveva pagato per lui, e che accorciare la vita per amore dei suoi – prima i suoi soldati al fronte, i suoi ragazzi e la sua gente poi – era la via più sicura per raggiungere il perfetto amore di Dio, realizzando al massimo il suo sacerdozio”.
Al termine della messa il presidente della Cei ha deposto una corona di fiori sul luogo dove è stato ucciso don Minzoni. Hanno concelebrato con il porporato l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, monsignor Lorenzo Ghizzoni, e altri vescovi e arcivescovi della regione. Presenti anche le massime autorità civili e militari di Comuni e Province di Ravenna e Ferrara e rappresentanti dello scoutismo a livello nazionale.
Nato a Ravenna nel 1885, Minzoni entrò in seminario nel 1897 e nel 1909 fu ordinato sacerdote. L’anno seguente fu inviato ad Argenta, di cui divenne parroco dopo la fine della Grande guerra e dove promosse la costituzione di cooperative di ispirazione cattolica tra i braccianti e le operaie del laboratorio di maglieria, il doposcuola, il teatro parrocchiale, la biblioteca circolante. Grazie all’incontro con don Emilio Faggioli, assistente ecclesiastico regionale dell’Asci, don Minzoni decise di fondare un gruppo scout nella propria parrocchia e per questo entrò in contrasto con le autorità fasciste dell’epoca che non tolleravano la presenza di un centro educativo alternativo a quelli fascisti. La sera del 23 agosto, mentre stava rientrando in canonica, fu aggredito da due fascisti di Casumaro, frazione del comune di Cento, che lo colpirono violentemente con un bastone procurandogli una frattura cranica. Il sacerdote morì poche ore dopo a casa in seguito alle ferite riportate. La causa di beatificazione è stata avviata dalla diocesi di Ravenna, dalla parrocchia di Argenta, dall’Agesci, dal Masci e dagli Scout d’Europa. Il postulatore, padre Gianni Festa, era presente alla celebrazione.