Cecilia Seppia e Alessandro Guarasci – Città del Vaticano
La Comunità di Sant’Egidio risponde all’appello di Francesco di pregare per la sua visita in Iraq perché porti frutti di pace, fraternità e comunione e alimenti il desiderio nei fedeli musulmani, cristiani ed ebrei, di camminare insieme. Lo fa con una veglia, questa sera alle 20, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma, animata da canti, riflessioni e soprattutto preghiere e suppliche volte anche ad accompagnare il Papa, in questa grande e difficile missione. Simbolo dell’evento, la stola di padre Ragheed Aziz Ganni, sacerdote caldeo assassinato a Mosul insieme a tre suddiaconi della stessa Chiesa, il 3 giugno 2007, per essersi opposto alle intimidazioni degli estremisti islamici. Il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ai nostri microfoni ribadisce la portata storica di questo viaggio del Successore di Pietro nella Terra di Abramo e sottolinea gli innumerevoli sforzi del Pontefice per creare rapporti di fraternità, unica via d’uscita dalla violenza e dalla guerra.
R. – E’ un viaggio molto importante, un viaggio prevalentemente di pace. Il Papa parla di sé come “pellegrino di pace” e oggi il grande bisogno, la grande domanda che chiedono a gran voce gli iracheni è proprio quella della pace. E’ un viaggio anche di fraternità che ricalca le orme dell’enciclica “Fratelli tutti”, perché la pace avviene solo nel momento in cui si impara a riconoscersi fratelli. Io credo che il Papa vada proprio come “fratello tra i fratelli” e questo sarà il più grande messaggio che lascerà in questo Paese che ha sofferto per la guerra, per la violenza e per il terrorismo.
L’enciclica “Fratelli tutti” lancia un messaggio importante non solo per i non credenti ma anche per i fedeli di altre religioni, quali frutti potrà portare questa visita in quella zona martoriata?
R.- Il Papa è una figura universalmente riconosciuta come “uomo di pace” al di là delle religioni o meglio, oltre le religioni. E lui è stato ed è il Papa che in questo ultimo periodo ha veramente stretto tantissimi rapporti con il mondo musulmano, a partire dal suo rapporto personale con il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, con la firma dell’accordo di Abu Dhabi e con la visita al Grande Ayatollah Ali Al Sistani in Iraq, che è la massima autorità sciita: tutto questo fa capire come la Chiesa cattolica dal Concilio a oggi non ha mai smesso di lavorare per creare rapporti di fraternità. D’altro canto vediamo da parte del mondo islamico una radicale presa di distanza da ogni forma di estremismo e di violenza.
Questa visita di Francesco guarderà però anche alla minoranza cattolica e potrà rafforzare la presenza dei cristiani in Iraq. Che speranze ci sono in questo senso?
R. – Ma, il fatto che il Papa vada ad incoraggiare i cristiani e a portare la sua carezza e la sua testimonianza ad una Chiesa martire, perché ricordiamoci che la Chiesa irachena è una Chiesa martire, fa ben sperare, perché dal sangue dei martiri nascono sempre nuovi cristiani. Oggi con una leggera stabilizzazione che sta avvenendo nel Paese, vediamo anche un certo ripopolamento di alcune zone cristiane che erano state completamente abbandonate a causa della guerra, del terrorismo e dell’estremismo islamico. Quindi il Papa confermerà queste comunità e darà loro nuova linfa. Io credo anche che la sua presenza frenerà il grave dramma dei cristiani in Medio Oriente che è quello dell’emigrazione.
Qual è allora il senso di questa veglia?
R. – E’ pregare come ci ha chiesto il Papa perché questo viaggio abbia successo! Per la protezione del Papa stesso e di tutti coloro che lo seguiranno e perché la visita scorra tranquilla consentendo a Francesco di incontrare il maggior numero di persone possibili. Ma poi vogliamo anche esprimere tutta la nostra solidarietà ai cristiani iracheni e a questa Chiesa martire e vogliamo chiedere pace per tutti. Noi a San Bartolomeo abbiamo una reliquia, una stola, di un prete martire che è stato ucciso a Mosul, perché voleva tenere la chiesa aperta, cosa che gli estremisti islamici gli avevano impedito di fare, e perciò lo hanno ucciso per questo. Questa stola di padre Ragheed Aziz Ganni, presiederà, sarà il simbolo della nostra veglia di preghiera.