Michele Raviart – Città del Vaticano
Si concluderà oggi con una giornata di studio all’Istituto superiore di teologia morale dell’Accademia alfonsiana e una lectio magistralis del Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, l’anno di celebrazione per i 150 anni dalla proclamazione di Sant’Alfonso Maria de’Liguori a Dottore della Chiesa. Vissuto nel Regno di Napoli del ‘700, fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore, fu un teologo con un instancabile slancio evangelizzatore verso tutto il popolo di Dio, attraverso ogni forma di linguaggio. Suo, ad esempio il canto natalizio “Tu scendi dalle stelle”.
Un anno di riflessione e di impegni per il futuro, spiega il padre redentorista Alfonso Amarante, presidente dell’accademia alfonsiana, che traccia un ritratto del grande Santo.
Sant’Alfonso è uno di quei sacerdoti che ha avuto il coraggio di trovare nuove strade per evangelizzare. Veniva da una famiglia borghese e ha avuto un’istruzione molto particolare, perché lui a 16 anni era già avvocato, oggi diremmo civilista e canonista allo stesso tempo, ma soprattutto fece questa esperienza dell’”abbandono” del suo tempo. Lui vive nella capitale europea, perché Napoli nel Settecento, soprattutto all’inizio del secolo, era a livello culturale la città più importante d’Europa, ma lì fa l’esperienza dell’abbandono spirituale. Dalla città di Napoli inizia il suo iter che poi lo porterà prima a diventare sacerdote, poi a fondare la congregazione del Santissimo Redentore, il cui scopo precipuo è annunciare la Parola dove non è ancora arrivata, in modo particolare nelle campagne del Regno di Napoli. Poi fa delle scelte. Rispetto alla predicazione del tempo, che era una predicazione “barocca” e molto forbita, lui sceglie un linguaggio semplicissimo, che possa arrivare al cuore delle persone più semplici. Questo linguaggio è accompagnato poi da altre due forme: i canti – quelli divulgativi, come ad esempio i canti quaresimali e della passione che sono per buona parte ancora oggi i canti alfonsiani, oppure i canti natalizi – e le immagini. Accanto a questo percorso pedagogico lui metteva dei contenuti. Ad esempio, rispetto al suo tempo lui non parte mai dal peccato, ma parte dalla grandezza di Dio e dall’amore che Dio vuole all’uomo. Ha un tipo di teologia speranzosa, che davvero apre il cuore agli astanti. Questo è il punto centrale della sua predicazione, che poi lui tramuta anche in opere scritte attraverso la forma ascetica. Lui si rende infatti conto che questi concetti sono declinabili nella letteratura spirituale del tempo attraverso degli scritti, che poi hanno inciso tantissimo sulla formazione del popolo di Dio. Questi scritti hanno una caratteristica: la proposta spirituale non è nient’altro che una proposta morale. Cioè le stesse categorie lui le sa declinare con un doppio linguaggio. Questa è la bellezza di Alfonso. Al centro di questo messaggio lui mette l’incontro con il Cristo che è un incontro liberante, salvifico. Un incontro che davvero fa scaturire poi la domanda morale. Non si fissa quindi tanto l’attenzione sulla legge, ma bensì su quella che è la coscienza che, in relazione con Cristo, si pone delle domande di salvezza.
Nel 1871 Papa Pio IX lo proclamò dottore della Chiesa, “doctor zelantissimus”, perché?
Per proclamare un dottore della Chiesa ci vogliono delle caratteristiche. La prima è che i suoi scritti siano davvero esenti da errori – e questo vale anche per tutti coloro che vengono dichiarati Santi – ma poi soprattutto che siano stati capaci di incidere sul cammino spirituale della gente, a livello spirituale, appunto, ma anche a livello teologico morale. Alfonso con la sua proposta teologica riesce a togliere dall’”imbarazzo” la Chiesa del tempo, segnata da un lato da un rigorismo esasperato a livello teologico morale, e dall’altro da un lassismo esasperato. Per parafrasare, Alfonso tra i progressisti e tradizionalisti sceglie una via media e questo è proprio quello che gli dice Pio IX nella bolla di canonizzazione. Alfonso seppe tracciare quella via media, sicura, di certezza che ha condotto le anime ad avvicinarsi a Dio e a non allontanarsi. Zelantissimo, perché quello che lui ha sempre ricercato è la salvezza e come annunciarla in tutti i contesti, tenendo conto che l’uomo è sempre un essere storicizzato e non vive al di fuori della storia. Questo “zelantissimus” poi ha un’ulteriore caratteristica soprattutto per quanto riguarda gli scritti spirituali, che fanno vedere davvero che il Paradiso di Dio è il cuore dell’uomo. Lui cerca tutti i modi, tutti i linguaggi, tutte le forme per far avvicinare il cuore dell’uomo a quello di Dio. E la felicità dell’uomo è solo in Dio.
Si può fare un paragone, se vogliamo, con Papa Francesco, soprattutto nel suo slancio di evangelizzare – l’abbiamo visto anche pochi giorni fa con la nuova Costituzione apostolica quanto sia importante l’evangelizzazione per il Papa – e anche per la semplicità con la quale cerca di arrivare alla gente?
Entrambi hanno il coraggio di affrontare la complessità del tempo in cui vivono. Entrambi hanno a cuore l’annuncio, cioè il kerygma, come annunciare questa abbondante redenzione. Come far capire che questo Dio continuamente ci cerca. Entrambi hanno cercato forme nel loro contesto, con i loro linguaggi, per avvicinare e non allontanare le persone. Entrambi, soprattutto, si sono fatti carico, in maniera diversa e con proporzione diversa, di un popolo di Dio per accompagnarlo in un contesto storico. Hanno un ulteriore caratteristica, ancora, a livello teologico morale. Loro partono certamente dal volere di Dio, ma un volere che vuole la salvezza, non la disperazione dell’uomo. Queste sono caratteristiche che si vedono tra Papa Francesco e Alfonso. Metodi missionari, metodi di annuncio. Ad esempio Papa Francesco, per dire, nell’Evangelii gaudium dice che l’omelia deve essere breve. Alfonso avrebbe detto non tanto breve, perché al tempo le omelie non erano brevi, ma dovevano essere semplici e alla portata di tutti. Papa Francesco ci parla continuamente di un padre misericordioso. Alfonso dirà che il confessore, il prete, il sacerdote, deve abbracciare il penitente nel cuore, poi dopo deve diventare medico, dottore, e infine giudice. Ci sono tantissimi parallelismi che si potrebbero fare tra i due. Sono entrambi preoccupati del kerygma, come annunciare, come inculturare questo messaggio di salvezza.
Si concludono le celebrazioni per i 150 anni dalla proclamazione di Sant’Alfonso a dottore della Chiesa. Che anno è stato?
È un Giubileo che si è aperto in maniera inaspettata con una lettera bellissima che Papa Francesco ha inviato a noi redentoristi e in modo particolare all’accademia alfonsiana. Una lettera che poi ha avuto un riscontro mediatico che noi non immaginavamo perché tratta di tanti temi di attualità. Non è stato tanto un momento celebrativo, ma soprattutto un momento per guardare al futuro. In questo anno noi abbiamo preso alcuni cardini dell’insegnamento alfonsiano e abbiamo cercato di tradurli con il linguaggio odierno per una teologia morale, una proposta teologica che sta per rispondere alle sfide dei tempi. Quindi non tanto guardare al passato, ma guardare verso il futuro. Questo è stata la caratteristica di questo anno.