Santa Maria in Trastevere, come una casa che accoglie tutti

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Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

Piazza Santa Maria in Trastevere è una delle più vivaci della città, luogo di incontro, intorno alla bella fontana al centro. La basilica si affaccia, stretta tra i palazzi,   priva di gradini, quindi meno solenne ma più accogliente e vicina, dando a chi entra la sensazione di una maggiore facilità d’ingresso, come in “una casa aperta a tutti”, fa notare monsignor Vincenzo Paglia. E il pensiero  corre subito  alla Comunità di Sant’Egidio, la cui sede è molto vicinae e della quale il cardinale è consigliere spirituale.

La basilica nella parte superiore “a guscio” risplende al sole  con i suoi mosaici a fondo oro, con la  tenera immagine di Maria seduta sul trono mentre allatta il Figlio tra una corteo di donne, otto con la lampada accesa a significare la verginità e due spente come segno di vedovanza. Il mosaico si data al XIII secolo e fu rispettato dai rifacimenti di Carlo Fontana che aggiunse un portico, nel 1702. Maria con il Bambino appare anche in una edicola in cima al campanile.

La fons olei

Secondo alcune tradizioni, la basilica di Santa Maria in Trastevere sarebbe la prima dedicata alla Madonna in Roma. Sicuramente le notizie storiche riguardanti la sua fondazione sono molto antiche. Sarebbe stata fondata, infatti, da papa san Callisto, negli anni del suo pontificato, come titulus Calisti, tra 217 e 220, che volle fosse dedicata al parto di Maria per onorare il nome di Gesù, che a guisa di olio diffonde e comunica le sue grazie e benedizioni nei nostri cuori, scrive san Giovanni Bosco nella vita del Papa.  E continua descrivendo un prodigio, oggi testimoniato dall’epigrafe nella parte destra del presbiterio, incisa su un puteale di marmo, dove sarebbe scaturita una sorgente di olio – da qui il nome  fons olei – in epoca ancora precedente, nel 38 a.C.  

Per spacio di un giorno et una nocte con rivo larghissimo in fino al Tevere corse, raccontano le cronache, questo torrente sarebbe scorso per lo spazio di un giorno e di una notte, confluendo nel Tevere.  Il prodigio suscitò viva impressione e viene tramandato da diverse fonti come Eusebio di Cesarea,  Dione Cassio e san Girolamo. Quest’ultimo, interpreta il presagio della Venuta di Cristo significando la grazia di Cristo che sarebbe venuta alle genti. Messia infatti significa “Unto del Signore”.

Secondo una spiegazione “scientifica” si tratterebbe di una corruzione del nome oleus con olidus che significa acqua sporca. Nei pressi, infatti, Augusto, per creare un lago artificiale e svolgere i giochi delle naumachie, simulazioni di  battaglie navali, avrebbe utilizzato le acque non potabili convogliate dall’acquedotto Alsietino  che giungevano fin qui e servivano anche all’irrigazione degli horti.

Una vignetta nel mosaico della Natività nell’abside

In quest’area, testimoniata anche dalla vignetta con l’iscrizione,  ai margini della scena della Natività nell’abside, sorgeva la Taberna Meritoria, raffigurata come una casa con torre, sotto la quale scorre un fiume nero. Si tratta del ricovero riservato ai soldati in pensione con una taverna annessa. I cristiani l’affittarono  come oratorio ma i popinarii,  gestori della taverna, suscitarono una protesta che fu risolta dall’imperatore Alessandro Severo, imperatore dal 222 al 235 che, benché pagano  

rescripsit, melius esse ut quomodocumque illic Deus colatur quam popinariis dedatur,
“giudicò più convenevole fosse luogo di preghiera che affidato agli osti”
scrive Elio Lampridio nella Historia Augusta.

La basilica fu portata a compimento  da papa Giulio I, tra il 337 il 352, con il nome di Basilica Julia, con una prima dedica ai santi Giulio e Callisto.

I mosaici 

La basilica come la conosciamo oggi è frutto di sovrapposizioni e accostamenti di stili diversi  avvicendatisi nel  tempo, sfruttando molti  antichi marmi romani di spoglio, a tre navate divise da colonne ioniche e capitelli corinzi. L’abside è decorato da splendidi mosaici su fondo oro: al centro, Cristo siede in trono accanto alla Madre, in dignità regale e con splendidi abiti, circondati dai santi (datato al XII secolo), mentre il giro inferiore, con storie della Vergine  è opera di Pietro Cavallini (1291).

Un legame tra chiese dedicate a Maria 

Secondo alcune ricerche dello studioso tedesco-americano Ernst Kitzinger, la composizione dell’abside, sulla base di rassomiglianze somatiche  e dei cartigli tenuti in mano da Cristo e la Madre, che riportano alcuni passi del Cantico dei Cantici,  farebbe riferimento a un’antica processione nel giorno dell’Assunta, quando la veneratissima immagine acheropita, cioè non eseguita da mano umana, del Salvatore, conservata nella cappella del Laterano,  l’antichissimo “Sancta Sanctorum”, veniva portata in processione a Santa Maria Maggiore per “incontrare”  la Salus Populi Romani, altra icona acheropita di Maria con il Bambino, amatissima dai romani. Una tappa intermedia sarebbe stata in un’altra chiesa, custodia di una terza immagine della Vergine, nell’attuale chiesa di Santa Francesca Romana.

Quest’incontro metaforico della Madre e del Figlio tramite immagini ci riporta alla mente un uso ancora vivo in alcune processioni come quella del Venerdì Santo, intense e partecipate soprattutto in alcune località del sud Italia, quando la statua del Cristo morto  incontra quella di Maria, mettendo letteralmente in scena alcuni momenti della Passione e Morte del Signore.