I volti e le parole di tanti giovani di Damasco che hanno confidato sogni e sofferenze, ma anche le attese delle Chiese che cercano di sostenerli pur tra tensioni e contro-testimonianze. È l’immagine evocata dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, durante la prolusione, tenuta a Roma ieri, venerdì 12 novembre, per l’apertura dell’anno accademico del Pontificio Istituto Orientale.
Nel parlare di formazione dei giovani, il porporato e gran cancelliere dell’istituto ha fatto riferimento al suo recente viaggio «nell’amata e martoriata Siria», come la definisce Papa Francesco. E un pensiero ha rivolto anche ai “posti vuoti” lasciati «dalle centinaia di virgulti della terra siriana, che in questi dieci anni di conflitto sono stati portati via dal servizio militare, dalla violenza o sono stati rapiti e di loro non si sa più nulla». Come padre Michele, il «giovane sacerdote armeno che fu borsista a Roma, e del quale ho incontrato e consolato la famiglia ad Aleppo».
Molti altri giovani, ha detto Sandri, sono «partiti e partono, raggiungendo spesso dopo itinerari pericolosi l’Europa, le Americhe o l’Australia: sono certamente anche siriani quelli intrappolati nella foresta e nella morsa del gelo al confine tra Bielorussia e Polonia». Il prefetto ha fatto notare che «alla vita di stenti e al freddo, qualcuno potrebbe commentare, sono già abituati da troppo tempo», perché per «molti versi la situazione non era diversa nella madrepatria, ma imperdonabile resta il rischio di rimanere indifferenti alla loro sorte ovunque essi si trovino».
Il cardinale ha poi fatto riferimento ai popoli dell’Etiopia e dell’Eritrea, che «vivono mesi di angoscia per l’aggravarsi del conflitto nel Tigray, realtà tragica che sembra dimenticata dai media internazionali e dai governi del mondo».
Quindi ha parlato dei popoli dell’Europa orientale — dove svolse il suo ministero san Giosafat, la cui memoria liturgica ricorreva proprio il 12 novembre — con la preghiera che si realizzi il desiderio del Signore nell’Ultima Cena Ut unum sint.
In questo cammino dell’unità, di fronte alle tante lacerazioni che vive oggi la comunità ecclesiale, con la teologia, la liturgia e il diritto che «divengono strumenti di lotta partigiana tra fazioni», il porporato auspica che il Pontificio Istituto Orientale possa «formare generazioni di sacerdoti, religiosi, religiose, laici, costruttori di ponti di comunione nelle Chiese e tra le Chiese».
«La fedeltà al Successore dell’Apostolo Pietro — ha sottolineato il cardinale — ci chiede di confermare l’impegno ad un cammino sinodale che in quest’aula abbiamo più volte evocato negli anni scorsi». Non si tratta, come ricorda spesso Papa Francesco, di «una questione tecnica o di potere, ma di una dimensione anzitutto spirituale e di uno stile proprio dell’essere della Chiesa, che preveda come elementi ineludibili quello dell’ascolto e del discernimento, prima di ogni decisione». Infine l’imminenza del centenario dell’affidamento alla Compagnia di Gesù della direzione del Pio «sprona i discepoli di sant’Ignazio a mettere in atto la sapienza che storicamente viene loro riconosciuta nel guidare il processo verso l’unificazione tra Università Gregoriana, Istituto Orientale ed Istituto Biblico».