San Giovanni di Dio: la missione dei Fatebenefratelli, anche in Ucraina

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

In prima linea nelle emergenze, a Granada nel 1539 con il fondatore Juan Ciudad, che l’arcivescovo della città spagnola ribattezzò “Giovanni di Dio” e oggi in Ucraina e Polonia, dove i 15 ospedali dei Fatebenefratelli già accolgono o sono pronti ad accogliere feriti e malati fuggiti dalla guerra. L’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio ricorda con la Chiesa quell’uomo “rapito dall’amore per i più fragili” che dopo essere stato preso per matto per la sua fede esuberante, inventò l’ospedale moderno, creando i primi “reparti” con ambienti diversi per diverse patologie.

La campagna dei Fatebenefratelli: “Emergenza in Ucraina”

E lo fa, quest’anno, lanciando la campagna “Emergenza in Ucraina” mobilitando confratelli, collaboratori laici e benefattori, pronti ad un impegno destinato a crescere con i giorni. Per ora, comunica il priore generale fra Jesùs Etayo, il provinciale polacco fra Dmowsky riferisce che nelle case dell’Ordine sono già stati accolti molti profughi ucraini, e che altri ne stanno arrivando. La piccola comunità ucraina di Drohobych, vicina alla frontiera polacca, guidata da fra Wawrzyniec, è “fermamente intenzionata a rimanere vicino alle persone di cui si occupa abitualmente, anche in questi tempi difficili”, sottolinea il priore generale.

“Non si dà senso all’annuncio, senza la cura”

“Fa parte del nostro Dna – assicura a Vatican News il segretario della Provincia Lombardo Veneta dell’Ordine, fra Giancarlo Lapic’ – come si presenta un’emergenza, i Fatebenefratelli si pongono subito in prima linea. Lo abbiamo fatto in Africa con Ebola, con l’emergenza immigrazione in Italia e ora per l’Ucraina”. Dopotutto san Giovanni i Dio chiedeva l’elemosina per il suo ospedale con un’invito diventato un  nome: “Fate del bene a voi stessi! Fate bene, fratelli!”. E con una certezza: “Non si dà la cura senza l’annuncio e non si dà senso ultimo all’annuncio senza la cura”.

Fra Lapic’: “Noi annunciatori del Vangelo della misericordia”

E’ il Vangelo della misericordia, ricorda fra Lapic’, croato di Spalato da più di 30 anni in Italia: “l’annuncio e la guarigione sono due binomi di uno stesso movimento di liberazione, di salvezza, che Gesù ha portato a compimento”. Una Buona Novella annunciata oggi da mille religiosi in 50 Paesi di tutti i continenti insieme a 63 mila collaboratori e 23 mila volontari, attraverso 400 strutture sanitarie e assistenziali che assicurano ogni giorno un posto letto a 30 mila persone nel mondo.

Ascolta l’intervista a fra Giancarlo Lapic’

Qual è l’attualità della testimonianza di San Giovanni di Dio, al secolo Juan Ciudad?

Ci ha lasciato una grande ed attualissima eredità, che è l’accoglienza ospitale. Dopo la sua conversione tutta la sua vita è stata orientata verso la fragilità umana, verso la sua accoglienza, la sua cura e il suo accompagnamento. E il nostro tempo è segnato, come vediamo in questi giorni, da guerre e da migrazioni. Ancora una volta la prima parola che sentiamo è proprio ciò che San Giovanni di Dio ci ha lasciato: l’ospitalità. La chiave della sua missione e del nostro carisma è appunto l’accoglienza ospitale.

E come cercate di portare avanti la vostra missione di Fatebenefratelli nel mondo di oggi?

I confratelli sono presenti in 54 Paesi del mondo, dal Giappone fino all’Argentina, in tutti i continenti. La missione è sempre la medesima: siamo un ordine che spende tutte le sue forze per l’accoglienza, per la cura. Lo facciamo in collaborazione con i nostri collaboratori laici, con i nostri volontari, con i nostri benefattori. La famiglia di San Giovanni di Dio, oggi nel mondo, davvero è ancora un segno vivo ed efficace di questa eredità. Come si declina l’ospitalità dipende dalle esigenze, basta ricordare in Italia qualche anno fa, nell’ emergenza immigrati a Brescia siamo arrivati ad accogliere più di 300 persone in una nostra istituzione, come in questo momento, ci stiamo muovendo per dare la risposta efficace, proprio nell’accoglienza e nella cura, anche in questa guerra in Ucraina.

Ecco, come rispondere alla sfida dell’ospitalità per feriti e profughi causati dalla guerra che è in corso?

E’ nel nostro Dna: come si presenta un’emergenza, l’Ordine si pone subito in prima linea, come abbiamo fatto in Africa con Ebola, come abbiamo fatto per l’emergenza immigrazione, così anche in questi giorni, il nostro superiore generale, fra Jesus Etayo ha mandato una circolare a tutto l’Ordine invitando sia i confratelli che i collaboratori ad aiutare questa popolazione in un momento di grande difficoltà e prova. Lo facciamo tramite la provincia polacca che ha diverse opere sia in Polonia, ma anche in Ucraina. Tramite il loro prezioso lavoro, abbiamo quattro confratelli a Drohobych, un paese vicino al confine polacco, dove per fortuna la guerra non è ancora arrivata, riusciamo a dare una risposta a queste persone che ci chiedono aiuto. Sia nel momento di passare dall’Ucraina alla Polonia, ma anche assistendo le stesse persone nei luoghi dove ci troviamo e dove prestiamo la nostra assistenza. L’ordine dei Fatebenefratelli ha saputo sempre coordinarsi in questo modo sinergico e dare anche delle risposte significative, tornando sempre a quel valore fondamentale che è l’accoglienza. Per noi la persona nel bisogno, nella sua fragilità, è il centro di tutta la nostra missione: i Fatebenefratelli declinano la propria missione esclusivamente nell’ambito sanitario, sociale, delle emergenze di vario tipo.

Con i vostri ospedali nel mondo, come avete affrontato l’emergenza, ancora non conclusa, della pandemia del Covid-19, con le difficoltà per avere anche un contatto umano con i pazienti? Quanti religiosi e quanti vostri collaboratori hanno preso la vita?

So di una decina di confratelli che sono rimasti vittime della pandemia e di un certo numero di collaboratori. Ciò che conosco per esperienza diretta è però l’impegno in prima linea della nostra provincia Lombardo-Veneta. Per esempio il nostro ospedale ad Erba, in provincia di Como, è stato trasformato in un ospedale Covid, e questa dedizione dei nostri confratelli e collaboratori laici è stata davvero è stata riconosciuta dal territorio, tanto che la risposta è stata molto generosa anche nella raccolta fondi, proprio per sostenere questa iniziativa di dedicarsi alle persone che si trovano nell’ emergenza. Una delle cose fondamentali è stata anche la cura pastorale:  stare accanto, in modo sicuro, ma con una presenza continua, una cura e una dedizione nei momenti più bui e più difficili.

Che significato date, in questo tempo, alle celebrazioni giubilari dei 450 anni del riconoscimento pontificio della prima fraternità, che cadono proprio quest’anno?

Sono appunto 450 anni da quando san Pio V, con la bolla Licet ex Debito ha riconosciuto la prima fraternità a Granada: diciannove confratelli che hanno raccolto l’eredità del nostro fondatore, san Giovanni di Dio. E’ un momento importante in cui vediamo davvero una continuità mai alterata: il nostro ordine, sin dalla sua fondazione, è sempre stato fedele al suo carisma originale, fondativo. Lungo la storia ha mantenuto anche la sua forma laicale: noi siamo religiosi con voti solenni, apparteniamo al gruppo degli ordini mendicanti, però per poterci dedicare completamente all’assistenza dei malati buona parte di confratelli ancora oggi non sono sacerdoti. Soltanto alcuni di noi accedono al sacerdozio, sempre per le esigenze spirituali dei nostri assistiti, ma la maggioranza vive la propria consacrazione nell’ospitalità come fratelli laici.

Anche per poter rispettare la consegna del vostro fondatore: nessuna cura senza annuncio, nessun annuncio senza cura…

Noi viviamo il Vangelo della misericordia: come Gesù, annunciando la Buona Novella, non l’ha mai disgiunta dalla guarigione e dalla cura particolare. L’annuncio e la guarigione sono due binomi di uno stesso movimento di liberazione, di salvezza che Gesù ha portato a compimento. E credo che per noi ogni gesto di accoglienza ospitale, come nel Giudizio universale, viene riconosciuto come un gesto di Gesù: “Quello che avete  fatto per soccorrere il più piccolo di noi, lo avete fatto a me”. E cosa dovevamo fare? Nutrire, coprire, prendersi cura, accogliere e visitare: sono quei criteri escatologici per far parte del Regno di Gesù. Per cui credo che il carisma dei Fatebenefratelli esprima in pieno questa realtà escatologica di Matteo 24.